VALDAGNO (VICENZA) E dunque eccola Michela Marzano, «l’untrice», la filosofa dell’Università Descartes di Parigi che secondo il sindaco di Padova Massimo Bitonci approda in Veneto per diffondere tra le genti di qui il germe del gender, «un’ideologia liberticida, violenta e totalitaria», la scrittrice che vuole «propinare ai nostri bambini» idee non soltanto balzane ma proprio «anticostituzionali», la deputata Pd che, in combutta con un network non meglio identificato, vorrebbe «distruggere la famiglia naturale» fatta da un papà (maschio), una mamma (femmina) e i loro bambini (maschi e femmine e stop). È una donna minuta, infreddolita e sorridente, «parlo molto, fermatemi se serve», che quando fa capolino nella sala di Palazzo Festari a Valdagno per la prima tappa veneta di presentazione del suo libro «Papà, mamma e gender» (oggi sarà a Venezia, domani a Padova), quasi s’imbarazza di fronte all’applauso. In platea ci sono tante nonne, tante mamme, tante figlie, e insomma tante donne (mariti e fidanzati un po’ meno), non per forza iscritte all’oscuro network liberticida ma semplicemente curiose di capire cosa sia questo benedetto gender di cui tanto si (s)parla (in questo senso la buriana alzata da Bitonci ha avuto un insperato effetto megafono, i libri all’ingresso sono andati a ruba prima dell’arrivo della protagonista, la sala all’ora di cena è stipata ben oltre la misura). All’incontro avrebbe dovuto presenziare un esponente del mondo cattolico che però, spiegano gli organizzatori, «non è stato trovato». Qualcuno si attendeva le proteste alla porta dei movimenti per la vita ma inutile nasconderselo, Valdagno non è Padova e se qualcuno ci aveva pensato, forse ha rinunciato scoraggiato dalla logistica. Marzano premette, anticipando la domanda che ronza in testa un po’ a tutti, di essere eterosessuale e cattolica; poi, sgombrato il campo dai pregiudizi personali, attacca con «l’essenzialismo ontologico» e va avanti per quasi due ore, mettendoci molto della sua vita privata (come la vicenda del fratello gay), strappando parecchi sorrisi, comunque senza mai citare né Bitonci né i molti altri che l’hanno citata in questi giorni. «Partiamo da un dato di fatto, incontrovertibile: geneticamente si nasce maschio o femmina, così identificati dai cromosomi e dall’apparato riproduttivo. Ma anche gli animali sono maschi e sono femmine mentre quando si parla del “genere” si parla di tutto il resto dell’umano, l’insieme delle scelte, dei valori e dei comportamenti che sono in parte socialmente costruiti. Ebbene – prosegue Marzano – se nella stragrande maggioranza dei casi c’è una correlazione tra l’essere maschi e femmine e l’essere uomini e donne, che è un sentimento precoce, duraturo e profondo, non possiamo fingere di non vedere che esiste una piccola percentuale di maschi e di femmine che questa corrispondenza non ce l’hanno, che non vivono questo sentimento in modo armonico e spesso in situazioni drammatiche si scoprono, crescendo, prigionieri di un’organicità che non collima con ciò che sentono. Una tragedia che esplode nella sua evidenza nei racconti dei trans, costretti ad operazioni dolorosissime per cambiare la loro identità». Come si risolve, anche giuridicamente, questa dicotomia? La domanda è epocale, almeno per i tempi che viviamo, almeno a giudicare dal caos che esplode quando ci si confronta politicamente con l’argomento. Marzano è una filosofa della morale e, spiega, «da anni a livello accademico si stanno studiando questo tipo di problematiche che ruotano a ben vedere tutte attorno al concetto di uguaglianza. Per me l’uguaglianza è un valore intrinseco, che ogni persona ha dentro di sé a prescindere dalla sua natura. Attenzione: questo non significa affatto che un ragazzo e una ragazza “sono uguali”, che poi è il punto su cui battono i movimenti per la vita sviando dalla questione, significa distinguere il piano scientifico, biologico e descrittivo da quello valoriale». La serata prosegue tra gli applausi nella condivisione più totale. Solo quando la presentazione sta volgendo al termine, e si passa alle domande, si alza dalla platea una signora che, contestando Marzano, afferma che «certe teorie», portate nelle scuole, «finiscono per fare confusione a bambini che confusi non sono affatto». Il confronto tra le due è pacato e, nonostante qualche acuto, educato, sebbene gli applausi siano a senso unico. Alla fine, ovviamente, ciascuno resta della propria idea. Ma le idee sono state messe a confronto e sciamando molti ne discutono, ci mettono del loro. È possibile. Alle volte basta incontrarsi. Basta una sala.
da Corriere della Sera
Gender, non parlarne è una scelta sbagliata
S arà perché è in inglese, ma la parola gender sembra ormai diventata nel nostro Paese una minaccia tale da dover essere interdetta e vietata nello spazio pubblico. Così il sindaco di Padova è arrivato a negare la sala del Comune dove avrebbe dovuto essere presentato il nuovo libro della filosofa Michela Marzano, Papà, mamma e gender , uscito solo qualche giorno fa per la Utet.
L’inquietante gesto di Massimo Bitonci è paradossalmente la conferma di quel che Marzano denuncia sin dall’inizio nel suo libro: «L’ostilità crescente nei confronti di ogni iniziativa finalizzata a decostruire gli stereotipi sessisti e omofobi». Che senso ha impedire il dibattito, fare in modo che non ci possa essere né riflessione né, addirittura, informazione? Tanto più che si pretende di sapere che cosa sia la «teoria del gender », mentre spesso domina l’ignoranza. E così si immagina che il gender sia quasi un demone maligno che viene a squassare la famiglia. Meglio sarebbe allora tacere — e far tacere — sull’argomento.
Che il divieto abbia colpito il libro di Marzano è triste, perché si tratta del tentativo di far luce sulla questione con toni dialoganti. Fino a che punto il genere sessuale è determinato biologicamente e fino a che punto è una costruzione culturale? Parliamone. Ma con la delicatezza e la profondità che un tale argomento richiede. Anche perché, proprio in Italia, un certo modo di considerare il genere — maschile e femminile — ha portato a modelli normativi, spesso accettati acriticamente anche dai più giovani, i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti. E dovrebbe ormai essere chiaro che dove si discrimina chi è diverso si finisce per avallare la violenza. Speriamo, dunque, che a Michela Marzano si aprano molti spazi pubblici in cui possa esserci un confronto sui temi del suo libro . Donatella Di Cesare