Dalla rassegna stampa Cinema

Così l’Italia del secondo 900 raccontava il sesso in tivù

IERI LA PRESENTAZIONE DEL FILM «SEX STORY» DI CRISTINA COMENCINI
Così l’Italia del secondo 900 raccontava il sesso in tivù

Luca Castelli

In principio furono le gambe di Sabina Ciuffini, quindi arrivò l’ombelico di Raffaella Carrà, infine gli studi si schiusero a Ilona Staller, Cicciolina, la «Callas del sesso» come la definì e intervistò Enzo Biagi nel 1977. Proiettato in anteprima e alla presenza degli autori ieri al Grattacielo Intesa Sanpaolo, in replica oggi alle 17.30 al Massimo, «Sex Story» di Cristina Comencini e Roberto Moroni è un viaggio di un’ora alla scoperta del modo in cui l’Italia del secondo Novecento viveva il sesso e — soprattutto — lo raccontava sul piccolo schermo. «Quando abbiamo iniziato a scavare nelle Teche Rai, non credevo di trovare molto», racconta Cristina Comencini. «Invece è venuto fuori materiale incredibile. La televisione dell’epoca provava davvero a raccontare il costume del paese, mentre oggi si limita a proporre talk show politici».

Anno dopo anno, assieme ai centimetri di pelle nuda aumentano i temi affrontati: verginità, contraccezione, molestie, tradimento. «Con un limite temporale ben preciso: dalla nascita della Rai all’avvento delle tv di Berlusconi», spiega Roberto Moroni. «Un programma come “Colpo grosso” ha cambiato tutte le regole». A colpire, negli spezzoni recuperati da «Sex Story», sono soprattutto la sincerità e la schiettezza con cui si affrontano argomenti che in buona parte oggi sono tornati tabù, almeno in tv.

Al punto che dopo la proiezione uno spettatore sospettoso chiede alla regista se non si tratti di filmati mai trasmessi. «È andato tutto in onda», risponde la Comencini. «Ma capisco il dubbio, è lo stesso che ho provato io quando li ho visti».


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