Cinema

Ultima giornata al 31mo Festival Mix - I vincitori

Hanno condotto la serata finale di questo 31° Festival Mix i quattro componenti principali dello staff del festival Rafael Maniglia, Andrea Ferrari, Debora Guma, Francesca Bellone oltre a Melissa G. Marchetto che aveva già presentato l’assegnazione del premio Queen of Music a Malika Ayane.
Andrea Ferrari ha letto i ringraziamenti di rito a partners e sponsor e ha invitato sul palco Michele e Monica in rappresentanza del main sponsor ING. Ha quindi ricordato che il 24 prossimo alle 13 in piazza Scala si festeggerà l’anniversario dell’evento organizzato da Paolo Hutter 25 anni fa, che consisteva nella celebrazione di dieci matrimoni simbolici davanti al palazzo del Comune.
E’ salito quindi sul palco Francesco Pintus coordinatore di MILANO PRIDE che ha presentato gli eventi previsti nella Pride Week, iniziata col Festival Mix e che termina con la tre giorni della Pride Square in porta Venezia. Punto culminante sarà sabato 24 giugno con la parata che partirà alle 15,30 in piazza Duca D’Aosta per arrivare a porta Venezia dove ci sarà tra l’altro un concerto di Alexia, Andrea Pinna di Pechino Express presenterà e Paola Barale sarà la madrina.
Sono poi saliti sul palco, riempiendolo completamente, tutti i volontari, inclusi i giovani del gruppo giovani di Arcigay milano. Sono anche salite Cristina Zanetti e Elena Linguanti Rossi che con Debora Duma collaborano in Immaginaria.

E’ quindi avvenuta la Premiazione dei film in concorso.
La GIURIA CORTOMETRAGGI composta tutta da giovanissimi (Francesco Bianchi, Nickla Buralli, Sara Carenza, Rebecca Di Bernardino, Mara Gargiulo, Nicole Miglio, Valeriano Musiu, Pasquale Napolitano,Francesco Osmetti,Alessia Rugi, Irene Sambruni, Daniel Cristian Tega)
ha dichiarato vincitore il corto MOONLIGHT di Janella Lacson (USA 2014 12’) per l’accessibilità del linguaggio, la raffinatezza della regia, il sapiente utilizzo della colonna sonora e le sfaccettature inaspettate della trama.
Menzione speciale a CIPKA (PUSSY) di Renata Gasiorowska (Polonia 2016 8’) ‘ perché abbiamo voluto premiare il messaggio positivo sull’esplorazione del corpo femminile che dà il corto e la direzione artistica.’
Menzione speciale a MUKWANO di Cecilie McNair (Danimarca 2016 20’) per i temi sociali attuali e stringenti che tratta il film.

La GIURIA DOCUMENTARI composta da Maria Nadotti, Luca Monti, e Adele Tulli ha dichiarato vincitore il documentario

BROTHERS OF THE NIGHT del regista austriaco-libanese Patric Chiha (Austria 2016 88′) con la seguente motivazione:
perché il premio a questo film ? Come mai sui dieci titoli di cui gli altri nove si ponevano il dovere della memoria, della genealogia, della costruzione comunitaria di identità, della creazione di archivi storici omosessuali, come mai questa giuria ha scelto di sbaragliare le sue stesse aspettative ?
1. Innanzi tutto perché Patric Chiha si misura con il linguaggio filmico da autore senza paura di mescolare realtà e finzione. Nelle sue strade notturne, nelle sue luci virate al blu e al rosso, nel suo racconto dei corpi e delle vite aleggiano Douglas Sirk, Fassbinder, Kenneth Anger, Mishima, il nostro Pasolini e vari alti e altre.
2. Perché racconta senza voyeurismi e senza giudicare una storia che aspettava di essere raccontata, la prostituzione di giovani roma bulgari in un locale gay di Vienna.
3. Perché ha il coraggio di mettere in scena il desiderio, quello del regista e quello che il suo sguardo suscita nello spettatore e nella spettatrice.
4. Perché i fragili, forti personaggi del film non hanno modelli da proporre, non rassicurano e ci ricordano che vivere è correre dei rischi.
Brothers of the night è un’opera scomoda, uno straordinario film sulla sopravvivenza in tempi in cui ci siamo abituati al nostro comfort ai nostri privilegi e a non interrogarci su altro.

La GIURIA LUNGOMETRAGGI composta da Ivan Cotroneo, Nau’ Germoglio, Margherita Giacobino, Pina Mandolfo, Maurizio Porro ha dichiarato vincitore il film

HEARTSTONE del regista Guðmundur Arnar Guðmundsson (Islanda – Danimarca 2016 130′) con la seguente motivazione: ‘Una storia di adolescenza turbata in un paesaggio tumultuoso come quello islandese, un partecipato racconto che prenota molte emozioni di amori e disamori, che fa andata e ritorno fra natura e cultura e i turbamenti di due ragazzi e ragazze alle prese del grande freddo della storia e della geografia, dell’inesistente famiglia e della promessa di un futuro, che comunque non sarà facile.”
E’ quindi salito sul palco a ritirare il premio, e a ringraziare il pubblico, uno dei due protagonisti del film vincitore Blær Hinriksson (Kristján).

