Motel Woodstock

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Motel Woodstock

Terzo film del regista Ang Lee che esplora le problematiche gay. Basato sul libro autobiografico di Elliot Tiber, il personaggio che permise, con una telefonata, l’organizzazione di Woodstock. Siamo nel 1969 e Elliot, un aspirante arredatore d’interni che vive al Greenwich Village, deve rientrare a casa per aiutare i genitori a liberarsi da un’ipoteca che gli sta portando via il loro piccolo motel, “The El Monaco”. Con una telefonata metterà a disposizione l’albergo come centro base dell’organizzazione di un evento concerto, ospitato nella fattoria di un amico, Max Yasgur, che avrà una risonanza mondiale. Il film è una commedia divertente e piena di significati, un inno alla tolleranza e all’amore. Il protagonista Elliot è un gay che oltre a risolvere il problema dei genitori, ai quali farà finalmente il coming out, risolverà anche se stesso accettandosi ed entrando nel torrente della vita con gioia e sicurezza, aiutato da un’esperienza generazionale che ha cambiato per sempre la cultura di mezzo mondo.

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15 commenti

  1. Morgenstern

    Bel film, ben raccontato e divertente. Mi piacciono i film che raccontano storie vere. Qui sotto lo hanno detto quasi tutti, 3G sono troppe, l’omosessualità nel film è secondaria.

  2. Be’ forse tre G saranno troppe, ma una sarebbe stata poca visto che è proprio il protagonista ad essere gay, io direi che aggiustarlo su due andrebbe bene.
    A parte questo, bel film, molto suggestivo e credo fedele all’epoca in cui è ambientato. Mi è piaciuto abbastanza e lo consiglio.

  3. glbtmovie

    Io le tre GGG non le vedo proprio! Non so se ho visto un altro film ma di tematica gay affrontata in modo esplicito direi che non c’è neanche l’ombra, il coming out con i genitori è pura fantasia (sul film non c’è). Poi se invece vogliamo valutarlo in senso lato lo definirei un film ben riuscito.

  4. Carino, nnt da ridire..offre una prospettiva nuova, dal dietro, di woodstock senza mai mostrare il concerto..ma, addirittura 3 G? Ochei, il protagonista sarà anche gay, ma non mi sembra la cosa più visibile del film..c’è un solo bacio e io il coming out con i genitori non l’ho poi tanto visto .-.
    Bah..mi è sembrato un po’…vuoto, impersonale.
    Ma è un impressione personale, consiglio comunque di guardarlo =]

  5. E’ uscito da poco al cinema, aspetta che esca in dvd nei prossimi mesi..
    Oppure su qualche sito di film in streaming (ovviamente sono quelli ripresi al cinema, quindi la qualità è scadentissima!)

  6. Alessandro

    Un film di una leggerezza e levità che cela temi più consistenti. Dello storico concerto si vede poco, mentre è interessante il percorso di crescita e di auto-riconoscimento dei personaggi. Vale il prezzo del biglietto, sino a che sarà nelle sale consiglio di vederlo, riesce a proporre argomenti “complessi” in modo divertente e arguto.

  7. L’ho visto stasse;direi che sono abbastanza d’accordo con il giudizio dato da Solazzo del sole24 qui sopra.Però,considerando che Ang Lee è stato fedele alla biografia del protagonista-è una storia vera- ed è riuscito con realismo e leggerezza a restituirci lo spirito di quei giorni,dò un giudizio positivo all’insieme del film.Da vedere.

