Dalla rassegna stampa Teatro

Ritorno al deserto: ironico Koltès

…Koltès, Pasolini, Cocteau, Mishima — tutti autori che in modo diretto o indiretto hanno in comune un incandescente tema omosessuale — nell’arco di un quindicennio segnano le tappe della maturazione di Adriatico, approdato anche al cinema di cui fa ampio uso nel nuovo spettacolo…

Protagonisti un fratello e una sorella. Regia di Andrea Adriatico

Chi è Andrea Adriatico? In attesa che cominci lo spettacolo di cui è regista, Il ritorno al deserto di Bernard-Marie Koltès, me lo ricorda Stefano Casi il direttore artistico di Teatri di Vita, un gruppo relativamente giovane, sostenuto dal Comune, e anche un teatro situato nel cuore di un parco alla periferia di Bologna, a Borgo Panigale. Sapevo di aver visto, di Adriatico, uno spettacolo, non ricordavo fosse Fuga,
tratto da un romanzo dello stesso Koltès. Era il 1992, lo vidi al festival di Santarcangelo. Adriatico aveva venticinque anni e aveva da poco fondato una compagnia dal nome palazzeschiano: «riflessi». Questo titolo viene da lui stesso interpretato come due punti che sono riflessi o che si riflettono l’uno nell’altro, vale a dire la morale che a distanza di quindici anni mette in scena ancora oggi, sempre con il grande drammaturgo francese scomparso nel 1989, a quarantun anni.
Koltès, Pasolini, Cocteau, Mishima — tutti autori che in modo diretto o indiretto hanno in comune un incandescente tema omosessuale — nell’arco di un quindicennio segnano le tappe della maturazione di Adriatico, approdato anche al cinema di cui fa ampio uso nel nuovo spettacolo. Uso e, forse, abuso, specie nella seconda parte. I monologhi dei personaggi di Ritorno al deserto, che fatalmente scivolano nella forma del soliloquio più sontuoso-sentenzioso che liberatorio, vengono da Adriatico proiettati su uno schermo, cioè come schermo tra noi e lo spazio scenico, tra noi e la vicenda che vi si rappresenta.
Ritorno al deserto, penultimo testo di Koltès ( Roberto Zucco uscì postumo), avrebbe potuto intitolarsi Ritorno dal deserto: dall’Algeria, appena scoppia la guerra di liberazione, torna in Francia con i suoi due figli, Edouard e Fatima, Mathilde Serpenoise. Ella torna dal fratello Adrien, un industriale che vive asserragliato nella casa che in realtà appartiene alla sorella. Alla morte del padre, Mathilde scelse la casa e al fratello toccò la fabbrica, ma poi fu costretta a fuggire in Africa. I due punti, che si riflettono l’uno nell’altro, sono loro: sono in lotta ma si attraggono in quanto uguali e contrari. Adrien è, come ho detto, chiuso nel suo fortino — e qui lo spettacolo di Adriatico, con la scena di Maurizio Bovi, dà il doppio senso di sé: la casa è un fortino costruito con mattoni forati, però disposti a formare un labirinto che noi spettatori vediamo dall’alto, in sezione, con un effetto di claustrofobia e, insieme, di indefinibile apertura. Mathilde vi irrompe, nel fortino- labirinto, come se con l’aria secca e pulita del deserto dovesse spazzarne i miasmi. Ma il deserto, anch’esso è minaccioso. Il deserto è una calamita, attrae irresistibilmente a sé chi ne abbia fatto esperienza.
In Francia, lo Stato ha importato a tradimento, a danno dei magrebini immigrati, la guerra che infuria in Algeria. Chi da lì sia fuggito, vi vuole tornare. Di nuovo il deserto appare un possibile orizzonte poiché le cosiddette radici non sono che una circostanza, un nome: tra nome e cosa non vi è alcun rapporto di necessità.
L’andamento ironico, quasi brillante, della commedia di Koltès, con punte che oscillano tra Beaumarchais e Labiche, Jarry e Giraudoux, di colpo si fa sarcastico. Fatima ha dato alla luce due bambini e sono neri! Forse, tornare al deserto non è più urgente. Il deserto sta arrivando da noi. Come Koltès, e come rivelano gli obliqui e dorati tagli di luce che investono casa, fortino, labirinto e deserto, lo stesso Adriatico sembra pronto a riceverne i benefici. Tra gli attori, tutti che nascondono il panico con lo spirito, ricordo Francesca Mazza, Maurizio Cardillo, Maria Grazia Ghetti, Sarah Kaufman, Angela Malfitano, Marco Matarazzo e Andrea Fugaro.

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