E’ curioso come il dialogo interreligioso in Bosnia, che si è rivelato per certi punti di vista più maturo del dialogo politico tra i protagonisti della guerra che celebra il decennale della sua fine – la firma a Parigi dell’accordo di Dayton è del dicembre del 1995 – rischi di trovare un momento di unità in una battaglia ingiusta, quella contro l’omosessualità. L’addio a Giovanni Paolo II ha costituito l’occasione per una conferma dei passi pacificatori tra chiese che sonos tate fieri bastioni di un conflitto tra etnie che si distinguono innanzitutto se non solo, per la diversa fede religiosa. A Sarajevo un incontro di commemorazione nel convento francescano di sant’Antonio ha visto la presenza dei religiosi ortodossi – e dunque serbi – della comunità islamica – oggi maggioritaria a Sarajevo – e dell’antica comunità ebraica della città nella quale la salvezza di un’antica Haggadah rappresentò uno dei simboli della resistenza civile, culturale e religiosa del piccolo mondo multietnico sotto assedio. Parole sagge e rimpianti autentici hanno segnato gli interventi di Ivo Markovic, dell’ebreo Mori Albahari, del musulmano Ismet Busatlic, del serbo Bosko Tosovic. Più ispirata al nazionalismo, inevitabilmente, la celebrazione organizzata dai croati dell’associazione Napredak, presente il nunzio Abril y Castellom dove non si è potuto fare a meno di ricordare il ruolo del Papa nel riconoscimento dell’indipendenza della Croazia, insieme ai suoi interventi in difesa della città assediata e contro una guerra che non eccitava le coscienze europee: Giovanni Paolo II citò 263 volte la Bosnia, nei suoi discorsi ufficiali. Ma il secondo viaggio in Bosnia, dopo quello a lungo impedito a Sarajevo, fu a Banja Luqa, la capitale dei vincitori sconfitti, i serbi, e dunque anche i ricordi contribuiscono a non riaprire vecchie ferite.
Ma il rischio, adesso, è che a schierare sullo stresso fronte le tre principali comunità, croati, serbi, musulmani, sia una battaglia contro l’omosessualità. Che non ha mai avuto vita facile nei Balcani, se si pensa che appena tre anni fa il codice penale rumeno ha cancellato un articolo di legge che puniva i rapporti omosessuali, e si ricorda che man mano che ci si allontana dai confini dell’Europa politica la questione omosessuale assume tinte più fosche.
In Slovenia c’è scontro politico e culturale sulle unioni tra omosessuali, in Croazia si è celebrato timidamente il primo gay pride, in Serbia Montenegro, dove il direttore di “Decko” (“Ragazzo”), rivista gay della Vojvodina, ospite della TV pubblica, ha visto la piazza riempirsi degli ultras del club Buducnost (“Futuro”), di Podgorica che contestavano la sua presenza, in Kosovo l’omosessualità è un fatto clandestino, una passione pericolosa.
Ma il terreno di scontro, adesso, è la Bosnia e, non troppo curiosamente, per il paese che ci ha dato una carrellata di piccoli capolavori, da “Papà è in viaggio d’affari” a “No man’s land”, l’occasione di scontro è un film. L’autore è un musulmano, Ahmed Imamovic, e il film, in fase di postproduzione a Vienna – potrebbe essere presentato a Cannes, o, in alternativa, a Venezia, è “Go West”. La storia di due giovani omosessuali che vogliono fuggire dalla trappola di Sarajevo assediata. Uno, Milan, è serbo. L’altro, Kenan, è musulmano. Per passare le linee dell’assedio serbo, Milan fa travestire Kenan da donna, e lo porta, così vestito, mentendo sulla sua identità – maschile e musulmana – nel suo villaggio natale. Dove il padre – il grande Rade Serbedzija, che da noi è conosciuto per aver interpretato Miran Hrovatin nel film dedicato a Ilaria Alpi – lo accoglie a braccia aperte, ma prima che i due partano verso la loro meta sognata, Amsterdam, pretende di organizzare una festa di matrimonio tra Milan e Milena – così gli è stata presentata – come si deve. Una storia eccellente, dove emozioni e follie balcaniche gareggiano, ma che ha già provocato un dibattito acceso. Molti giornali hanno accusato il film di prendersi gioco della tragedia bosniaca. Slobodan Bosna, che ha difeso il film, spiega che “i sedicenti guardiani della rivoluzione hanno trovato insopportabile che invece di scegliere come tema il genocidio contro i bosniaci, “Go West” abbia scelto di raccontare la sofferenza di due omosessuali nella città assediata”.
Ma in campo è sceso anche Mustafà Ceric, il capo della comunità islamica, che nel discorso indirizzato ai fedeli per la fine del Ramadan ha definito l’omosessualità un male importato dall’occidente per snaturare la tradizione bosniaca, un male che dev’essere respinto. Prevedibilmente toccherà poi al malumore serbo, quando finalmente il film sarà visto e mosterà che la diserzione dei due dalla maschia resistenza della città incappa nella cecità culturale e umana del contado serbo. A essere risparmiati, stavolta, sono i cattolici croati, ma semplicemente perché la sceneggiatura prevedeva inevitabilmente l’amore tra due uomini, e non c’era posto, come avviene invece nelle cariche politiche a rotazione della Federazione, per la terza etnia, nel copione.