Sono stati quindi letti i vincitori del premio del pubblico. Quest’anno la votazione è avvenuta tramite l’APP del festival. Vince il premio del pubblico per la categoria lungometraggi CENTER OF MY WORLD di Jakob M. Erwa ( Germania 2016, 115′). Secondo classificato EXTRA TERRESTRES di Carla Cavina (Porto Rico – Venezuela 2017 115’). Terzo classificato 1:54 di Yan England (Canada 2016, 106′)

Il momento clou della serata è stato l’assegnazione di un premio speciale al notissimo cantante Mika.
I componenti dello staff del festival insieme hanno letto, ognuno una frase, la seguente premessa:
Il Festival Mix vuole fare omaggio ad un amico, che ci aiutato in un momento di particolare bisogno, che ci ha messo la propria faccia. Questo amico conosce l’importanza e la forza delle parole, ma sa anche quanto a volte possono ferire. In quest’ultimo anno di parole ne ha usate tante per combattere i pregiudizi e raccontare storie.
Questa persona è Mika…
MIKA – ‘Buona sera e soprattutto grazie mille, perché mi sento un po’ in imbarazzo sapendo di tutto il lavoro che è stato fatto da tutte queste persone, anche i tanti che hanno fatto i film, che sono qui stasera e che anche hanno lavorato così tanto per essere qua, per presentare, nella maniera che voi sempre fate… dunque non ho fatto tantissimo per essere qui, però allo stesso tempo è un piacere di essere qui stasera. Debbo dire che quattordici anni fa, no.. venti e qualcosa anni fa, perché io ho trentatre anni… dunque quando io avevo quattordici anni, sarebbe stato impossibile immaginarmi naturalmente, facilmente, senza vergogna senza paura in un contesto come questo, e adesso invece sembra una cosa… penso che sto dicendo non solamente la mia storia ma anche la storia di tanti che sono qui stasera… adesso invece non è una cosa che mi fa paura, non è una cosa dove sento vergogna, e infatti è molto divertente, è naturale, mi fa veramente piacere. E questo grazie a tutti che hanno fatto tante diverse cose, tanti diversi eventi, anche i festival, soprattutto… c’è il Gay Pride in tutto il mondo, ci sono i libri, ci sono gli autori, ci sono le canzoni anche, però anche i festival sono importanti, perché danno un’altra maniera di parlare e anche di discutere.. la legalità, la sessualità, la politica intorno alla sessualità, anche per smontare tutto questo, o solamente parlare di storie molto belle, come il film che ha vinto stasera Heartstone. Dunque sono contento di essere così a mio agio qui stasera, sono contento di fare parte un po’, di una piccola parte della vostra storia, e grazie per questo onore. E grazie ho detto abbastanza, ho detto troppo forse.
Motivazione del Premio: ” La commissione della trentunesima edizione del Festival Mix Milano ha deciso di istituire un riconoscimento per ringraziare a nome del mondo LGBT chi tra i personaggi appartenenti al mondo dell’arte, cultura, spettacolo nell’ultimo anno si è speso più volte in una pubblica e risonante lotta all’omofobia. La scelta non poteva che ricadere su una persona che in numerose occasioni ha utilizzato parole semplici ma di forte impatto. Come uno dei suoi ultimi messaggi rivolto a chi è contro a tutte le sfumature dell’amore: niente musica per chi teme l’arcobaleno e tutti i colori del mondo. Una sintesi perfetta degli ideali di cui da trentun anni il Festival Mix Milano si fa promotore. Un grazie di cuore da tutti noi a Mika”.

(a cura di R.  Mariella e A. Schiavone)


“While you weren’t looking”

