Dalla rassegna stampa Libri

Su Affaritaliani.it l'incipit da "Tutto il bene del mondo" (Voland) di J.R. Ackerley

“Tutto il bene del mondo” di J.R. Ackerley, in uscita per Voland, ha ispirato l’omonimo film, uscito nel 1988 e interpretato da Alan Bates e Gary Oldman. E’ la storia d’amore gay di Frank, uomo colto e benestante nella Londra degli anni ’50, e del ladruncolo Johnny..

Arriva in libreria per Voland “Tutto il bene del mondo” di J.R. Ackerley (traduzione e cura di Giona Tuccini)

IL LIBRO – Londra, anni ’50. La vita di Frank, uomo maturo, colto e benestante, viene sconvolta dall’incontro con un giovane amante, il ladruncolo Johnny – ragazzo di vita simpatico e pieno di buone intenzioni ma del tutto sbandato – e da Evie, il pastore tedesco femmina di Johnny. Una vera bufera di sentimenti, un’appassionata storia d’amore e d’ossessione, ma anche una commedia buffa sulle differenze di classe nell’Inghilterra del tempo. Questo libro ha ispirato l’omonimo film, uscito nel 1988, interpretato da Alan Bates e Gary Oldman.

L’AUTORE – Joe Randolph Ackerley (1896-1967) è stato per più di vent’anni direttore artistico della rivista “The Listener”, il brillante settimanale d’arte della BBC. Scrittore di chiara fama, viaggiatore infaticabile e cronista prolifico, ha trascorso gran parte della sua vita a Londra. Dello stesso autore Voland ha pubblicato Il mio cane Tulip (2007).

