Ogni libro è una lezione d’amore Peter Cameron è un uomo gentile e uno scrittore sorprendente. Nei suoi libri, moderni e meravigliosamente inattuali, racconta personaggi molto diversi – il ragazzino che sembra un amichetto di Holden, certe donne un po’ Tennesse Williams e un po’ Nora Ephron, vecchi alcolizzati rifugiati ai tropici alla Malcom Lowry – ed è capace di condurre conversazioni “alla Jane Austen”. È uno scrittore iperletterario e raffinato, ma molto popolare. Come fa? Passione, coraggio, spudoratezza.
In Italia è stato pubblicato da poco, come gli altri da Adelphi, il suo ultimo romanzo, Andorra. Lei ad Andorra c’è mai stato? Non fino al ’97, quando scrivevo il libro. Ma non appena fu pubblicato conobbi l’ambasciatore andorriano negli Stati Uniti. L’allora vice-presidente Al Gore gli raccontò del mio romanzo e lui mi invitò a pranzo all’Onu. Fu molto divertente. Visitai la vera Andorra solo quando il libro uscì in Spagna, nel ’98. Mi parve molto diversa da quella che avevo inventata, ma anche curiosamente simile. E sia l’ambasciatore che gli andorriani sono stati indulgenti e divertiti.
Scappare, cominciare una nuova vita: spesso i suoi personaggi provano a darsi una seconda opportunità. Crede che sia un’ossessione di questi anni? Non esattamente. Penso piuttosto che faccia parte della natura umana, da sempre. Credo che chiunque sia infelice o insoddisfatto tenda a scappare sia in maniera letterale che figurata. Abbandonare il vecchio per inventarsi una nuova vita: non è forse la cosa più affascinante da raccontare?
Lei è uno dei pochi scrittori maschi che cita anche scrittrici donne nel suo pantheon letterario: Jane Austen, Virginia Woolf, Elizabeth Bishop. La frase “scrittura femminile” per lei significa qualcosa? Nel caso, direbbe che la sua è una “scrittura femminile”?
Esistono persone diverse e quindi scrittori diversi. Alcuni sono più interessati e sintonizzati su quello che accade dentro le persone, le emozioni, i sentimenti. Altri amano le avventure, quello che accade fuori, Storicamente, le scrittrici sono associate al privato e gli scrittori al pubblico. Ma sono generalizzazioni, è chiaro, con moltissime eccezioni. Non mi pare una questione di genere, ma di temperamento. Se certi critici o i lettori pensano che la mia sia una scrittura “femminile”, ha a che fare più con loro che con me. Col loro modo di guardare più che col mio modo di scrivere.
Come si relaziona ai film tratti dai suoi libri? Partecipa al lavoro, è curioso, frequenta il set? O scompare e lascia tutto in mano a registi e sceneggiatori? Dipende. James Ivory, che ha prodotto e diretto il film tratto da Quella sera dorata, interpretato da Anthony Hopkins, Charlotte Gainsbourg e Laura Linney, mi ha coinvolto fin dall’inizio. Ho scritto con lui la sceneggiatura e ho passato alcune settimane in Argentina durante le riprese. Diverso è stato per Il weekend di Brian Skett, nel 1999 e per Un giorno questo dolore ti sarà utile di Roberto Faenza. Diciamo così: ci sono state divergenze di opinioni e ho preferito starmene lontano. Di Andorra ho scritto da poco la sceneggiatura, dopo che il libro è stato comprato da una casa di produzione australiana. In ogni caso penso che i film siano entità separate dai libri, sebbene si basino sulle stesse idee e personaggi. I film appartengono ai registi, agli attori, ai tecnici e poco, quasi niente, a me e alle mie storie.
Ha detto: «Io scrivo libri per esplorare e capire che cosa penso dell’amore». È vero? Scrivo storie per capire qualcosa in più su cosa significhi essere vivi, amare, innamorarsi, perdersi.
