Dalla rassegna stampa Politica

Morgando: «Sì al patto tra Paolo e Monica Il partito rinasce con facce nuove»

…far confluire i voti di gran parte dell’elettorato cattolico democratico su un sinistrorso paladino dei diritti gay come Paolo Furia?…

Morgando: «Sì al patto tra Paolo e Monica Il partito rinasce con facce nuove»

di Gabriele Guccione

L’ex senatore: è la ribellione da Roma

«Il Pd ha bisogno di energie, idee e facce nuove più di tutto il resto, più della ricerca di funambolismi tra correnti. Restare chiusi nei nostri equilibri ci porta alla morte, all’asfissia. Ora si tratta di ridare voglia di futuro a questo partito». Indica l’avvenire e a qualcuno potrebbe suonare strano che a dirlo sia un grande vecchio come lui: il primo leader regionale dei dem in Piemonte, l’ex senatore dell’Ulivo e sottosegretario dei governi D’Alema e Amato, Gianfranco Morgando. Per lungo tempo, da quando nel 2013 si dimise da segretario in segno di protesta per l’assenza di piemontesi nell’esecutivo di Enrico Letta, era rimasto silenziosamente in disparte. Poi, oltre un anno fa, ha ricominciato a farsi sentire da semplice militante, anche attraverso il suo profilo Facebook. E ora, a 69 anni suonati (che compie oggi), ha deciso che è tornato il momento di scendere in campo per sostenere i giovani. E così prima ha appoggiato Monica Canalis e, dopo il risultato delle primarie di domenica, la strana e santa alleanza tra la giovane cattodem 38enne e Paolo Furia, ricercatore di 31 anni, candidato della sinistra.

Morgando, un cattolico, un ex popolare, da pochi mesi neodirettore della Fondazione Donat-Cattin, che vuole mettere insieme il diavolo e l’acqua santa e voltare le spalle ai suoi ex figliocci politici, quasi tutti usciti sconfitti dalle primarie. Che cosa le è successo?

«Molti si stupiscono, ma non c’è nulla di nuovo».

In che senso, scusi?

«Nel 2007 sono stato eletto segretario regionale durante la prima edizione delle primarie del Pd in una coalizione formata da ex popolari e dall’ala più a sinistra dei Ds».

Erano altri tempi: allora soltanto lei prese 82.150 preferenze. Oggi se si mettono insieme i voti di tutti e tre i concorrenti si arriva a malapena a 13 mila…

«Già, erano altri tempi e c’erano altri numeri, ma la serietà della competizione è la stessa. E noto una certa assonanza tra ciò che sta accadendo oggi e quanto accadde allora».

Di quale assonanza parla?

«Allora come oggi il problema era quello di non accettare una decisione presa ai tavoli degli equilibri romani».

Il rinnovamento e la discontinuità costi quel che costi: anche un’alleanza considerata spuria da tutti gli osservatori, che avrebbero giudicato più naturale un ricongiungimento tra ex della Margherita, com’è del resto Mauro Maria Marino?

«Le candidature di Furia e Canalis sono nate con un minimo comune denominatore: il rifiuto delle decisioni prese ai tavoli del potere romano. Sarebbe stato molto più strano che due liste che hanno riscosso lo stesso successo politico, al contrario di Marino indicato da tutti come vincitore sicuro, non si sostenessero a vicenda facendosi maggioranza. Il momento del rinnovamento generazionale non è più rinviabile».

Lo dice lei che è stato eletto deputato la prima volta nel 1992 con la Democrazia cristiana?

«Guardi, io ormai mi occupo di altro, faccio il semplice militante e come molti militanti nutro la speranza che questo partito continui ad avere un futuro».

Non stride che ad appoggiare le giovani promesse del Pd, i due trentenni Canalis e Furia, ci siano alcuni grandi vecchi della Prima Repubblica come lei, Giorgio Ardito, Giusi La Ganga?

«No, affatto: si può essere pensionati e fare altro, ma la passione politica resta. E per quanto mi riguarda in questa vicenda ho avuto un ruolo marginale, mi sono limitato a dare qualche consiglio».

Ma come si è finiti in questa situazione in cui i vecchi dirigenti del partito sono arrivati a criticare apertamente l’attuale gruppo dirigente, quello a cui lei stesso ha passato il testimone?

«Il partito ha subito un processo di personalizzazione e poi c’è stata una certa cristallizzazione dei gruppi dirigenti. I giochi di palazzo sono arrivati a contare più della realtà, del contatto con il mondo e i problemi delle persone. Chi ha a cuore il Pd ne ha sofferto, ma ora questa deriva è stata messa in discussione dal risultato della primarie di domenica: è un dato positivo, un’occasione importante».

A tal punto da far confluire i voti di gran parte dell’elettorato cattolico democratico, che aveva scelto Monica Canalis, quasi un’educanda a confronto del suo novello alleato, su un sinistrorso paladino dei diritti gay come Paolo Furia?

«Una segreteria regionale del Pd non si costruisce attorno al temi dei diritti civili, ci sono anche quelli, certo, ma a prevalere è volontà di dare risposte ai problemi sociali, economici, del lavoro. E poi conosco Monica Canalis e posso dire che su di lei è stato costruito un cliché: in realtà è una persona più attenta, riflessiva e dialogante di quanto si dica».

A dove porterà questo accordo?

«L’accordo ripropone l’idea di un Pd in cui si riconoscono aree culturali diverse: è un tema, quello della pluralità, che sembrava scomparso per sempre e ora torna al centro dell’attenzione, come ai tempi della fondazione della casa dei democratici. Già questo sarebbe un risultato importante».

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