IN ESCLUSIVA SU AFFARITALIANI.IT L’INCIPIT DI “TUTTO IL BENE DEL MONDO” (VOLAND) DI J.R. ACKERLEY

Johnny pianse quando mi portarono da lui. Non glielo avevo mai visto fare prima. Gli sedetti accanto sulla panca di legno e lo presi per mano.
“Mi dispiace tanto, Johnny” dissi.
“Doveva succedere, Frank” replicò. Una risposta tipica e date le circostanze comprensibile, certo; io però non ero nello stato d’animo di accettare – anche volendolo assolvere – quel suo fatalismo disarmante, che era incompatibile con la mia natura risoluta e avrebbe potuto diventare l’epitaffio sulla tomba della nostra amicizia. Non era comunque quello il momento di discutere.
“Cosa è successo?” chiesi. Non avevo capito granché della telefonata sconclusionata fattami da quella meschina di Megan la sera prima. Me lo raccontò.
“Se solo tu fossi venuto da me!” dissi amareggiato.
“Magari l’avessi fatto, Frank. Ti ho deluso, lo so.”
“Immagino di averti deluso anch’io. Se ti avessi prestato quel denaro…”
“Sarebbe stato uguale” mi interruppe, buttandosi indietro il ciuffo nero e riccio che gli era caduto sugli occhi. “Non mi sarebbe comunque bastato.”
Sì, era un bravo ragazzo e non solo non mi dava alcuna colpa – coi problemi del passato, d’altronde, non c’entravo nulla – ma mi sollevava persino dall’alludervi, da ogni pur minimo dubbio. Improvvisamente, fui travolto dall’enormità della catastrofe.
“Ah, Johnny, perché non hai avuto fiducia in me? Perché mai non ti sei fatto vivo? Ti avrei dato i soldi se avessi saputo quanto ti servivano. Ti avrei dato qualsiasi cosa mi avessi chiesto. Invece mi hai voltato le spalle, mi hai tagliato fuori.”
“Lo so, Frank. Sei sempre buono con me. Ma non era giusto chiedertelo, non dopo essermi comportato così male, non potevo chiederti altro. E poi, non mi andava di continuare a prendere i tuoi soldi. So che non ne hai tanti e volevo guadagnarmi la vita.”
“Guadagnarti la vita!” era stato sorpreso a svaligiare un appartamento.
“Be’… hai capito, no?” rispose con un sorriso ingenuo. “È un lavoro anche quello!”
“Ed ecco il risultato!”
“Uno stronzo mi ha beccato” disse malinconico. “Stavo quasi per farcela.”
“Ah, Johnny, eravamo così felici! Perché hai lasciato perdere tutto? Avrei fatto qualsiasi cosa per te, qualsiasi cosa e tu lo sai.”
“È colpa mia. Sono stato un fesso. Posso prendermela solo con me.” Non dissi nulla. “E poi anche tutta quella birra…” fece. Lasciai correre. Che senso aveva ormai tornarci sopra? Gli stava bene così. “Quanto pensi mi daranno?” Mormorai qualche parola di conforto sul suo essere incensurato. “Mi faresti un favore adesso, Frank?”
Era troppo. Mi ribellai.
“Johnny, non vorrai mica chiedermi di occuparmi di quella tua moglie orrenda?!”
“Non starti a preoccupare di lei” disse pacatamente.
“Appunto” ribattei.
“Non conta niente.”
“Per me conta eccome, mi ha sempre creato tantissimi problemi. Se non ti avesse impedito di vedermi, tutto questo non sarebbe successo.”
“È gelosa, questo è il punto” disse Johnny soffiandosi il naso. “È più forte di lei.”
“Johnny” gridai ancora esasperato. “L’ultima volta che ti ho visto, l’hai chiamata ‘brutta troia’!”
“Le donne!” esclamò con un barlume della sua antica vivacità.
“Sono tutte uguali!” Poi aggiunse: “Ma si è pentita, e si vede. Si comporta bene con me dopo quello che è successo. E dài, fa pena a tutti.”
“A me no! Ma c’entra anche lei?”
“No che non c’entra!” esclamò con improvvisa veemenza.
“Non ne sapeva niente, capito? Attento a come parli!”
“Comunque, non ho intenzione di muovere un dito per aiutarla, quindi non me lo chiedere.”
“Non volevo chiederti quello, Frank,” disse Johnny con il suo modo di fare calmo “ti volevo chiedere se puoi tenermi Evie finché non esco di qui.”
“Evie?” domandai sorpreso. “E chi diavolo è?”
“Ma dài, lo sai” rispose quasi con un tono di rimprovero. “È il mio cane. Non ti ricordi? Te l’ho fatta vedere quando sei venuto da me l’ultima volta.”
Mi tornò in mente in modo vago quando un mese prima, riluttante ad aiutarlo, incapace di abbandonarlo, gli avevo fatto una di quelle mie visite fin troppo assidue per capire cosa gli fosse successo, cosa mi fosse successo, e nel buio del corridoio avevo calpestato senza volere qualcosa che aveva emesso un guaito ed era andato a rintanarsi da un’altra parte. Ma proprio non riuscivo a ricordare se mi avesse o no mostrato il cane. Non ero dell’umore per badare a simili sciocchezze.
“Johnny caro” dissi sorridendo “come faccio a tenere un cane?”
“Non ti darà problemi.”
“Ma tu sai come vivo. Chi le starà dietro?”
“Non c’è bisogno di starci dietro. Non può restare da te e basta?” “E chi le darebbe da
mangiare, chi la porterebbe fuori? E poi io non so niente di cani e nemmeno voglio saperne.”
“Non potresti darle da mangiare la sera quando torni?”
