Dalla rassegna stampa Televisione

Lo stravagante Papa firmato Sorrentino

Lo stravagante Papa firmato Sorrentino
CORRADO AUGIAS
CHE sarebbe stato un successo era scritto. La firma del regista che ormai si conferma tra i più prolifici oltre che più dotati autori non solo italiani.

IL SOGGETTO, ovvero il papa, in un momento in cui il papato romano, dopo un periodo di vicende negative che hanno accompagnato sia Karol Woytjla (il rapimento Orlandi, lo scandalo Ior) sia Joseph Ratzinger (la pedofilia, i corvi) sembra aver ritrovato con papa Bergoglio una missione pastorale che s’era smarrita. Non trascurerei i copiosi mezzi messi insieme dai produttori e dalla lungimiranza di Sky. Dunque, successo. Meritato. L’idea che mi sono fatto dopo le prime due puntate è che Paolo Sorrentino abbia trovato nel racconto tv il suo vero passo narrativo, il suo respiro, il suo ritmo. Complimenti, benissimo; ma per raccontare che? Questa è una domanda alla quale non si può ancora rispondere. Delle dieci ore di cui è composto il racconto ne conosciamo due, impiegate per presentare i personaggi e illustrare i loro rapporti. Che sono doverosamente difficili, problematici, segnati da contrasti profondi come ordina la legge del feuilleton ma suggerisce anche la realtà vaticana come l’abbiamo conosciuta. Difficoltà che riguardano le persone, il loro passato, la visione del mondo e della fede. Ma che prendono corpo e si sviluppano anche all’interno di ciascuno di loro. Il segretario di Stato, interpretato dall’ottimo Silvio Orlando, potrebbe sembrare una specie di Andreotti fatto cardinale – come forse il vero Andreotti avrebbe voluto; ma s’intuisce che la sua personalità non è solo quella del vecchio maneggione di curia. Anche il personaggio di suor Mary (Diane Keaton), che il papa sceglie come sua segretaria personale, ha già fatto balenare alcune interessanti sfaccettature. Lei e il papa sono entrambi americani, quando Pio XIII era rimasto orfano da bambino è stata suor Mary a fargli da madre. Ora il bambino è diventato la massima autorità cattolica. Interessante rovesciamento.
Poi c’è lui, Jude Law, che come sovrano regnante “sibi imposuit nomen” Pio XIII. La figura di Pio XII (Eugenio Pacelli) non ha ancora una sistemazione storica definitiva, fu un papa rigidamente conservatore, sospettato di simpatia verso il regime nazista che lo portò a sottovalutare in modo grave lo sterminio del popolo ebraico. Perché Sorrentino ha scelto per lui un nome così impegnativo? La risposta per ora non c’è. Law si presenta come un papa violentemente rivoluzionario, ma anche autoritario e sferzante; innovatore e reazionario insieme per arrivare fino alla blasfemia. In certe scene che sfumano nel sogno, il papa esorta i fedeli alla masturbazione, a ricorrere all’aborto, a praticare l’amore omosessuale. Arriva a dire: Non credo in Dio. Poi certo proclama il contrario, esorta, ordina, di ricordarsi solo di Dio, di dedicarsi solo a lui, intanto però il sogno c’è stato e già gli antichi sapevano che i sogni portano spesso la verità, Freud l’ha solo sancito. Come andrà a finire questo moderno, stravagante, assurdo papa, con il suo doloroso passato? Per una curiosa coincidenza, l’editore Raffaello Cortina ha appena mandato in libreria un apologo dell’etnologo Marc Augé dal titolo Le tre parole che cambiarono il mondo. L’autore immagina che nella Pasqua del 2018 papa Francesco apra il tradizionale indirizzo Urbi et Orbi gridando: “Dio non esiste!”. L’intento è morale: se in nome di Dio si commettono stragi e violenze, meglio azzerarne l’idea affidandosi alla ragione. Questo per quanto riguarda Augé. E Sorrentino? Lo sapremo alla fine di molte, intricate avventure.


“Ma la realtà della Chiesa è molto diversa”
PAOLO RODARI
L’INTERVISTA/DON DAVIDE MILANI, PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE VALUTAZIONE FILM DELLA CEI
CITTÀ DEL VATICANO.
«Tecnicamente è una serie tv ben fatta e anche se l’immagine del papato e del popolo di Dio che porta non è quella reale rappresenta una sfida per noi tutti». Don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e della Commissione nazionale valutazione film, ambedue della Cei, ha visto le prime due puntate di
The Young Pope.
Di queste parla, «tenuto conto del fatto che le altre puntate potranno suggerire altre considerazioni, visto che sono frequenti le inclusioni oniriche».
Dunque, le è piaciuta?
«È ben girata, con grande investimento di mezzi. Ed è apprezzabile che per questa produzione internazionale siano stati scelti attori ed un regista italiani ».
Dell’immagine di Chiesa che il film racconta cosa dice?
«Qui va detto, senza polemica ma come constatazione, che la realtà della Chiesa è ben diversa da quella mostrata nel film. Tutti possono conoscere chi sia davvero il Papa e quale sia la passione evangelica – assente da questa opera – che lo muove. Non soltanto Francesco, ma anche i predecessori erano ben lontani da quanto ho visto. E anche il popolo di Dio, qui presentato come massa di spettatori che attendono in piazza il Papa- divo per il suo show, è ben diverso nella realtà. Certo, uno ha il diritto di presentare il proprio film con una propria narrazione, ma anche da credente mi è sembra un discorso non aderente ai fatti. Non credo tuttavia che l’intenzione di Sorrentino sia quella di un racconto vero o verosimile del papato. È una finzione, un romanzo, forse un sogno. O un incubo».
Come deve porsi la Chiesa di fronte a questo film?
«Non spetta alla Chiesa dare patenti di legittimità o illegittimità in questo campo. Opportuno invece che fornisca elementi di lettura critici e culturali. E recepisca il film come sfida: come Chiesa possiamo investire per narrare con altrettanta bravura la nostra realtà. Molto è stato fatto in questo senso, gli ultimi lavori del Ctv rispondono a questa esigenza».
Cosa dice a chi non dovesse conoscere la realtà della Chiesa e rischia di intenderla come la propone la serie tv?
«Basta la parola del Vangelo: “Venite e vedete”. Non mancano occasioni per sperimentare cosa sono la Chiesa e il Papa ».


