Cinema

"L’uomo che sorprese tutti" da una leggenda siberiana un film pieno di poesia e tenera durezza

Dalla Mostra del Cinema di Venezia la recensione del critico Sandro Avanzo. (contiene spoiler)

“L’uomo che sorprese tutti”

di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov

Tendenza: 5/5 (TTT)

Voto:  

 

Chissà quanti maschietti malati terminali sarebbero disposti a intraprendere il percorso del protagonista di questo singolare film russo, pur di salvarsi dalla morte?!? La coppia di cineasti Natasha Merkulova-Aleksey Chupov, coniugi nella vita, riprendono antiche leggende siberiane e per il loro primo lungometraggio le declinano in chiave sessuale.

Egor è una guardia forestale coraggiosa ed efficiente che tiene a bada i bracconieri della taiga. È anche un cittadino impegnato nella vita del villaggio assai stimato dai compaesani, nonché marito premuroso e padre affettuoso in attesa del secondo figlio. La sua esistenza cambia quando scopre di essere stato colpito da un cancro che gli lascerà due soli mesi di vita. Nessuna cura sembra potergli giovare, non la medicina ufficiale della metropoli, né i riti della sciamana del paese che però gli canta un’antica ballata in cui si favoleggia di un’oca bianca di sesso maschile che viene a sapere i termini esatti della propria prossima fine ma riesce a sfuggire alla morte imbrattandosi di fango le piume per non farsi riconoscere e mimetizzato si mescola al branco delle anatre, così che quando la grande mietitrice arriva per portarlo con sé non lo riconosce e così si salva. Se quell’oca c’è riuscita anche Egor intende farlo, ingannerà la morte diventando un’altra persona totalmente differente: una donna. Dal momento in cui prede la decisione non dirà più una sola parola con nessuno, totalmente muto anche con la moglie e i familiari, e si ritirerà in luoghi sempre più remoti, prima la sauna esterna del cortile poi una capanna nel bosco.

Sembra una soluzione facile da attuare, ma per quanto limitata possa essere la vita sociale di un borgo certe stranezze volano veloci di bocca in bocca e comportano un bruciante stigma. Il figlio viene deriso e malmenato dai compagni di scuola (Se tuo padre è un frocio, anche tu sei un frocio), gli stessi compaesani che prima facevano le collette perché si potesse far visitare dai grandi luminari ora lo coprono di bastonate. Ma Egor persiste deciso nel suo piano segreto, risponde alle persecuzioni con l’ostentazione scandalosa agli altrui occhi (anche a quelli della moglie che non lo può capire) e se ne va orgogliosamente in giro all’emporio del paese come al ballo della festa, sempre fasciato nel suo abito da donna color fragola e calzando scarpe tacco 10, e alla bisogna – dopo un pestaggio – si lecca in silenzio le ferite chiuso nel suo mutismo. Sempre più solo ed emarginato, finisce a vivere in un bosco ed è qui che viene raggiunto e sodomizzato da un branco violento di maschi infoiati e brutali. Il calvario è infinito, doloroso e lacerante ma alla fine la tomografia assiale computerizzata emette il proprio definitivo responso: guarito! Dove accidenti sono le metastasi?!

Il mito raccontato dalla sciamana ha vinto!!! Scandito nei ritmi di una ballata musicale il film si sviluppa come una favola nera contemporanea, più (lieto?) racconto della (buona?) notte per adulti che non racconto realistico o allegorico. Con momenti di grande cinema come la sequenza della prima incerta e lentissima vestizione ripresa in controluce – il tanga per primo, poi i collant, l’abito lungo al polpaccio, ultime le scarpe – o la scena tutta senza parole in cui la moglie abbraccia il marito per dimostrargli la propria accettazione e il proprio amore anche senza averne compreso il comportamento. Una magnifica fotografia dei paesaggi contribuisce al tempo stesso a creare una dimensione di claustrofobia degli esterni e di vastità degli spazi interiori. Tutto in contrasto: il silenzio contro il vociare, il borgo contro la dimensione cittadina, la famiglia contro il paese… ma soprattutto il giudizio sui valori del genere maschile (dominante) contro quelli femminili (subalterni). Egor non è un mitologico Tiresia che da uomo divenne donna per tornare uomo, ma la sua parabola intima deve completarsi totalmente, il suo corpo deve provare anche l’esperienza fisica della penetrazione da parte di un uomo, perché lui possa sperimentare per intero il sentire di una donna. Così è nel drammatico e devastante apice della sodomia, del sentire e del diventare per intero (come) una donna che la morte lo coglie (e i violentatori fuggono terrorizzati), ed è in quel preciso attimo che non è riconosciuto e riesce a ottenere la sua vittoria. Lunga vita alle leggende siberiane se ispirano ogni volta film di tanta poesia e tenera durezza!

Sandro Avanzo

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