Qualcuno ricorda la copertina de l’Uomo Vogue di Luglio? Sotto la scritta rosa della rivista c’era un bel biondino ossigenato, capello liscio e lungo, dritto dritto a nascondere gli occhi brillanti, il nero armani attillato sul corpo adolescenziale. Lui e’ John Robinson. Prima di fare quella foto e’ stato uno dei giovanissimi esordienti, protagonisti del film di Gus Van Sant che ha vinto a Cannes e che sta uscendo sugli schermi italiani: Elephant. E’ questo l’ultimo film del regista di My own private Idaho, la pellicola che consacro’ i belli e dannati Keanu Reeves e River Phoenix.
Come sempre nei film di Van Sant, gli adoloscenti (qui belli e acerbi) e i loro tormenti, sono al centro di un’appassionata e profonda analisi psicologica. Amati e scrutati, senza pieta’. E cosi e’ anche per questo insolitamente breve (solo 75 minuti), ma intenso ritratto di provincia americana. Lunghi piani sequenza, leggeri e insistenti, ci portano lentamente attraverso intelligenti incastri dentro il cuore pulsante di un liceo tipo, molto molto simile a quello del sanguinoso caso Columbine. Quello della strage senza senso in cui persero la vita alcune decine di giovanissimi, uccisi a caso da due compagni di classe in preda a un raptus omicida. Ecco, questo e’ l’elefante di cui ci parla Gus Van Sant. E ce ne parla umilmente, con immagini quotidiane, con momenti di intimita’ familiari che appaiono innocue, ma che a uno sguardo attento rivelano sfumature agghiaccianti.
In parte improvvisate da giovani attori non professionisti, veri studenti liceali, scivoliamo con loro tra le azioni quotidiane piu’ banali: dall’intervallo, alla canna fumata in bagno, alla lezione noiosa di fisica, al bacio imboscato tra innamorati. Piccoli gesti, pezzi di conversazione, tutto scorre, come il tempo incompleto e superfluo dell’adolescenza. Lunghi corridoi, spazi immensi, grandi refettori. Il tutto compresso e contenuto nei lucidi marmi e nelle pareti imbiancate e pulite della grande madre scuola. Non ci sono giochi piu’ violenti dei normali video giochi. Non ci sono abusi di particolare rilievo.
Ed ecco i due giovani di cui si indaga il disagio da cui nasce l’inquieta e silenziosa follia omicida. Sono due giovani amici in mezzo agli altri. Due compagni di classe che scelgono di uccidere, invece che di andare in discoteca. Che realizzano il loro piano ordinando le armi su internet. Che si baciano sotto la doccia per darsi coraggio, ma non si amano. Sono questi due gli inafferrabili adolescenti, che affascinano e seducono per la determinazione con cui sfuggono ad ogni regola e stereotipo. Sono insospettabili, ma perfetti nell’imprecisione della loro follia. Tenete d’occhio la scena della consegna dei fucili ordinati via internet. Come un anticipo hitchcokiano, mentre sulla tv scorrono le immagini di un documentario sul Terzo Reich e Hitler.
Non ci sono facili risposte, ne’ morali. Nella semplicita’ dei gesti quotidiani dei compagni e nella complessita’ di un piano omicida che riscatta dall’anonimato e dal vuoto, preparatevi a restare schiacciati dalla miseria dei pensieri e dalla bellezza dei tormenti dei giovani inesperti protagonisti. Un elefante barrisce, li’ davanti a tutti, ma continua a passare inosservato.