La filosofa e parlamentare si confronterà con il pubblico su un tema scottante, che da mesi è diventato terreno di scontro nelle scuole, nelle amministrazioni, in parlamento: la cosiddetta «teoria del gender» che per alcuni vorrebbe abbattere le differenze biologiche e confondere nelle menti dei bambini i valori fondamentali del vivere umano.
S’immaginava questa crociata contro il pericolo gender?
«In realtà no. Cioè, sapevo che c’era molta confusione e tanta paura generata dalla propaganda anti-gender portata avanti da associazioni cattoliche integraliste come ProVita, Manif pour tous Italia e Giuristi per la vita, ma non immaginavo che la polemica sarebbe diventata così ampia e, a tratti, anche violenta. Il motivo per cui avevo deciso di scrivere il libro, d’altronde, era proprio quello di fare chiarezza in un momento in cui l’Italia è attraversata da una vera e propria frattura culturale che impedisce il dialogo».
Per dissolvere gli equivoci, ci dica lei cosa è questa «teoria gender».
«Non esiste una sola teoria, ma una molteplicità di studi di genere — visto che il termine gender è solo il vocabolo inglese per il quale da anni esiste la traduzione italiana, ossia genere . Dopo che per secoli ci si è riferiti alle differenze esistenti tra gli uomini e le donne solo attraverso il termine sesso , negli anni Cinquanta, prima negli Usa, poi anche in Europa si è cominciato a capire che sarebbe stato meglio distinguere il sesso dal genere , anche semplicemente perché il sesso rinvia direttamente alle caratteristiche genetico-biologiche, mentre il genere designa il complesso di regole, implicite o esplicite, sottese ai rapporti tra uomini e donne. Da allora, gli studi si sono moltiplicati. C’è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della virilità, c’è chi ha cercato di spiegare e di mostrare che l’orientamento sessuale non è una conseguenza inevitabile della propria identità di genere, e che essere gay non significa non essere pienamente uomini così come essere lesbiche non significa non essere pienamente donne. E via dicendo».
In altre parole è un libro che parla dell’eguaglianza nella diversità. È questo lo scandalo?
«Sembrerebbe di sì. Contrariamente ai fantasmi di chi se la prende con l’insegnamento del gender , l’educazione all’affettività e alla tolleranza nei confronti delle tante differenze non ha come scopo quello di spingere i maschietti a diventare femmine o le femminucce a diventare maschi. Esattamente come non si insegna a un eterosessuale a diventare omosessuale o a un omosessuale a diventare eterosessuale. Lo scopo è solamente quello di favorire il rispetto di chiunque, e quindi l’uguaglianza, indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale, perché non è vero che un gay o una lesbica siano dei mostri e non è vero che se una bambina gioca con i soldatini o un bambino con le bambole siano “sbagliati”».
Lei si dichiara cattolica. Ma proprio il mondo cattolica sembra ostile a questo. Vede segnali di apertura nella Chiesa?
«Il mio orizzonte è sempre e solo quello della fede, una fede certo piena di contraddizioni e di fratture, una fede certo fragile, ma una fede che c’è, e che da sempre mi porta a cercare di difendere l’estrema vulnerabilità della condizione umana. Ciò detto, a parte i movimenti estremisti che pensano e si illudono di essere i soli detentori della “verità”, mi sembra che nella Chiesa si comincino a vedere segnali di speranza. Penso al Cardinal Kasper e al suo ruolo durante il Sinodo sulla famiglia. Ma penso anche ad alcuni lavori molto interessanti del teologo Migliorini sull’omosessualità».
In Francia, dove lei insegna, hanno legalizzato le unioni civili per coppie gay. Che è successo poi?
«Niente. Le coppie omosessuali possono condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali. Una questione di uguaglianza, quindi. E di civiltà».