CANNES – Cinque minuti di applausi hanno accolto al Noga Hilton il più bel film gay presentato finora, Avant que j’oublie (Prima di dimenticare) di Jacques Nolot. Il regista francese del pluripremiato La chatte à deux têtes era presente in sala e ha introdotto la sua opera spiegando che si è trattato di un film «non facile, realizzato in soli 24 giorni: per questo ringrazio tutti quelli che vi hanno collaborato». Avant que j’oublie racconta la quotidianità di uno scrittore cinquantottenne omosessuale sieropositivo e in crisi creativa: la sua amicizia con un coetaneo, i rapporti prezzolati con giovani prostituti reclutati a Pigalle, le visite da uno psicologo.
Con un’ironia tagliente che strappa spesso la risata (racconta persino di Roland Barthes che lo definiva “semanticamente una troia” e andava a ragazzi con lui nei bagni pubblici), Nolot realizza un ritratto malinconico ma mai compiaciuto su una generazione falcidiata dal dramma dell’Aids, sull’importanza dell’amicizia, sulla necessità di garantirsi una sicurezza economica per il futuro. Nella scena più comica, durante un rapporto passivo con uno gigolò che vuole penetrarlo ex abrupto, il protagonista utilizza il lubrificante come se fosse gel per capelli. Memorabile il bellissimo finale en travesti. Avant que j’oublie è destinato a entrare di diritto nella storia del cinema queer e a tutt’oggi rappresenta uno dei migliori titoli sulla terza età mai realizzati.
In concorso è stato presentato un altro film francese, il gradevole musical lesbogay Les chansons d’amour di Christophe Honoré in cui un ragazzo e due ragazze parigine portano avanti un ménage à trois in realtà poco sessuale (a letto preferiscono leggere libri piuttosto che fare l’amore) finché una delle ragazze muore per attacco cardiaco in una discoteca. Lui si consola quindi con un biondino che gli fa una corte insistente.
Le canzonette leggere di Alex Beaupain che interrompono l’azione sono orecchiabili, simpatiche ma il tutto risulta un poco stucchevole. Les chansons d’amour vanta comunque la più bella scena ‘romantiqueer’ vista al festival: i due ragazzi, cantando, si accarezzano, si baciano e si rotolano nel letto. Finale ‘in equilibrio precario’ davvero supergay. Carini e aggraziati i protagonisti Louis Garrel, Ludivine Sagnier, Clotilde Hesme, Grégoire Leprince-Ringuet e Chiara Mastroianni.
Mediocre, invece, il dramma domestico Savage Grace di Tom Kalin tratto dalla storia vera della russa Barbara Daly divenuta ricchissima dopo il matrimonio con Brooks Baekeland, magnate della bachelite. Legata da un rapporto esclusivo e morboso al figlio omosessuale Tony, arriverà ad avere un rapporto sessuale con lui su un divano per cercare di ‘guarirlo’.
Nonostante la bravura della sempre eccelsa Julianne Moore, Savage Grace è un film algido e artefatto di cui restano impresse solo le belle case, le preziose porcellane, gli abiti sofisticati. Intrigante la seduzione sulla spiaggia tra il protagonista Tony (Eddie Redmayne, funzionale) e l’affascinante moro gran consumatore di marijuana.
Un personaggio gay si è visto anche nel delizioso Soom (Respiro) di Kim Ki-Duk, ossia il compagno di cella del protagonista che passa il tempo ad accarezzarlo amorevolmente e ha tremende crisi di gelosia quando lui riceve le visite della sua ex (anche qui il finale è omo).
Cameo di una coppia lesbica che ha bisogno di soldi per portare avanti una gravidanza nel piacevole ma poco ‘abeliano’ Go go tales di Ferrara su un night a rischio chiusura. Nel cast internazionale spiccano i bravissimi Willem Dafoe e Bob Hoskins e in due piccoli ruoli troviamo Asia Argento che si slingua un rottweiler e Riccardo Scamarcio che s’infuria perché riconosce tra le stripper sua moglie.
Si candida invece alla Palma il bellissimo e commovente Lo scafandro e la farfalla di Julian Schnabel sul caporedattore di Elle Jean Dominique Bauby rimasto interamente paralizzato a parte la palpebra sinistra con cui riuscì a dettare un libro sulla sua vita.