Dalla rassegna stampa Libri

GLI ECCESSI LONDINESI DI HANIF KUREISHI

“Ho qualcosa da dirti”, il nuovo romanzo dello scrittore anglo-pakistano. Il libro potrebbe essere il seguito del “Buddha delle periferie” e di “My Beautiful Laundrette”. L´autore e il suo protagonista hanno molte cose in comune …Omar dice cose chiare, come gay musulmano crede che «fratelli e …

Potrebbe essere il sequel del Buddha delle periferie, e anche di My Beautiful Laundrette. Con quei ragazzi mezzi paki e mezzi britannici ora arrivati all´età adulta. Da un lato l´antagonismo al “sistema” in cui sono cresciuti negli anni Sessanta-Settanta e da cui, a dispetto del successo ottenuto, continuano a sentirsi discriminati. Dall´altro, una venerazione per il sex, drug & rock´n´roll che concepiscono ancora come la via a un´identità alternativa e geniale mentre, al contrario, oggi rivela i frutti dell´idolatria per l´apparire, per la soddisfazione di ogni desiderio, soprattutto sessuale, anche a pagamento, anche scambista, anche orgiastico. Come nel Buddha, il protagonista di Ho qualcosa da dirti (Bompiani, pagg. 457, euro 19,50, traduzione Ivan Cotroneo) ha molti tratti in comune con l´autore, Hanif Kureishi: come lui Jamal è figlio di una donna inglese e di un pakistano, come lui fa un viaggio rivelatore nelle odiate assurdità fondamentaliste della patria del padre che comunque gli dà un senso di sé, come lui ha un matrimonio rotto alle spalle e un bambino adorato (nella vita reale però sono tre), come lui ha un interesse spasmodico per le involuzioni e le evoluzioni della mente umana, come lui, un ottimo cronista della sua generazione, conosce le droghe ma anche le ambizioni partorite dagli anni del pop. Come lui è parecchio interessato al sesso.
Come Hanif Kureishi, Jamal pensa e ripensa alla politica, e, dichiara tutto e quasi il contrario di tutto. Odia la Thatcher (del resto è suo Sammy e Rose vanno a letto) e anche Blair non gli va a genio, di più, lo aborre: ma se nel romanzo qualcuno arriva ad attribuirgli la colpa delle bombe a Londra del 2005 per via dell´alleanza con Bush, poi in altri brani qualcun altro indica come una abiezione mentale questo pensiero così superficiale e autodistruttivo. Kureishi conosce la pericolosità del radicalismo islamico nelle società multiculturali, ne ha scritto in modo quasi profetico quando nessun altro ne parlava in Black Album (1989), o in Mio figlio è un fanatico. Eppure anche su questo argomento è profondamente autoindulgente con se stesso, si permette ogni genere di considerazione: Hanif/Jamal condanna gli estremisti, ma ne vuol difendere le motivazioni e il disagio; è il più Occidentale del mondo, ma poi passa a soffrire della decadenza dei costumi, in cui d´altra parte, tra pasticche, canne e coca e sfrenatezze varie, sembra rotolarsi convinto. Cosa pensi poi di Omar, uno dei due protagonisti di My Beautiful Laundrette, che in Ho qualcosa da dirti ricompare a 40 anni Lord (come del resto Kureishi è stato nominato dalla Regina Commander of the Order of the British Empire) e arricchito prima con il business delle lavanderie e poi con quello dei media e delle tv, non è evidente: eppure Omar dice cose chiare, come gay musulmano crede che «fratelli e sorelle debbano lasciare l´età delle tenebre e aprirsi al mondo moderno», e ritiene anche che «la guerra in Iraq abbia fatto un favore agli iracheni». In genere Kureishi non condivide opinioni del genere, ma forse in lui ci sono più punti di vista contemporaneamente.
Tanto per Jamal sono fragili le linee che dividono il bene dal male, che da giovane ha avuto delle responsabilità dirette nella morte del padre di Ajita, la sua ragazza, una bellezza, anche lei pakistana, fascinosa quanto confusa: da adulta, con un marito e dei figli in America, ricca sfondata, depressa e sola, è ancora alla ricerca di sé e tenta di trovarsi un po´ su un lettino freudiano, un po´ nella lettura del Corano. Il senso di colpa per quella morte insegue Jamal, tuttavia l´unica persona a cui rivela il “delitto” è l´analista che lo solleva da questo fardello, aprendogli, probabilmente anche con questa assoluzione, la strada alla sua fortunata professione futura, la psicoanalisi appunto.
Tutto il libro è percorso dall´attesa di una resa dei conti per questo omicidio, anche se proprio assassinio non è. Una suspense ben resa, e di cui aspettiamo continuamente una risoluzione più o meno drammatica, anche perché a un certo punto Jamal incontrerà Quntar, il fratello gay di Ajita, ora divenuto un importante cantante rock, che gli chiede conto di strane coincidenze. Non solo: dopo anni e anni, si rifà vivo uno dei complici dell´agguato teso al padre della ragazza, un tipo strano e minaccioso.
Il romanzo è godibile, gli spunti sono tanti. A volte troppi, a volte un po´ affastellati. Ma sarà davvero così esteso questo mondo degli eccessi, ed è sul serio così interessante? È veramente figlio del pop, del rock, della generazione desiderante? Probabilmente qualcosa di vero c´è, Kureishi ha ragione, ma noi non cogliamo in lui alcun disappunto sulla sterilità di questo universo, ripetitivo talvolta quanto la pornografia. Lui analizza, descrive, non giudica: e il racconto di un uomo soddisfatto (ancora in attesa di amore, esperienze, idee, come dichiara Jamal nelle ultime pagine) sembra un po´ un viaggio in un gaudente e fatuo girone infernale.

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