Dalla rassegna stampa Cinema

CANNES - Le passioni di Cate

Scene lesbo di Blanchett, diva applaudita «Ma sono stata fraintesa, non amo le donne»

Le passioni di Cate

Scene lesbo di Blanchett, diva applaudita «Ma sono stata fraintesa, non amo le donne»

CANNES Essere lesbica, soprattutto alla luce del sole, non è mai stato facile. Non lo era nei primi anni 50, quando uscì The Price of Salt e l’autrice, una giovane Patricia Highsmith, dovette trincerarsi dietro lo pseudonimo di Claire Morgan per raccontare una molto autobiografica storia d’amore tra una commessa di un grande magazzino, reparto bambole, e una matura cliente alto borghese. «Non lo è nemmeno oggi» assicura Cate Blanchett, protagonista con Rooney Mara di Carol , regia di Todd Haynes, accolto con applausi tra i più caldi del festival.
«Essere omosessuale è tuttora illegale in 91 Paesi al mondo, da qualche parte si rischia persino la morte — riprende Cate —. Ma anche dove lo stato non interviene non è semplice dichiararsi apertamente. Viviamo in una società conservatrice, piena di pregiudizi». Sarà per questo che qualche giorno fa era rimbalzato tra i media il coming out sorprendente: Blanchett avrebbe avuto diverse liaison al femminile. «In realtà l’informazione era incompleta — precisa —. Certo, ho detto di aver avuto molte relazioni con delle donne. Ma alla domanda successiva, se fossero state sessuali, ho risposto no. Peccato che quella seconda parte non sia stata pubblicata». Ah ecco… E poi Cate è sposata da quasi vent’anni, ha quattro figli… Credenziali che però non danno garanzie.
Anche la sua Carol poteva vantare marito e bimbetta appresso. E quel sorrisetto divertito con cui lei sembra voler prendere in giro tutti, qualche margine d’ambiguità lo lascia. «Ma infine — taglia corto — nel 2015 l’orientamento sessuale non dovrebbe essere più materia di conversazione».
«Rispetto all’epoca della storia, quando i gay erano isolati, oggi le cose sono cambiate tant’è che si può girare un film come questo. Ma c’è ancora tanto da fare prima che l’omosessualità non sia più considerata un problema», aggiunge Rooney, la bruna Theresa del film, occhi da cerbiatta, look alla Audrey Hepburn. Una fragilità acerba, piena di promesse, che seduce al primo sguardo l’elegante e algida Carol. Con la scusa di un paio di guanti dimenticati, la contatta, la invita a pranzo, poi nella sua bella casa, poi a partire con lei su una morbida berlina, senza meta né legge. Ma la corsa di quelle Thelma e Louise ai tempi dei telefoni a muro, dei frigo bombati, dei cappotti ampi, dei cappellini a virgola appuntati sullo chignon, viene fermata ben presto dalle minacce del marito che, fin tanto che le scappatelle della moglie restavano affare privato poteva passarci sopra, ma davanti alla prospettiva di uno scandalo minaccia la rea di sottrarle la figlia.
Carol torna in famiglia, ma il ricordo delle carezze di Therese non la lascia. I dettagli, come i silenzi, sono la chiave di ogni amour fou, e la fotografia di Ed Lachman si sofferma sui colli, le caviglie, le mani che si sfiorano. Nudità pudiche di due donne che si svelano prima di tutto a se stesse. «Mostrarmi in intimità con Rooney non mi ha creato imbarazzi — assicura Cate —. È una scena di sesso come un’altra». «Direi anzi che è stato piacevole, sono abituata al nudo», ricambia Rooney.
Atmosfere e sentimenti che evocano un altro magnifico film di Haynes, Lontano dal Paradiso , dove era Julianne Moore a scoprire che il consorte preferiva gli uomini. Ma Hollywood sembra preferire le lesbiche… «Forse perché lì gli uomini sono la maggioranza — ride Heynes, gay dichiarato —. Però alla fine, gay o lesbiche non cambia molto. Il problema è politico: ciascuno deve avere il diritto di vivere la sua vita come gli pare».
Giuseppina Manin

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«Carol» perfetta in quei patinati Anni Cinquanta

