MILANO — Forse è la prima volta che un film per ragazzi viene vietato ai minori di 18 anni. A tirarsi addosso la più paradossale delle censure è La bottega dei suicidi, lungometraggio di animazione di Patrice Leconte, già regista de Il marito della parrucchiera, L’uomo del treno. Presentato con successo allo scorso Festival di Cannes, già uscito in Francia e in altri Paesi d’Europa, il film, un musical noir tutto da ridere, sta per approdare, dal 28 dicembre, anche da noi. Ma gran parte del pubblico cui era diretto, ragazzini e adolescenti, non lo potrà vedere. Infatti la sesta commissione di revisione cinematografica presieduta dal professor Pieremilio Sammarco, visionato il film, gli ha assegnato il divieto massimo, ai minori di 18 anni.
Nette le ragioni della bocciatura: «Perché il tema del suicidio è trattato con estrema leggerezza e facilità di esecuzione, come fosse un atto ordinario o un servizio da vendere al dettaglio creando il pericolo concreto di atti emulativi di un pubblico giovane».
Stupefatto il regista Leconte: «La vera aberrazione è questo giudizio. Ho fatto questo film pensando ai bambini, il suo messaggio è “la vita è bella”. Forse quei signori hanno visto un altro film». Ma che cosa racconta di tanto scandaloso questa «Bottega» per meritarsi la pena capitale? Sentenza inflitta nel corso del 2012 a soli cinque titoli, in gran parte horror di serie zeta. Non è certo il caso di Leconte, autore colto e raffinato. Semmai un seguace delle orme surreali del Tim Burton di Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere.
La «Bottega» di Leconte è affollata di clienti depressi, smaniosi di farla finita nel migliore dei modi possibili. Secondo lo slogan del negozio: «Se hai fallito la tua vita, fa’ che la tua morte sia un successo». A fornire gli strumenti giusti, corde, veleni, pugnali e quant’altro, ci pensano i due proprietari: Lucrece, sacerdotessa di intrugli letali come la sua omonima Borgia, e Mishima, esperto di lame come lo scrittore-samurai. Ma a metter in crisi la fiorente attività è la nascita di un pargolo, Alain, roseo e sorridente fin dal primo vagito. Una macchia per l’attività familiare, un eversivo detonatore di buon umore e gioia di vivere. Da grande trasformerà il mortifero e cupo negozio di papà e mamma in una allegra e colorata «creperie».
«La chiave ironico-grottesca del film è stata colta ovunque tranne che da voi, evidentemente l’Italia è il Paese più moralista d’Europa — commenta amaro il regista — Prima di distribuirlo, in Francia sono state fatte proiezioni solo per bambini. Che hanno subito adorato la storia, il lato musicale e i topolini che fanno da coro greco».
Ma non è detta l’ultima parola. Il distributore non si arrende e fa ricorso. Già per oggi è previsto l’appello. «Altre due sezioni vedranno il film e lo valuteranno — annuncia Nicola Borrelli, direttore generale del Cinema al ministero — Se il loro parere sarà assolutorio, verrà tolto il divieto». «Se non accadrà ritireremo il film. Sarebbe assurdo farlo uscire con il divieto ai 18 anni», annuncia Sandro Parenzo della Videa. Oggi quindi il nuovo verdetto. Non sarebbe la prima volta che una commissione contraddice un’altra. Perché in fatto di cinema e di morale ciascuno ha le sue opinioni. E allora, onde evitare assurdi tira e molla censori, è forse tempo che il meccanismo della revisione cinematografica vada rivisto.
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