Quasi un milione di telespettatori per il debutto su Sky della fiction “The Young Pope”
Geniale o blasfemo divide il Papa di Sorrentino con ascolti record
ANTONIO DIPOLLINA
MILANO.
Un gran bel Papa. E non solo perché è Jude Law. L’arrivo di The Young Pope, serie tv in dieci puntate su Sky, smuove l’ambiente, attira gli entusiasti di Paolo Sorrentino, innesca mugugni e fa prevedere reazioni forti via via che il lavoro si diffonderà. Per la partenza Sky annuncia risultati corposi, 935mila spettatori complessivi sui vari canali, repliche comprese, ben superiori al debutto di
Gomorra (e questo magari era prevedibile).
Ma tra avversari, mondo cattolico in senso stretto, detrattori, si avvertono segnali di rivolta. Questo Papa che fuma – fumano tutti in questo Vaticano – che tenta di estorcere al cardinale le confessioni degli altri, che parte con il sogno della montagna di neonati in piazza San Marco e, a seguire, il discorso – sognato – in piazza San Pietro a base di amore libero e preservativi, che dice di non credere in Dio – sarebbe un paradosso, ma si sa come vanno queste cose: e che inoltre appare nella prima scena non sognata bello, di schiena, come mamma l’ha fatto, finisce per restare una provocazione in sospeso e in attesa. Ma per esempio c’è già Famiglia Cristiana che non ci sta, il critico Maurizio Turrioni descrive il Papa- Law (“Il Papa bono” secondo i lazzi del web) come “una macchietta che strizza l’occhio al pubblico americano”. E ancora, pur tra lodi per la potenza visiva di Sorrentino, la richiesta di violare il segreto della confessione è “blasfemia” e lo sguardo del regista sulle cose di Chiesa (“Nemmeno una preghiera in due ore”) è “freddo, un bluff piuttosto che un flop”. E perfino il magnifico Silvio Orlando viene additato come interprete macchiettistico, il suo Segretario di stato sarebbe una sorta di “Andreotti del Vomero”. Per chiudere chiama a sostegno addirittura Nanni Moretti, il cui Habemus Papam, per il critico del settimanale cattolico, aveva pietas e profondità di pensiero che The Young Pope si sogna.
E il paragone con il film di Moretti verrà battuto parecchio, a occhio, in futuro, pur essendo imparagonabile il film all’esperimento di serie tv tentato dal premio Oscar. Per non dire degli altri esempi tv con le vite dei papi in primo piano, su RaiUno il Wojtyla impersonato da Jon Voight o magari anche il papa Luciani, sempre RaiUno, va da sé, interpretato da Neri Marcorè e altri esempi si potrebbero fare.
E che dimostrano quanto in realtà sia forte lo spariglio proposto da Sorrentino. Per Sky, in realtà, se c’è da vantarsi è di aver sostenuto una serie che cambia la prospettiva, al momento ferma al luogo comune “i registi del cinema si danno alle serie tv”. Sorrentino è andato oltre: l’estro del regista (che serve a tutti: agli estimatori, ai detrattori, a Crozza) mette cinema vero giocando alla tv, prendendosi libertà che si potranno sempre giustificare con il prodotto ibrido. In un lavoro in cui ci si diverte, ci si sorprende e vanno in debito d’ossigeno quelli che vorrebbero eccepire. Jude Law non ha bisogno di altre soddisfazioni dalla vita: voler sempre più bene a Silvio Orlando è invece un attimo. C’è un buon motivo per attendere venerdì prossimo e anche i successivi.
L’OMELIA DEL SOGNO
Nella prima scena della serie Papa Pio XIII (sopra, interpretato da Jude Law) sogna di pronunciare queste parole durante un’omelia:
“Ci siamo dimenticati di masturbarci, di usare contraccettivi, dell’aborto, di celebrare i matrimoni gay, di dare la possibilità ai preti di amarsi e di sposarsi, ci siamo dimenticati di avere rapporti senza scopo di procreazione, e senza sentirci in colpa, di divorziare, di far celebrare la messa alle suore, di fare figli in tutti i modi che la scienza ha scoperto. Ci siamo dimenticati di essere felici.”

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