“La volgarità è una spezia e io la uso con moderazione”
Non mi piace essere etichettato: chi mi segue sa che affronto anche temi profondi
INTERVISTARE Immanuel Casto non è facile. Non perché il 30enne musicista bergamasco in scena ai Magazzini Generali abbia poco da dire o non sia disponibile. Il problema è evitare battute vecchiotte, tipo sul cognome d’arte (di vero nome fa Cuni), doppi sensi e goliardate assortite. Anche perché ci pensa già lui. Alcuni titoli di sue canzoni: Anal Beat, 50Bocca 100Amore, Che bella la cappella, Io la do, Tropicanal. E non è solo questione di titoli, ma pure di contenuti. Mescolati con una musica elettronica che lui definisce, per essere chiari, “porno groove”. Aggiungiamo che stasera presenterà anche la nuova versione di Bordello d’oriente, suo gioco da tavolo, un Risiko! Virato sulla prostituzione, e il quadro è completo. Con l’ovvia aggiunta di polemiche, censure, interrogazioni parlamentari.
Casto, anzitutto ci spieghi il cognome d’arte. Come figura letteraria si parlerebbe di antifrasi: dice una cosa per intendere il contrario.
«In realtà è molto più semplice. Dopo i miei primi dischi, i fan iniziarono a chiamarmi Casto Divo. E ho deciso di tenermi Casto, anche per autoironia».
L’impressione è che si diverta molto.
«Nel fare questi doppi sensi?
Da matti. Ma spero si capisca che dietro un video, uno show, una canzone, c’è un gran lavoro. E poi c’è goliardia, ma anche una descrizione sociale dell’ipocrisia italiana sul tema sessuale. Non credo di essere volgare».
Davvero?
«Beh insomma, un po’. Ma la vera volgarità in Italia sono i cinepanettoni. Anche in senso letterale: parlano al volgo, al popolo. Io cerco di rivolgermi a gente che apprezza sì i doppi sensi, ma va oltre e capisce che il sesso, e come lo affrontiamo, dice molto di noi anche a livello culturale e sociale. La volgarità è una spezia, e come tutte le spezie la uso in minime dosi, per non rovinare il sapore. So parlare anche d’altro».
Ad esempio?
«Nell’ultimo disco, Freak & Chic, che presento stasera, c’è Da quando sono morto, che parla di come diventiamo perfetti solo da morti, prima siamo pieni di difetti ».
Ecco, ma allora non ha paura che a furia di cantare “Anal Beat”, “Tropicanal” nessuno capisca che lei è anche altro?
«Certo che ce l’ho, essere etichettato non mi fa piacere. Ma non voglio fare quel che in gergo si dice annacquare il brand: io sono conosciuto per certe cose, e queste cose devo anzitutto dare al pubblico, sennò si rivolterebbe. Poi chi inizia a seguirmi capisce che ho una mia profondità. Ad esempio ora sto ultimando un libro sui genitori omosessuali. La mia tesi è che non importa essere gay o etero, si può essere pessimi genitori comunque».
E i suoi genitori che cosa pensano di lei?
«Mia madre non apprezza ma capisce il senso artistico, mio padre è un fan sfegatato»
Senta, ma almeno si diverte la sera? Cioè, a cantare queste cose si rimorchia?
«Potenzialmente sì. Ma non mischio mai lavoro e sesso, sono uno senza vizi né stravizi. E poi i miei fan sono troppo giovani per me».
Magazzini Generali
via Pietrasanta 16, ore 20.30.
Ingresso 15 euro. 346.3005646