Ammirati dalla maestria della messa in scena (e mai termine fu più pertinente: qui davvero la regia «dispone» i suoi personaggi nell’inquadratura come un pittore sulla tela, davvero li mette «nella scena»), Carol di Todd Haynes ti lascia però addosso una sottile insoddisfazione, quella che nasce da una perfezione troppo controllata e ricercata. Quasi un rimpianto per la vitalità degli errori e delle sbavature. Portando sullo schermo il romanzo che Patricia Highsmith pubblicò nel 1952 con lo pseudonimo di Claire Morgan, Haynes ritrova le atmosfere e l’eleganza del suo Lontano dal paradiso . Anche qui siamo all’inizio degli anni Cinquanta, anche qui c’è un matrimonio in crisi, questa volta per scelta della moglie Carol (una perfetta Cate Blanchett), non più disposta a fingere con un marito schiacciato dal perbenismo dei ricchi genitori. Non era certo un segreto la relazione che la donna aveva avuto con l’amica Abby, ma è l’incontro con l’aspirante fotografa Therese (Rooney Mara) a far precipitare le cose, complicate dalla lotta dei genitori per l’affidamento della piccola Rindy. Abilissimo nel trovare assonanze tra la psicologia dei suoi personaggi e l’ambiente in cui si muovono (grazie alla fotografia di Ed Lachman, alle scenografie di Judy Becker e ai costumi di Sandy Powell, tutti bravissimi), Haynes costruisce il film per quadri successivi — la referenza a Hopper è di rigore — privilegiando i primi piani e con controllatissimi movimenti di macchina, filmando con delicatezza e pudore l’unica scena di sesso e restituendo l’atmosfera di ovattata repressione che la società stendeva sulle donne che non accettavano il decoro borghese dell’eterosessualità. Tutto perfetto, tutto giusto ma senza quelle sbavature di imperfezione (o di eccentricità) che avrebbero reso più palpitante il film. Mon Roi di Maïwenn, invece, di scontri e tensioni familiari ne ha fin troppi, mentre racconta per due ore e dieci la crisi di coppia di Giorgio (Vincent Cassel) e Tony, cioè Elisabeth (Emmanuelle Bercot, la regista del film che aveva inaugurato il festival). L’occasione è la lunghissima riabilitazione cui deve sottoporsi la donna dopo un incidente sugli sci: nella solitudine ripensa al suo matrimonio finito malamente, fatto all’inizio di passioni e risate, trasformatesi poi in dolori e lacrime. Catullo aveva sintetizzato tutto in un distico perfetto (l’85: Odi et amo, quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Odio e amo. Per quale motivo lo faccia, forse ti chiederai. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento ), Maïwenn gonfia lo stesso tema con una serie infinita di flashback, che non fanno progredire la sceneggiatura ma la ripetono sempre uguale, ora puntando sulla volubilità sentimentale di lui (decisamente irritante nel suo orgoglio di maschio ricco e viziato) ora sulla fragilità psicologica di lei. Senza mai dare una svolta alla storia né portare i suoi personaggi a una qualche presa di coscienza dei propri comportamenti. Finendo così per sprecare anche l’ottima prova dei due protagonisti.
Paolo Mereghetti – VOTO: 3/4


da La Repubblica

Il giorno di Cate Blanchett protagonista di “Carol”, storia saffica di Todd Haynes

Donne in festival
“Non sono lesbica ma se anche fosse?”