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Varie

“Da qualunque parte lo si prenda, sociologica o romantica o sessuale, il film di Ang Lee è bello divertente, originale. Racconta il ciclone Woodstock senza mostrarne il concerto, ci fa assistere ai preparativi del raduno rock del ’69 che sconvolse la vecchia America, col popolo hippy che prese d’assalto la zona sconvolgendo morale e salvadanaio della famiglia (mamma yiddish) col motel il cui ragazzo intanto diventa grande. E quando si plana sul quotidiano, qualcosa è cambiato. Bel cinema, che rispetta la privacy del mondo. Voto 8.” (Corriere della Sera)

“…Il film oscilla tra toni da commedia e lessico da documentario, con abbondanti citazioni dell´originale di Michael Waldeigh, vedi lo schermo che si scompone in due o tre visuali differenti, o il celeberrimo passaggio delle tre giovani suore. E poi il fango, i ragazzi “in viaggio”. Woodstock c´è tutta, ma vissuta ai margini di quello che accadeva sul palco, e diventa una travolgente iniziazione alla vita, quando questo significava vedere un mondo migliore, a portata di mano.” (Gino Castaldo, La Repubblica)

“… Ang Lee torna alla commedia, genere che non praticava dai primi anni ´90. Ci si trova ancora bene, però: lo dimostra in Taking Woodstock, raccontando con un buon ritmo e parecchio spirito il concerto del 1969, leggendario evento della controcultura americana che radunò mezzo milione di giovani per “tre giorni di pace e musica” passati alla storia… Quel che gli preme davvero, però, è fissare sullo schermo l´atmosfera di quei giorni, il senso di contagiosa euforia che autorizzava i giovani a sentirsi protagonisti di un mondo migliore, anche se poi rimasto irrealizzato. Ed è in tale clima che si innesta il motivo, secondario ma da sempre congeniale al regista, dell´omosessualità del protagonista, che finalmente si “libera” e viene (da lui, innanzitutto) accettata. Benché Ang Lee frequenti da molto tempo gli States, la ricostruzione è tanto più ammirevole per un autore proveniente da un´area culturale così diversa. Felice anche la scelta del cast…” (Roberto Nepoti, La Repubblica)

“…L’Ang Lee che non t’aspetti. Cambia genere, estetica, solo il modo narrativo rimane lo stesso, così come il cercare di vertere sui temi della libertà, anche e soprattutto attraverso la sessualità. … Ang Lee, usando split screen e altri mezzi visivi ed estetici per lui inusuali, ce li racconta, antefatti compresi. Erge ad eroe questo giovane gay che divenne la salvezza degli hippi, lo fa con ironia e leggerezza , riuscendo come sempre, più nel ritratto particolare (la famiglia ebreo-americana di Elliot è tragica ed esilarante) che in quello universale. Molto bella la prima parte, il film si perde nella seconda, sostenuto quasi esclusivamente dalla splendida colonna sonora, alla ricerca di una quadratura del cerchio improbabile e impossibile…” (Boris Solazzo, Il Sole 24ore)

“…Il film racconta tutto questo con una profusione di mezzi e un’adesione allo spirito hippie dell’impresa davvero encomiabile, omaggiando il documentario che Michael Waldeigh aveva montato su quell’evento (e uscito nel 1970: Woodstock – Tre giorni di pace, di amore e di musica) con un abbondante uso dello split screen, che divide l’inquadratura in diverse immagini. Ang Lee lascia ai margini del film il concerto vero e proprio per privilegiare l’impatto che le idee della controcultura ebbero sui vari protagonisti, a cominciare dal timido Elliot che in una scena memorabile si «libera» dell’incombente presenza dei propri genitori (genialmente interpretati da Henry Goodman e da Imelda Staunton) portando a esempio la libertà che la madre di Janis Joplin o il padre di Jimi Hendrix avrebbero concesso ai loro figli. Giocando così il film tutto sui contrasti tra le idee conservatrici degli adulti e lo spirito libertario dei giovani, concedendo «diritto di parola» ai precursori del travestitismo (come il marine in gonnella interpretato da Liev Schreiber) o ai paladini delle droghe e raccontando soprattutto la gloria un sogno destinato ben presto a perdersi tra compromessi e sconfitte.” (Paolo Mereghetti, Corriere della Sera)

“…nonostante, la mediocrità del film, Ang Lee, che lascia il concerto in fuori campo, sa comunicare quell’aria di libertà e di indisciplina alla legge di una stagione felice che mai sarà cancellata. Un’euforia che lo prende e libera anche lui dagli stereotipi del suo cinema…” (Mariuccia Ciotta, Il Manifesto)

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