L'angolo di Vincenzo Patanè

Le recensioni dei film del critico e scrittore Vincenzo Patanè

"Zenne Dancer" di Caner Alper e Mehmet Binay

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"Zenne Dancer" di Caner Alper e Mehmet Binay

Giudizio


Se sugli schermi italiani i film LGBT appaiono sempre col contagocce, per fortuna a proporre numerosi titoli interessanti ci sono Sky e Netflix. Su quest’ultimo, in cui c’è una sezione apposita, è disponibile Zenne Dancer, opera prima del 2012 dei registi turchi Caner Alper e Mehmet Binay, passato a suo tempo in Italia solo in qualche festival ma vincitore di ben 16 premi internazionali.

La vicenda si rifà a una storia vera quanto tragica: quella dell’omicidio nel 2008 del giovane gay Ahmet Yildiz, ucciso per onore dal padre, un assassinio a cui fece seguito un processo finito in un nulla di fatto.  

Il film gira attorno a tre personaggi, tutti gay. Ahmet (Erkan Avci) è un “orso” che studia a Istanbul ma è controllato a distanza dalla madre, che esige che lui ritorni nella cittadina dell’est della Turchia dove vive la famiglia per sposarsi e avere una vita “non peccaminosa”. In uno dei locali gay frequentati da Ahmet lavora Can (Kerem Can), un ballerino professionista che non fa mistero della sua omosessualità. C’è poi Daniel (Giovanni Arvaneh), un maturo fotografo tedesco, appena tornato da esperienze traumatiche in Afghanistan. Attratto dalla danza del ventre (zenne dancer), Daniel propone un servizio fotografico a Can e in quell’occasione conosce Ahmet. I due si innamorano, coinvolti in un rapporto liberatorio e gratificante; venuto a conoscenza delle fortissime pressioni della sua famiglia, Daniel decide di portare Ahmet con sé in Germania: lo convince dunque a sottoporsi alla visita di leva, dove, dichiarando la propria omosessualità, potrà ottenere il passaporto. La vicenda però si concluderà tragicamente.

Il film, il primo turco ad affrontare di petto l’omosessualità, mette coraggiosamente in luce l’intolleranza che esiste in quella cultura, spaccata in due fra l’accettazione di un modello occidentale e idee quanto mai retrograde.

Pur con qualche difetto – come l’eccessivo spazio lasciato alla danza, pure colorata e di effetto (ma un verso del poeta Rumi ricorda come essa unisca magicamente le persone) – è un mélo commovente e non privo di momenti simpatici. Amaro nel suo messaggio, poiché in effetti nessuno dei protagonisti riesce a cogliere veramente ciò che vuole, ha la sua carta vincente nel mostrare la stridente contrapposizione fra le due famiglie turche: dietro a Can infatti ci sono la madre e la zia che grondano di amore e di rispetto nei suoi confronti, mentre quella di Ahmet è incredibilmente tradizionalista, con la madre prepotente che tiene soggiogato il padre e la sorella, con l’unico scopo di mantenere alto l’onore della famiglia.

Curiosità: una didascalia ricorda come l’esercito turco possieda il più grande archivio di materiale pornografico gay poiché, adducendo la “malattia” dell’omosessualità per evitare il militare, bisogna produrre delle foto esplicite. Bella scusa, vero?

Vincenzo Patanè

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