“Ma la sera non torno sempre a casa.”
“Starà bene lo stesso” disse Johnny ostinato.
“Mi dispiace, davvero.” Provai a concentrarmi. “Non la può tenere Megan?”
“Come fa? Deve già occuparsi delle gemelle e di Dickie. E ora dovrà anche trovarsi un lavoro.”
Prima era stata sua moglie a escludermi, ora mi facevo abbandonare da lui. Era il colmo.
“Anch’io lavoro!” dissi bruscamente.
“Le voglio tutto il bene del mondo” mormorò Johnny.
“Lo so” replicai acido. “Mi ero accorto che avevi cambiato idea.”
“Parlo di Evie” disse lui.
“Comunque Megan non ne vuole sapere.”
“Neanch’io, Johnny.”
Sì rosicchiò le unghie. “Non so qual è la cosa migliore da fare.” Dopo un po’ aggiunse: “È incinta.”
“Ma non è ancora un cucciolo?”
“Non lei, Megan.”
Mi diedi una manata sulla fronte.
“Cosa? Ancora!” Questo era il quarto. “Pensavo non ne avreste fatti più.”
“Infatti. Ma sai com’è, succede.”
Poi scoppiò in lacrime.
“Johnny… Johnny…” dissi.
“Non te lo volevo dire, Frank” singhiozzò. “Ma la sfratteranno, adesso. Siamo in arretrato con l’affitto. Oddio, chissà cosa succederà!”
“Di quanto?”
“Mi pare due mesi, pressappoco.”
“Cristo! Che casino!” Rimasi seduto per un attimo tenendogli la mano molle e cercando di digerire questi altri disastri. Poi dissi: “Be’, Johnny, mi dispiace davvero non potermi occupare del cane, ma farò il possibile perché tu non perda la casa. E andrò a parlare con tua madre. Io e lei riusciremo a sistemare tutto. A proposito, lo sa?”
“Ancora no, ma ci manca poco. Glielo andrà a dire Megan. Chissà come la prende.”
“Ti vuole bene, lo sai, o almeno dovresti. E non è la sola. Anche questo dovresti saperlo.”
Mi strinse la mano.
“Grazie Frank. Sei l’unico amico che ho. Scusami se ti ho deluso, non lo farò mai più. Te lo giuro.”
A questo punto, ritornò la guardia che mi aveva scortato fin lì.
“Ma tutto quanto farò, Johnny,” dissi mentre mi alzavo “lo farò per te. Non farei un passo per quella puttana di tua moglie.”
Pagai l’affitto arretrato di Johnny – tre mesi, non due – e un paio di settimane d’anticipo per lasciargli un minimo di respiro. Poi mi incontrai con Millie in un pub di Aldgate, dove ci eravamo già dati appuntamento qualche volta. Era più comodo vedersi lì, invece di arrivare fino a Stratford. Megan era andata a trovarla, così mi scriveva Millie, quindi le brutte notizie erano già arrivate.
“Mi dispiace da morire, Millie” dissi, quando la vidi abbandonata pesantemente su una sedia del bar, davanti ai due doppi gin che avevo appena messo sul tavolo. Benché la rabbia e il rancore da cui i miei pensieri erano pervasi non ammettessero alcuna mia responsabilità, almeno non nei suoi confronti, sapevo quanto il trasloco di Johnny dalle mie parti, a Fulham, avesse rappresentato ai suoi occhi una garanzia per la sicurezza di suo figlio.
“Cosa c’entri tu?” disse con il suo solito tono pacato. “Sei sempre
stato il migliore amico di Johnny, ne sono convinta, e se non lo
sapeva prima lo sa ora, povero ragazzo. Se devo dare la colpa a qualcuno,
la do alla moglie. È suo marito e doveva stargli dietro.”
“Lei non sapeva niente, dice Johnny.”
“Cosa vuoi che dica?” fece Millie. “Il mio Johnny si è sempre preso la colpa per tutti, fin da quando era piccolo e si metteva nelle peste a scuola. Non avrebbe mai lasciato che i suoi compagni ci andassero di mezzo, anche se si erano comportati peggio di lui. Non dico che la moglie lo sapesse, ma mi sarebbe piaciuto vedere uno dei miei mariti combinare qualche cavolata e tenerla nascosta a me!” aggiunse, battendosi enfaticamente la mano su un ginocchio largo due volte il mio.
Millie si era sposata quattro volte. Era la mia donna delle pulizie quando vivevo a Holborn, finché era scoppiata la guerra e mi era toccato trasferirmi a Barnes, dall’altra parte di Londra. Ma eravamo rimasti in contatto e spesso ero andato a trovarla a Stratford, dove viveva ancora. Eravamo uniti da un legame fortissimo: suo figlio ci aveva stregati entrambi. Ma prima che il giovane fosse entrato in scena come un fulmine a ciel sereno nei panni di un garzone di macelleria, riducendomi nello stesso stato di semischiavitù nel quale aveva ridotto sua madre già molto tempo prima, Millie mi era piaciuta così com’era, per la sua lealtà e il buon carattere, per il brio grasso della sua natura infantile e l’inflessibilità del suo codice morale; qualità che – lo sospettavamo da sempre tutti e due e ora ne avevamo la prova – non aveva trasmesso a Johnny. Eppure, la sua allegra e insolente assenza di moralità faceva parte del suo fascino.
“E comunque non do la colpa a nessuno” concluse Millie. “Ha sbagliato, c’è poco da dire. Mi dispiace si sia ridotto così. Tom e io l’avremmo aiutato se ce l’avesse chiesto.”