ARIANNA FINOS

CANNES – LA terza declinazione di questa Cannes prepotentemente donna è la Cate Blanchett di Carol, melodramma saffico firmato da Todd Haynes. Applausi e già una candidatura alla Palma d’oro per l’algida bionda . Ancor più dell’imperatrice furiosa Charlize Theron e della regina dolente Salma Hayek, l’attrice australiana incarna il volto glamour del carisma al femminile nel cinema. A Cannes, Blanchett gestisce il potere mediatico senza inibizioni: prende in giro il New York Times che, ultimo, ha sottolineato che questo è l’anno della femme: «Speriamo non sia una moda passeggera ». Poi smentisce con grande classe Variety che in un’intervista le attribuiva una frase sui suoi presunti rapporti lesbici: «Mi è stato chiesto se avessi avuto relazioni con donne, ho risposto di sì. Poi se avessi avuto relazioni sessuali e ho detto di no. Ma questa seconda parte non è stata pubblicata. La cosa assurda è che nel 2015 ancora importi a qualcuno se io sono gay o no. Forse sono fuori moda, ma sono convinta che essere un’attrice non significhi rappresentare solo un microscopico universo personale, ma cercare di entrare in connessione con altri esseri umani e consegnarne le emozioni al pubblico».
Ci è riuscita interpretando Carol, bellissima borghese, infelicemente sposata e con bimba piccola. Quando il marito la minaccia di toglierle la custodia della figlia, lei parte con la giovane Therèse per un viaggio alla scoperta della propria identità e di un sentimento difficile da difendere in una società paranoica e conformista come l’America del Dopoguerra. «È importante che siano fatti film come questo — sottolinea l’attrice — perché in 70 nazioni nel mondo l’omosessualità è ancora illegale, viviamo in tempi profondamente arretrati. La sessualità è una questione privata, e non ritengo obbligatorio dichiarare i propri gusti».
L’attrice ha creduto talmente al progetto da esserne anche produttrice esecutiva. La fiducia nel regista Todd Haynes, per il quale aveva incarnato Bob Dylan in Io sono qui , le ha permesso di girare stavolta scene di nudo e amore lesbico «molto importanti per lo sviluppo della storia». Pochi imbarazzi dunque: «Aver dato alla luce quattro figli davanti a un gruppo di sconosciuti, ha sicuramente cambiato il mio concetto di nudità. E Todd mi ha spiegato nei minimi dettagli come avrebbe ripreso la scena. C’era un po’ di tensione, ma non perché le scene d’amore fossero con una donna. Anzi a tratti è stato piuttosto divertente, anche perché stimo e apprezzo Rooney Mara».
L’ambiziosa Blanchett ora punta alla regia: un film dal romanzo La cena di Herman Koch, «ma ho bisogno di tempo, sono travolta dagli impegni. E poi, quando sei abituata a confrontarti con registi del calibro di Haynes, Fincher, Scorsese, sai che devi avere le idee molto chiare prima di battere il ciak».

Se deve vestirsi da gran sera Cate Blanchett non si risparmia. La star di “Carol” sale le scale del Palazzo del cinema col suo abito stile dama fuggita dal quadro
SUL SITO
Lo speciale sul Festival di Cannes con le video interviste, le foto, il programma e le cronache dei nostri inviati

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L’“amour fou” raccontato in tutte le sue declinazioni

ROBERTO NEPOTI

CANNES – Giunti a metà Festival, ancora non si vede il film che possa contendere a Moretti le preferenze manifestate dalla stampa internazionale. Non ne sembrano in grado le opere in concorso Carol di Todd Haynes e Mon roi di Mïwenn, entrambe variazioni sul tema dell’amore più o meno “fou”.
Haynes adatta, con un’eleganza simile a quella già mostrata in Lontano dal Paradiso , un romanzo di Patricia Highsmith sull’amore che sboccia tra due donne: la sofisticata Carol e la timida Terry. Sentimento cui l’America bacchettona dei tempi di Eisenhower vuol mettere i bastoni tra le ruote.
Ma la passione raccontata, malgrado una certa sensualità circolante per le immagini (non in quelle della scena di nudo, però), risulta più “detta” che mostrata.

VOTO: 3,5/6

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da VanityFair.it

Cannes 2015, Cate Blanchett: «Non sono omosessuale»

Le sue parole («Nella mia vita ho amato molte donne»), pronunciate alla vigilia del Festival di Cannes, avevano scatenato il gossip sulla sua (presunta) omosessualità. Ma oggi Cate Blanchett smentisce: «Sono stata fraintesa». Un dubbio, però, resta

Raffaella Serini

C’era da aspettarselo che la «smentita» – o quasi – prima o poi sarebbe arrivata. A Cannes, alla conferenza stampa del film Carol – in cui Cate Blanchett interpreta una donna perdutamente innamorata di un’altra donna (Rooney Mara) – l’attrice australiana ha chiarito di non essere «omosessuale». Il riferimento è alle “scioccanti” dichiarazioni rilasciate in un’intervista a Variety, e che prima di partire per il Festival tanto clamore avevano suscitato.

Alla domanda se fosse la prima volta che interpretava il ruolo di una lesbica, il due volte premio Oscar aveva infatti risposto: «Nella vita reale o sul set?», lasciando intendere di essere stata intima con altre donne e scatenando il gossip sulla sua (presunta) bisessualità. Niente di vero, smentisce oggi Cate, sono stata fraintesa: «Mi è stato chiesto se avevo relazioni con donne. Ho risposto sì (“molte volte”, ndr), ma non mi riferivo a relazioni sessuali».

Affermazioni volutamente “ambigue”, che c’era da immaginarselo avrebbe scatenato il fraintendimento globale. Anche se, come lei stessa ha detto oggi alla stampa: «Nel 2015 questo non dovrebbe essere argomento di conversazione». Ecco, che volesse essere proprio questo l’obiettivo delle sue dichiarazioni borderline?

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