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Le recensioni dei film del critico e scrittore Vincenzo Patanè
The Imitation Game, diretto dal norvegese Morten Tyldum, racconta la vita, breve e intensa quanto sfortunata, dello scienziato inglese Alan Mathison Turing (1912-1954), uno dei massimi matematici del secolo scorso e uno dei padri della moderna informatica ma anche oggetto di persecuzione omofobica, come il governo britannico ha pubblicamente riconosciuto nel 2009.
Nel 1927 il quindicenne Alan, talentuoso in matematica ma timido e impacciato, incontra il coetaneo Christopher. Questi lo introduce alla crittografia e così i due si scambiano messaggi criptati in cui si dichiarano la loro reciproca attrazione. Ma purtroppo Christopher muore presto di tubercolosi e Alan è di nuovo solo.
Laureato in matematica a Cambridge, nel 1939 – all’alba della guerra mondiale – col beneplacito di Churchill, Turing (Benedict Cumberbatch) riesce a creare attorno a sé un gruppo di eccentrici studiosi, fra cui campioni di scacchi e agenti di servizi segreti. Soprattutto per merito di Turing e della sua macchina di decodificazione “Bomba”, il gruppo – in cui spiccano Hugh Alexander e la giovane Joan Clarke (Keira Knightley) – riesce a violare gli indecifrabili codici militari tedeschi Enigma. Grazie a lui, decriptando 3000 codici navali al giorno, i tedeschi sono così sbaragliati e così milioni di vite umane sono salvate.
Qualche anno dopo, nel 1952, la polizia si reca a Manchester a casa di Turing per indagare su un furto, ma il suo modo di fare che sembra voler nascondere qualcosa la insospettisce. Nessuno sa che si tratta di un eroe, perché il governo aveva imposto l’assoluto silenzio a tutti coloro che avevano partecipato al gruppo di Bletchley Park. Turing viene dunque arrestato con l’accusa di “atti osceni”; poiché l’omosessualità è un reato, per evitare il carcere opta per la “castrazione chimica”, ottenuta con iniezioni di estrogeni. Inebetito dalla cura, viene poi trovato suicida, con accanto a letto una mela morsa a metà spolverata di cianuro (è noto che si pensa che il logo della Apple si ispiri a questa mela).
Il film (il cui titolo si rifà a una frase del matematico), curato nei particolari e convincente nelle interpretazioni, gioca soprattutto sull’eroismo e la genialità di un personaggio davvero eccentrico. Per il resto, l’omosessualità rimane una presenza costante ma mai al centro del discorso, mentre viene enfatizzata la figura di Joan, che si fidanzò con lui pur sapendo fosse gay. In compenso, mette a fuoco la coerenza e la gentilezza di Turing, che non scende a compromessi per salvare le sue convinzioni (davanti al giudice non fa mistero della propria omosessualità, affermando di non scorgere niente di male nelle sue azioni) e quindi rende omaggio all’essere diversi.
Vincenzo Patanè
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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