Aveva chiesto aiuto a me e mi ero rifiutato. Lei non si sarebbe mai sottratta, ne ero sicuro. Avrebbe sopportato qualsiasi cosa da lui, qualsiasi cosa… Ma il suo affetto era diverso dal mio, meno esigente. Io non avevo voluto, ma questo riguardava solo noi due.
“Anch’io. L’ho aiutato tanto, lo sai, finché quella donna non gli ha impedito di venirmi a trovare. In questi ultimi due mesi non ci siamo visti per niente. Intercettava persino le mie lettere.”
“Non ti piace, eh Frank?” chiese Millie, fissandomi con i suoi grandi occhi azzurri. Sapeva perfettamente come la pensavo, ed era d’accordo; quando ci vedevamo sfogavamo i nostri rancori in un gioco di botta e risposta che prendeva di mira Megan, e quella domanda era una delle nostre mosse iniziali preferite.
“Le voglio bene.”
“Un tempo non dicevi così di lei” disse severamente.
“No, cara. Sto cercando solo di moderare il linguaggio.”
“Non ti capisco proprio quando parli difficile.”
“Scusa, Millie. La trovo infernale, va bene così?”
“Neanche a me è mai piaciuta” ribatté Millie giudiziosamente “e non l’ho certo tenuto nascosto. Non mi è mai andato giù vederlo mettersi con lei, fin da subito, gliel’ho anche detto. Neppure Tom la sopporta, non c’è da fidarsi dei gallesi, dice. Ma è la moglie di Johnny e non ho niente contro di lei; è sempre stata al suo posto con me, quindi evito di parlarne.”
“Ci mancherebbe!” sottolineai torvo.
Millie mi lanciò un’altra delle sue occhiate. “Non so mai come prenderti” disse ridendo.
“Ma perché diavolo l’ha sposata?” continuai acrimonioso.
“L’avevo avvertito di non farlo e lui mi ripeteva sempre che non era un cretino. Andava tutto benissimo finché viveva con lei e le gemelle a Chathman, veniva da me o da te quando gli pareva. Allora era tutto per noi. Ma appena Megan si è accorta di aspettare Dickie, ha cominciato a lavorarselo per benino e lui è stato troppo debole per ribellarsi. Avrebbe iniziato a intromettersi se avesse avuto un appiglio legale su di lui, lo sapevo e così è stato. A quel punto, il suo vero carattere è venuto fuori all’istante e ora Johnny è succube di lei in tutto e per tutto.”
“Certo io di queste cose non ne capisco niente” disse Millie placida.
“Te l’ho ripetuto fino alla nausea!” sbottai; se le Moire avessero riso, per qualche anno sarei rimasto sordo all’eco del loro sarcasmo.
“Beh, quel che è fatto è fatto, li conosci certo meglio di me. Ci facciamo un altro drink? Questo giro tocca a me.” Millie ci teneva a offrire il suo giro. Presi i soldi e tornai con i bicchieri.
“Quanto pensi gli daranno?” chiese appena mi sedetti.
“Non ne uscirà benissimo, temo.”
“Neanche secondo Tom.” Restammo in silenzio per un istante.
“Vogliono che mi occupi di Dickie, così lei può mettersi a lavorare.”
“Lo farai?”
“Vorrei, ma non so come. Dovrei lasciare il lavoro, e non posso.”
“Ida non può darti una mano?” Ida era l’altra figlia sposata, la sorella di Johnny.
“Abita troppo lontano per fare avanti e indietro.”
“Non potresti portarlo in uno di questi asili nido?”
“Non ce n’è vicino a noi. Potrei cercare qualcuno per tenerlo, ma costerebbe caro.”
“Se vuoi ti aiuto io.” Perché mai feci quell’offerta? In un modo o nell’altro se la sarebbero cavata di sicuro; e poi non mi riguardava.
Mentre mi fissava, anche Millie sembrava pensare la stessa cosa.
“Cosa c’entri tu? Hai già fatto abbastanza, le hai dato i soldi per l’affitto, almeno così mi ha detto. Perché gliel’hai dati, se pensi così male di lei?”
“Cara Millie, non l’ho fatto per lei! Non avrei mosso un dito per lei, se non per tirarle il collo! L’ho fatto per lui, benché non se lo meriti.”
“Adesso non lo insultare!” disse seccata. “Di te lui dice soltanto cose belle.”
“Scusami Millie, non volevo. Lo sai quanto gli voglio bene.”
“Ecco, bravo.” Si calmò.
“Cosa mi dici delle gemelle?” chiesi. “Che fine faranno?”
“Ah, tutti e tre non li prendo davvero!” gridò Millie, scoppiando in una delle sue grasse risate. “Megan pensa di tenere Rita e di spedire Gwen a Cardiff da sua madre.”
“Ho saputo che aspetta il quarto!”
“Sì, me l’ha detto e ci sono rimasta malissimo. Non è neppure capace di tirarne su tre.”
“Ma tu lo vorresti Dickie?”
“Certo, gli voglio tutto il bene del mondo. E anche Tom.”
A me sembrava un bambino insignificante e stupido, ma i gusti sono gusti.
“Bene, allora siamo d’accordo. Quanto pensi che costi? Basteranno trenta scellini a settimana?”
“Me li farò bastare” replicò subito Millie. Poi aggiunse: “Ma tu devi venirlo a trovare qualche volta, altrimenti non accetto.”
“Ma sì, certo. Verrò a portarti i soldi ogni mese. Va bene?”
“Benissimo” disse Millie allegramente. “Non ti ho quasi più visto
da quando Johnny se n’è andato.”
Aveva ragione e mi scusai. “Non voglio dare la colpa a te” mi fermò con il suo tono calmo e comprensivo, che dimostrava una precisa percezione dei miei sentimenti per il figlio.

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