Happy Family

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Happy Family

Due famiglie incrociano i destini a causa dei figli quindicenni caparbiamente decisi a sposarsi. Un banale incidente stradale catapulta il protagonista-narratore, Ezio, al centro di questo microcosmo, nel quale i genitori possono essere saggi, ma anche più sballati dei figli, le madri nevrotiche e coraggiose, le nonne inevitabilmente svampite, le figlie bellissime e i cani cocciuti e innamorati. In poche parole, due famiglie di oggi, che sfuggono alle catalogazioni e alle etichette, in evoluzione continua, in equilibrio precario, vive, felici e confuse.
Happy Family è una confessione camuffata, un diario mascherato, una commedia che parla della paura di essere felici, di cambiare la nostra vita per qualcos’altro che non conosciamo. È un esorcismo scritto nella Milano d’estate. Quando non si muove una foglia e dal silenzio può uscir fuori quello che di solito sta muto. Tutti i desideri e tutte le paure. Di essere troppo, di non essere nessuno. Sorrisi, scontri e incontri esaltanti. Brutture e imperfezioni guardate con ironia. Difetti che diventano poesia. E così si scaccia per un po’ il terrore quotidiano di vivere a metà, di essere scontati. Di questa commedia si può dire tutto quello che di solito innervosisce: è lieve, è romantica, è banale. Le persone che la popolano sono normali. Ma questo è il suo bello. Che è tragicamente fuori posto. (Uf.St.) ATTENZIONE SPOILERS: Nel film, Filippo, il figlio 16enne di Caterina, è un ragazzino molto più maturo della media della sua età, tanto che vorrebbe già sposarsi con una coetanaea, che invita addirittura in una cena di presentazione (fidanzamento) con i genitori di entrambi. Succede però che a fine cena la ragazza annuncia improvvisamente che non ha più nessuna intenzione matrimoniale perché si è innamorata di un compagno di scuola di varie classi più avanti. Tutto questo solleva diversi interrogativi e in un dialogo a fine serata tra i genitori di Filippo sentiamo la madre che afferma “Filippo è omosessuale. Spero che quello che è successo stasera glielo faccia capire” “Perché dici questo?” “Perché è vero, si vede. Non dirmi che non l’hai mai notato.” “Ti dispiace?” “Che sia omosessuale?” “Sì.” “Mi dispiace vederlo stare male, ma prima lo capisce e prima smette di soffrire.” Nel finale del film, durante una cerimonia funebre che fa ritrovare tutti i famigliari sentiamo la voce fuori campo del protagonista narratore che dice “C’è Filippo. Ha portato un suo amico. Mi pare che si chiami Carlo. Abbiamo capito tutti che è il suo fidanzato: ogni pomeriggio viene a casa, si chiude in camera con lui. Studiano insieme.” Questa tematica è comunque appena sfiorata (quanto riportato sopra è tutto) ma sufficiente per inserire questa gradevole commedia nel nostro database.

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Questo film al box office

Settimana Posizione Incassi week end Media per sala
dal 30/4/2010 al 2/5/2010 17 53.528 1.726
dal 23/4/2010 al 25/4/2010 13 117.250 1.288
dal 16/4/2010 al 18/4/2010 9 263.940 1.691
dal 9/4/2010 al 11/4/2010 7 507.600 1.714
dal 2/4/2010 al 4/4/2010 3 1.046.488 2.989
dal 26/3/2010 al 28/3/2010 3 1.107.595 3.137

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2 commenti

  1. Lo spunto del film è originale, tant’è vero che lo sceneggiatore ha vinto un premio. Però ci sono troppe commistioni di generi e l’effetto finale non mi è piaciuto.. Nè certa ironia facile.. Salvatores degli ultimi anni non mi piace assolutamente.. Però la Buy sì! L’ho visto fondamentalmente per lei.. La nonna con l’alzheimer è la più spassosa! Il personaggio gay abbastanza incolore, per il resto le solite ovvietà legate ai tipi buzzurri, alla pianista nevrotica in analisi, ecc.. I risultati al botteghino lo premiano, ma io lo sconsiglio..

