Che cosa ci fa Umberto Eco in un giallo (molto chic) su Roland Barthes?
L’ultimo romanzo di Laurent Binet si intitola La settima funzione del linguaggio, un giallo che prende spunto dall’incidente stradale che causò la morte dello scrittore e semiologo Roland Barthes
NEGLI ANNI SETTANTA le star della cultura europea venivano dalla Francia. Personaggi come Barthes, Jakobson, Foucault, Kristeva, Sollers, Deleuze & Guattari, Althusser, i messia dello strutturalismo e della semiologia che cercavano messaggi e significati ovunque: nelle barzellette, nel sesso, nella follia, nelle auto (la Ds immortalata da Barthes in Miti d’oggi). Mostri sacri citati (più che letti) che ora sono protagonisti di un romanzo geniale e brillantissimo, giallo (con venature spionistiche) ma anche satira e parodia. Si intitola La settima funzione del linguaggio. Autore uno scrittore prodigio: Laurent Binet.
TUTTO COMINCIA con un fatto di cronaca vera. Il 25 febbraio 1980 il furgoncino di una lavanderia investe a Parigi Roland Barthes, celeberrimo scrittore e semiologo, che morirà per i postumi dell’incidente. Ma è stato davvero un incidente? Il fatto che l’autista del furgoncino sia un bulgaro è solo un caso oppure dietro c’è la cosiddetta “pista bulgara” (allora gettonatissima)? Del caso viene incaricato il commissario Bayard, uno che nei momenti migliori somiglia a Lino Ventura e non ha mai sentito nominare in vita sua Barthes e lo strutturalismo. Bayard, sbirro fino al midollo, è sospettoso al limite della paranoia. Quando Barthes è stato investito era reduce da una colazione chez François Mitterrand, il candidato socialista anti-Giscard d’Estaing alla presidenza della République. Solo una coincidenza oppure c’è una pista politica? E che fine ha fatto il misterioso documento dal quale Barthes non si staccava mai? Davvero quel manoscritto mette in pericolo la sicurezza nazionale? Cosa conteneva?
NON PUÒ MANCARE la pista sessuale. Barthes, così come Michel Foucault (più assatanato in materia), amava circondarsi di gigolò, giovani arabi un po’ marchettari assidui frequentatori delle più rinomate saune gay. Procedendo nell’inchiesta, il commissario si fa una cultura o, almeno, un’infarinatura di semiologia. Gli dà una mano Simon Herzog, un dottorando che diventa il suo Watson. La lezione di Herzog sui significati reconditi dei romanzi di James Bond è un capolavoro di semiologia pura. Un esempio: M, il capo di 007, si chiamerebbe così dall’iniziale di “mother” e svolgerebbe nel mondo narrativo di Fleming una funzione materna. Il gioco di Binet si fa duro, ma sempre in allegria, quando entrano in scena gli accademici amici di Barthes. Foucault, lo storico della follia e della sessualità, alla vista del tesserino di riconoscimento del commissario si mette a urlare: «Mi rifiuto di essere identificato dal potere!». La psicoanalista Julia Kristeva, donna glaciale, «dal fascino slavo velenoso», bulgara (come l’autista del furgoncino assassino!), viene sorpresa in cucina, durante una cena, con le mani strette ai fianchi di una ragazza cinese. (Il bello è che, dopo l’uscita del romanzo, la Kristeva si è trovata davvero al centro di uno scandalo spionistico).
IL PERSONAGGIO più divertente è il marito della Kristeva, lo scrittore Philippe Sollers, con le sue uscite provocatorie. «Gli omosessuali sono i nuovi gesuiti» è una delle sue frasi a effetto. «Socrate è un po’ l’Elvis Presley della retorica, un riferimento sicuro», un’altra. Sollers, descritto come un imbranato che non sa compilare un bollettino postale, è patito di tennis. Lui vede (semiologicamente) nei grandi campioni della racchetta i nuovi profeti: «Ah, Borg!… Il messia che viene dal freddo… Quando cade in ginocchio sull’erba di Wimbledon… le braccia incrociate… i capelli biondi… La bandana… La barba… È Gesù Cristo sull’erba». E McEnroe? Lui è Lucifero, il più bello di tutti gli angeli, quello che «cade sempre alla fine». Ma al centro del mistero di questo romanzo c’è Umberto Eco in persona. È lui che scioglierà l’enigma. Come? Ve lo racconterò la prossima volta.