L'angolo di Vincenzo Patanè

Le recensioni dei film del critico e scrittore Vincenzo Patanè

"Pasolini" di Abel Ferrara

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"Pasolini" di Abel Ferrara

Giudizio


Alla Mostra di Venezia Pasolini di Abel Ferrara, ora sugli schermi, ha diviso pubblico e critica, tra applausi e fischi. È sicuramente da vedere, benché sia discutibile e pieno di difetti. La storia è tutta concentrata in un giorno, il 1 novembre 1975, quello che ha preceduto la morte dello scrittore e regista, qui circondato dalle persone a lui care (la madre, i cugini Graziella Chiarcossi e Nico Naldini, Laura Betti, Ninetto Davoli). Una giornata vissuta intensamente: il montaggio di Salò, alcune interviste rilasciate (tra cui una quanto mai profetica a Furio Colombo), il lavoro sul romanzo Petrolio, una lettera a Moravia, la cena nel solito ristorante e infine la ricerca di una marchetta. La scelta cade su Pino Pelosi, col quale, dopo averlo portato a cenare, Pasolini (William Dafoe) fa sesso nella sua Alfa in uno spiazzo di Ostia. Sulla morte, Ferrara non dice niente di nuovo, la sua ipotesi è quella di un’aggressione omofoba e che poi Pelosi sia passato con l’auto sopra il corpo ormai inerte del regista, tramortito da pugni, calci e sprangate.

Buona parte del film vive di inserti su Petrolio e su Porno-Teo-Kolossal, il film, ancora in fase di progetto, a cui stava lavorando Pasolini, con Eduardo De Filippo protagonista. Nel primo vediamo il protagonista Carlo, diviso fra i biechi salotti della borghesia finanziaria e il sesso, come nel pratone della Casilina in cui fa pompini a tanti ragazzi, uno dopo l’altro. Il secondo vede Ninetto Davoli nella parte di Eduardo e Scamarcio che interpreta Davoli da giovane; nella loro ricerca del Messia, preannunciato da una cometa, spicca la scena orgiastica della città di Sodoma, con accoppiamenti sessuali fra gay e lesbiche.

Questi inserti – troppo lunghi in rapporto alla durata del film (87’) e non sempre comprensibili al pubblico – tolgono inoltre fiato al film, relegando ai margini il protagonista, smembrato in tanti tasselli che alla fine riescono solo a evidenziare la contraddittorietà dell’intellettuale, ma non certo a esaltarne la forza spirituale. Ben recitato da Dafoe, il film in originale è un pasticcio linguistico, con dialetti e lingue fuori posto, con osti che parlano romanesco e poi inglese, Eduardo con l’accento romano anziché napoletano e lo stesso Dafoe che si esprime talvolta in inglese e altre in italiano. Prova di una confusione che la dice lunga sul rapporto che Ferrara ha con Pasolini, un’adorazione schietta ma goffa e approssimativa, mai veramente compresa in profondità, in tutte le sue implicazioni intellettuali.

 

Vincenzo Patanè

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