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trailer: Happy Family

https://youtube.com/watch?v=l63i6CukzvM%26hl%3Dit_IT%26fs%3D1

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CRITICA

“…Seguendo questo schema, anarchico e codificato al tempo stesso, Salvatores riesce felicemente a mettere in piedi una struttura che racconta dal basso e senza troppe pretese sentimenti veri e alti, affidati alle mani, ai volti e ai cuori di personaggi veri e di attori fidati e motivati. E così l’invito alla ricerca della felicità di Happy Family viene recapitato nella forma più immediata e solare possibile: quella del divertimento e della risata, che non nascondono ma addolciscono i lati più amari di una storia e di una vita.” (Federico Gironi, Comingsoon.it)

“…Salvatores “fait du cinema”, nel senso in cui i francesi usano la locuzione per dire “mente, inventa, dice cose che non sono vere”, ma lo fa scopertamente, mostra il dispositivo, si chiede e ci chiede cosa, in fondo, sia vero e cosa illusorio. I suoi personaggi escono ancora una volta da uno schermo, come fanno quelli di Majakovskji, Buster Keaton o Woody Allen, anche se questa volta è lo schermo di un computer, un monitor. Non è questo genere di boutade che interessa forse al regista, ma egli pare servirsi del fortunato testo di Alessandro Genovesi per “monitorare” lo stato di un sistema in evoluzione e “ammonire” tutti quanti, in platea o dietro le quinte della macchina produttiva, rispetto alla paura di cambiare, di provare sentieri nuovi, di muovere ciò che è fermo, dato, riconoscibile. Come i sei personaggi di Pirandello in cerca di autore (un testo che, non a caso, avrebbe da sempre voluto tradurre in cinema Godard), Salvatores e i suoi compagni di viaggio rivendicano con brio la possibilità di un cambiamento all’interno dell’apparentemente immutabile tradizione del realismo nella messa in scena cinematografica italiana.” (Marianna Cappi, MyMovies.it)

“…Giocando con la doppia «coscienza» di Ezio (come scrittore della pièce e come scrittore invitato alla cena) e regalandosi qualche divagazione di troppo (la pretestuosissima dedica iniziale a chi ha paura, l’avventura con la massaggiatrice-prostituta cinese che dovrebbe, forse, far ridere), il film dà l’impressione di voler ironizzare sullo scollamento dalla realtà dei giovani e degli adulti, dei borghesi e dei fricchettoni, delle femmine e dei maschi, mescolando la morte e la vita, il caso e la necessità, il gioco e la realtà. Ma lasciando invece l’impressione di una superficialità gratuita e un po’ furbesca (ha funzionato a teatro, funzionerà anche al cinema), che usa i toni della commedia per affrontare temi più seri e complessi ma che finisce per rendere tutto banale.” (Paolo Mereghetti, Corriere della Sera)

“…Salta agli occhi la ricercatezza dell´impianto visivo: ogni situazione un colore. È un film coloratissimo e questa sua caratterizzazione cromatica risulta determinante nel formarne il tono, lo spirito. Che sa essere lieto e malinconico, leggero e denso, brillante ma anche portatore di un pensiero. Questo: i personaggi in campo testimoniano la paura che ci assedia tutti – timore di tutto, ma soprattutto di provare a essere felici – tuttavia il film dice che abbiamo il diritto e anche il dovere di provarci. A reclamare la felicità.” (Paolo D’Agostini, La Repubblica)

“…Commedia sulla famiglia italiana con un titolo da merendina, lascia ampio spazio alle battute, alla recitazione anche un po’ sopra le righe e si trasforma ben presto in una trappola sapiente dove scontrarsi con alcuni punti dolenti del mondo contemporaneo o meglio del penoso microcosmo italiano fatto per lo più di volgarità, razzismo, spaesamento e paura. Interessante il suo modo di provocare la risata che dal fondo di un pozzo oscuro fa emergere quello che sarebbe meglio restasse sommerso: non siamo poi troppo lontani dal mondo di Io non ho paura, dove si distillavano sotto forma di personaggi circoscritti caratteristiche ben più vaste di un intero paese. Apparentemente Salvatores si dedica alla commedia, in realtà non tralascia il metro del discorso morale dei suoi ultimi film.” (Silvana Silvestri, Il Manifesto)

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