Che rapporto ha con la rete, i social network, i telefonini? Sta dalla parte dei luddisti come Jonathan Franzen o dei curiosi come Salman Rushdie? Direi che mi posiziono a metà tra i due. Sono ambivalente. Mi piace parlare con le persone in chat, perché è una conversazione che passa attraverso lo scrittura, più posata, consapevole. Ma non mi interessano per niente Facebook e Twitter, che restituiscono della nostra esistenza solo lo specchio, la superficie. Sono come pubblicità di se stessi. Nello stesso tempo credo che l’accesso alle informazioni consentito dalla rete sia fondamentale, perché l’informazione è potere, oltre che antidoto contro ignoranza e pregiudizio.
Colm Toibin, nel suo saggio Amore in un tempo oscuro. Vite gay da Wilde ad Almodovar, da poco uscito in italiano per Bompiani, sostiene che molte, quasi tutte, le figure che hanno ricreato la letteratura moderna erano gay, o irlandesi o ebrei: da Melville a Proust, da Kafka a Forster. È d’accordo? Esiste, secondo lei, una prospettiva omosessuale sulla letteratura? Ogni scrittore porta la sua personale prospettiva sulla letteratura, e non quella del suo clan o del gruppo di appartenenza. La buona letteratura è stata scritta quasi sempre da persone che si sentivano escluse dalla società, per orientamento sessuale, paese di origine, religione. In più, dal momento che non è possibile parlare di una prospettiva eterosessuale sulla letteratura, ritengo che non abbia senso parlare di una prospettiva omosessuale. Considerare uno scrittore, o una persona, il rappresentate di “qualcosa”, mi sembra un segno di pigrizia intellettuale. Oltre che mistificante rispetto alla letteratura e alla vita.
Beatriz Preciado, filosofa, scrive di riconoscersi nella teoria queer che, in opposizione al movimento LGBT, mette in discussione l’opposizione mascolinità/femminilità, eterosessualità/omosessualità, considerandoli parametri novecenteschi superati. Lei è d’accordo? Mi confondono le persone che teorizzano con tanta radicalità. Ma forse è questo il compito della filosofia, e forse per questo io preferisco leggere narrativa. Credo che la libertà di scegliere la propria identità sia un diritto primario. Mi va benissimo un mondo in cui le persone si identificano come queer, bisessuali, androgini, intersessuali, ma non capisco cosa ci sia di male se qualcuno si sente ancora soltanto eterosessuale o omosessuale.
Cosa pensa dei matrimoni gay? Il matrimonio deve poter essere a disposizione di qualsiasi tipo di coppia. Chiunque voglia impegnarsi con qualcuno deve poterlo fare a prescindere dalla razza, il genere o l’orientamento sessuale. C’è un solo matrimonio al quale sono decisamente contrario: il mio.
Qual è la sua routine di scrittore? Quante ore scrive, ha uno studio o lavora a casa? Non ho una vera routine. Le idee migliori mi arrivano in sogno, o mentre penso ad altro. Quindi è come se scrivessi sempre, in un livello della mia coscienza. Mi siedo davanti al computer solo quando sono pronto, e questo può succedere anche con poca frequenza. Ho un ufficio a Flatiron, vicino a casa mia a New York, dove ha sede anche la Shrinking Violet Press (la casa editrice di Peter Cameron, che pubblica libri fatti a mano da lui, http://www.shrinkingvioletpress.com), ma posso scrivere più o meno dappertutto.
Che cosa ha imparato dalla letteratura? A vivere, amare, pensare, capire le persone. A ridere, e a combattere il dolore e la solitudine. Molto, direi.
Ogni libro è una lezione d’amore
CHI È
Peter Cameron, nato nel 1959 in New Jersey, ha pubblicato Quella sera dorata, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Coral Glynn, Il weekend, Andorra (tutti in italiano da Adelphi). Dai suoi romanzi sono stati tratti i film Quella sera dorata, Un giorno questo dolore ti sarà utile di Roberto Faenza, Il weekend e Andorra (in lavorazione).