MOTEL WOODSTOCK

Esce domani l’ultimo bellissimo film di Ang Lee che ricostruisce l’organizzazione del famoso evento musicale del ’69 attraverso la storia dell’omosessuale Elliot, dei suoi genitori e dei suoi amici.

Forse non sarà un capolavoro ma quest’ultimo film del nostro (intendo come soggetto la comunità gay) sponsorizzatore Ang Lee, “Motel Woodstock”, è un film perfetto nella ricostruzione di un’epoca, incisivo nella raffigurazione di una serie di personaggi indimenticabili (tra i quali metterei anche una marea di comparse che diventano uno dei protagonisti principali del film), coraggioso nell’affrontare temi come la critica dell’istituto famigliare, il rapporto genitori-figli, la liberazione sessuale, la contestazione pacifica, l’emancipazione, la conquista dell’autonomia, dell’autostima e della libertà, ecc.

Tutti temi serissimi che vengono però presentati in modo amabile e quasi divertente, grazie ad una scelta registica che utilizza a volte sfumature grottesche, vedi il ruolo della madre di Elliot (l’attrice Imelda Stauton già premiata a Venezia per “Il segreto di Vera Drake“) o quello del reduce dal Vietnam, Billy (un Emily Hirsch, già ammirato in “Into the Wild” e “Milk”, che in ogni film sembra voglia dimostrarci quanto di più sa fare), a volte toni da commedia dell’arte, vedi i membri del gruppo teatrale capitanati da un dinamico Devon (Dan Fogler) che usano la nudità per risvegliare dal torpore il pubblico tradizionalista, oppure il simpatico personaggio del travestito ex-marine Vilma (Liev Schreiber), che gioca un ruolo fondamentale nella crescita del protagonista Elliot (Demetri Martin).

Elliot è un giovane omosessuale liberato quando vive a New York, dove lavora come arredatore al Greenwich Village (partecipa anche alla rivolta di Stonewall, come racconta il libro autobiografico da cui è tratto il film) mentre diventa un timido, ubbidiente e velato figlio quando torna dalla sua famiglia, dove noi lo vediamo, per aiutarli nella gestione di uno sgangherato Motel in un piccolo paese della provincia.

Noi capiamo subito che è gay da una telefonata che riceve da un suo probabile ex compagno in partenza per san Francisco. Perfetta la scelta dell’attore, Demetri Martin, uno scrittore e attore comico al suo debutto sul grande schermo, non particolarmente bello, ma adattissimo per il personaggio anonimo di Elliot che all’inizio del film vediamo molto chiuso in se stesso, senza rapporti significativi con nessuno del paese. Comprendiamo subito che è un ragazzo combattuto tra gli obblighi famigliari e il desiderio di tagliare il cordone ombelicale, cosa difficile soprattutto per i sensi di colpa che gli impediscono di sottrarsi all’influenza dei genitori, che naturalmente non sanno nulla della sua omosessualità (che in quegli anni era accomunata a qualsiasi perversione) e che cercano di sfruttarlo in tutti i modi.

Il film è principalmente la storia della sua emancipazione e liberazione individuale, ambientata in un contesto libertario molto più ampio quale fu l’evento di Woodstock, uno dei simboli della ribellione generazionale degli anni ’60.

Elliot rimane incantato dal fascino del bellissimo Michael Lang (Jonathan Groff, un’altro attore esordiente che riempie la scena ad ogni sua apparizione, lunghi riccioli castani che incorniciano un viso angelico sopra ad un villoso petto appena coperto da un misurato gilet di pelle sfrangiato), il giovane organizzatore del Festival, un hippy in perfetto equilibrio tra affari e ribellione, che, senza cinismo od arroganza, riesce a trasmettere ad Elliot sicurezza e fiducia in se stesso.

Sicurezza che diventerà ancora maggiore quando riuscirà a baciare in pubblico (che lo applaude) per la prima volta un “superman” della troupe organizzativa che non nascondeva la propria omosessualità. La madre vede da lontano la scena.

Non assistiamo ad un coming out verbale di Elliot coi propri genitori, ma questi vedono e capiscono. Perchè anche loro, nel corso del film, crescono e da infelici e quasi muti prigionieri uno dell’altra si ritroveranno alla fine (grazie anche a degli speciali dolcetti alle erbe) coinvolti in un ballo frenetico e liberatorio, dopo il quale anche il rapporto col figlio sarà diverso.

Un altro grande e inaspettato aiuto arriva ad Elliot dal personaggio del travestito ex-marine Vilma (un bravissimo Liev Schreiber visto in moltissimi film, anche accanto a Hugh Jackman in “X-Men le origini: Volverine”), che diventa il responsabile della sicurezza nel Motel e soprattutto la persona che gli fa capire come si possa essere se stessi, senza vergogna e con semplicità, accettando serenamente la propria omosessualità. Vilma presenta aspetti virili e femminili insieme, non si preoccupa del giudizio degli altri, ed è generosa e protettiva. A proposito di questo personaggio Ang Lee ha detto: “Siamo tutti creature molto complesse. Com’è possibile che in una persona coesistano elementi così diversi come l’esperienza di guerra, il travestitismo e la bonta? Eppure è così, e per Vilma non è un problema. Se mai, il problema è degli altri. E’ stata una grande prova d’attore, per Liev”.

Il culmine della storia di Elliot arriva con una delle scene più “allucinate”, in tutti i sensi, del film. Non sarà solo un bacio ma un intenso e multiforme rapporto sessuale a tre nel chiuso di un furgoncino, dal quale uscirà dopo ore con una simbolica veste nuova, più parlante di qualsiasi discorso, anche verso i suoi genitori quando lo vedono arrivare felice ed estasiato come non mai.

Ang Lee è riuscito ancora una volta a trasmetterci perfettamente lo spirito di un evento, simbolo di una nuova epoca che ha cambiato gran parte del mondo, raccontandoci, con lievità e amore, una fetta di varia e semplice umanità.

Qui sotto alcune immagini dal film:

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