L'angolo di Vincenzo Patanè

Le recensioni dei film del critico e scrittore Vincenzo Patanè

"Boy Erased- Vite cancellate" di Joel Edgerton

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"Boy Erased- Vite cancellate" di Joel Edgerton

Giudizio


Lo aspettavamo da tempo per aver fatto molto parlare di sé ed eccolo qui, sugli schermi italiani: Boy Erased – Vite cancellate, diretto dall’attore-regista australiano Joel Edgerton (al suo secondo film, dopo Regali da uno sconosciuto – The Gift).

Jared Eamons (Lucas Hedges, visto in Manchester by the Sea, Lady Bird e Tre manifesti a Ebbing, Missouri) è un diciottenne timido, mansueto e un po’ impacciato, soggiogato dalla figura preponderante del padre Marshall, pastore battista e padrone di un autosalone in una cittadina dell’Arkansas (un imbolsito Russell Crowe), al quale pure la madre Nancy (Nicole Kidman) piega i suoi voleri. Una famiglia devota, nella quale vigono “i più sani valori americani”.

Iscrittosi al college, Jared subisce una violenza sessuale da parte di un compagno, Henry, ma nello stesso tempo capisce definitivamente che gli piacciono i ragazzi. Quando i genitori, frastornati dalla notizia, vengono a sapere da Henry (anch’egli turbato e confuso) dell’omosessualità del figlio, il padre ritiene che Jared col suo comportamento offenda Dio e non possa vivere più con i genitori di cui non condivide gli stessi princìpi; d’altra parte, lo stesso Jared vuole cambiare, non tradendo più Dio.

Viene perciò spedito in un centro cristiano di rieducazione, “Love in Action”, in cui si attua il programma “Rifugio” che combatte l’omosessualità, la pornografia, la droga e altro ancora e alla fine del quale i ragazzi usciranno eterosessuali e purificati. Il corso, molto caro economicamente, viene tenuto da un sedicente psicologo, l’ambiguo e manesco Viktor Sykes (Joel Edgerton, ossia il regista); i ragazzi, che subiscono soprusi e violenze, sono tenuti sotto stretto controllo, anche per andare in bagno, e il loro futuro è di essere ospitati, sempre a pagamento, non si sa per quanto tempo, in case di proprietà dell’istituto dove verrà instillato nei loro cervelli il metodo per non cadere più nel peccato, ossia “fingere finché la finzione diventerà naturale”.

La vita lì dentro è durissima, tanto che porterà un ragazzo a suicidarsi. Lucas però non è come gli altri. Ascolta ma non fa suo ciò che gli viene impartito e continua anzi a provare attrazione verso i compagni di sventura, come l’ex militare Jon (Xavier Dolan). Al momento opportuno, sa dunque ribellarsi e, spalleggiato dalla madre, fugge da quell’inferno per non farvi più ritorno. Quattro anni dopo, lo vediamo vivere a New York; felicemente gay e trova la forza per dirlo al padre, nel quale si insinua una breccia di ravvedimento per amore del figlio.

Una scritta prima dei titoli di coda ci ricorda che queste terribili “terapie di conversione” – per ora vietate solo in una quindicina di stati dell’Usa – sono tuttora esistenti e che ben 700.000 minorenni sono costretti a subirle. Ma soprattutto c’è scritto che il predicatore Sykes è ora sposato con un uomo…

Ispirato all’omonimo libro autobiografico del giornalista Garrard Conley (in Italia edito da Black Coffee), il film racconta dunque una storia purtroppo vera. Al centro c’è un nefasto triangolo formato da religione, famiglia e comunità che stritola il ragazzo, per fortuna aiutato poi dalla mamma la quale, schiacciata fra il marito e il figlio, alla fine individua da quale parte stare.

I momenti migliori sono senza dubbio quelli relativi al centro di recupero, dove, tra pressione psicologica e fisica, viene trasmesso un odio verso i genitori, ritenuti primi colpevoli dei loro atteggiamenti reprobi, mentre l’omosessualità è definita “un atteggiamento”, un qualcosa che si può e si deve cambiare. È un orribile viaggio nella religione oscurantista e bigotta e nell’ignoranza (innanzitutto delle famiglie che accettano di pagare cifre esose a cialtroni e furbi santoni che sanno solo spillare denaro). Molti gli episodi grotteschi e umilianti per i ragazzi, come quando si danno i voti alle posture più o meno virili, si interpreta il baseball per capire quanto si sia maschi o si picchiano di brutto i ragazzi con la bibbia per avere ceduto al peccato.

Il cast è ottimo, a partire da Lucas Hedges, che si fa carico di una grande sensibilità, espressa attraverso primi piani dolenti e nervosi. Purtroppo però il tutto non si distacca da un cliché abbastanza schematico, visto tante altre volte. Il messaggio certo c’è ed è forte – quello di un’omosessualità vincente alla fine di un viaggio doloroso, che però fortifica l’autodeterminazione – così come la denuncia (curiosamente analoga a un altro film del 2018, La diseducazione di Cameron Post) ma la regia non brilla particolarmente: i piani temporali si accavallano confusamente, con flashback che ci fanno conoscere alcuni episodi accaduti al college e qualche rapporto avuto da Lucas, i ralenti sono gratuiti, alcuni personaggi interessanti sono lasciati a sé e le personalità degli stessi genitori sono poco approfondite. Un peccato, però il film merita attenzione.

Ah, il leitmotiv del film è l’abitudine di Jared di cacciare fuori la mano dal finestrino dell’auto in corsa, lasciandola andare al vento (con la madre che ha paura che perda un braccio). Un messaggio però ambiguo: se da un lato sottolinea la voglia di libertà, lasciandosi alle proprie inclinazioni, dall’altro può mostrare come i nostri movimenti dipendano sempre da forze più grandi.

Vincenzo Patanè

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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