di Catherine Stewart – Sudafrica 2015

voto: 7/10

Siamo gay. Oddio, ma da quando siamo così etero?
“Diventi etero quando cominci a fare figli”.
Detto da Dez, ricca immobiliarista, lesbica nera di mezza età, sposata con una donna bianca, mamme adottive di una figlia meticcia… non ha proprio niente di strano.
Vivono nel paese che dagli anni ’90 ha adottato una costituzione egualitaria e libertaria da far invidia all’Occidente, in cui vige la protezione costituzionale per l’orientamento sessuale, primo paese in Africa a legalizzare il matrimonio omosessuale, in cui anche gli omosessuali possono adottare: il Sudafrica.
Prodotto da The Out In Africa Gay & Lesbian Film Festival, “While you weren’t looking” è un film politico, un ritratto della borghese, ricca e stereotipata famiglia di Dez e Terri. L’una mascolina e l’altra femminile, una casa da copertina di Casa Vogue, la domestica di colore che riecheggia la Mami di “Via col vento”, due amici che sono la macchietta della coppia gay colta e della medesima classe sociale delle protagoniste. Ma è un film che ci permette di dare un’occhiata al panorama queer di Città del Capo.
Che cosa ci dà felicità? Ricchezza? Diversità? Cultura? Libertà?
Due donne che sono l’emblema della diversità, subiscono ora la vita di giornate passate nella routine. Terri si accorge, da un vestito scambiato che pensava fosse il regalo per il loro anniversario, che Dez la tradisce.
Asanda, la loro figlia di 18 anni, porta la diversità scritta sulla fronte. Figlia di una coppia mista di due madri, allevata solo nella lingua inglese, abituata ad avere tutto, ricchezza, una bella casa, abiti, studi superiori, dotata di apertura mentale, ma non di esperienza. “Quando la sessualità è queer, tutto può diventare queer”, è quello che respira alle interessanti lezioni del suo corso di studi.
La sera del suo diciottesimo compleanno esce a festeggiare con il fidanzato e in un locale notturno incontra un ragazzo che la affascina. No… è una ragazza! Shado, è un tomboy di un quartiere degradato e periferico della città, in cui la violenza si vive ogni giorno, qui la vita vale poco, soprattutto quella di una donna. È un maschiaccio dai capelli corti, la voce suadente e un bel viso androgino, una ragazza nera che si fascia il seno e si mette una calza arrotolata nei pantaloni. “Io ci provo a capirti, ma proprio non ci riesco” le dice la nonna. “Nonna lo faccio per proteggermi, lo sai che fine fa una donna qua…”.
Asanda, in una sola notte d’amore con Shado, che si chiude al mattino in un epilogo di violenza evitata per pura fortuna della sorte, si accorge in realtà della presenza di due mondi. Il suo, quello privilegiato, e quello di Shado, che sta più in basso di una stalla, povero, dolorante, emarginato. Terrorizzata, ritorna a casa, senza più le sue cose, la sua preziosa macchina fotografica, il telefono, i vestiti. Rubati da due delinquenti penetrati in casa di Shado. Scoperte le ragazze nello stesso letto, uno di loro tiene in ostaggio Shado puntandole un coltello alla gola, “Volevi fare l’uomo? Adesso ti faccio vedere io cos’è un uomo”.
Quando arrivi alla paura, lì, a conti fatti, perdi tutto quello che hai, o lo apprezzi tutto, per intero.
All’ingresso in casa trova le sue madri intente a recuperare i vestiti che Terri aveva gettato in piscina in preda al dolore del tradimento. Una piccola tragedia borghese al confronto di quella sfiorata da Asanda nel quartiere di Shado.

È bello essere liberi, ma quando la nostra libertà è troppa?

(Gloria Bellorini)


01:54

di Yan England

voto: 8/10

Film tutto concentrato sul tema del bullismo omofobico che in patria, il Quebec canadese, ha goduto di un grande successo di pubblico. Forse uno dei migliori film su queste tematiche adolescenziali: omofobia, bullismo, outing. Sarebbe un ottimo film educativo, da mostrare nelle scuole, se non fosse per una conclusione non proprio esemplare. Il successo del film (al Festival Mix è risultato terzo nelle preferenze del pubblico) è spiegabile sia per le ottime interpretazioni, sia per una sceneggiature che mescola il tema della riscossa con quello della competizione sportiva, argomenti sempre accattivanti, che per una regia abilissima nel sottolineare i momenti clou, mescolando ad esempio i sogni con le aspettative del protagonista (sebbene il film sia stato girato in soli 25 giorni con un budget ridottissimo). I personaggi secondari sono tutti finalizzati a farci comprendere meglio l’angoscia del protagonista: un padre amorevolissimo, rimasto prematuramente vedovo, che sarebbe impossibile deludere ancora; il migliore amico che è anche l’oggetto segreto del desiderio ma che quando si rivela gay pubblicamente si trasforma in una facile minaccia; la compagna di scuola sensibile ed attenta, che intuisce subito come stanno le cose e s’impegna per aiutarlo; l’allenatore che punta tutto sulle sue qualità sportive, ignaro, fin quasi alla fine, della drammatica situazione psicologica ed ambientale che il protagonista sta vivendo; il capobanda degli omofobi bulli, anche candidato vincitore della gara sportiva che lo ammetterà ai campionati nazionali, e che il nostre eroe pensa di distruggere impedendogli questa vittoria. Un’atmosfera cupa e tragica accompagna quasi tutto il film, ottima scelta per evidenziare le drammatiche conseguenze di atteggiamenti persecutori condotti sia con la violenza fisica che con l’utilizzo dei social e del web, che possono verificarsi in un ambiente, quello scolastico, che dovrebbe avere il massimo controllo e la massima attenzione da parte degli educatori adulti.
Invece questi giovani sembrano abbandonati a se stessi, anche quando sono circondati da genitori affettuosi e premurosi, incapaci però di superare il muro della diffidenza e della paura che sta crescendo nell’intimo di ragazzi che iniziano a prendere conoscenza della loro diversità. Una incredibile opera prima, che forse ha l’unico difetto di guardare troppo alla percezione del pubblico anzichè concentrarsi sulle dinamiche interiori dei protagonisti. (G.M.)


Brothers of the Night

di Patric China

voto 7/10

Un docufilm di 88 minuti che ridotti a mezz’ora sarebbe stato un capolavoro. Il film ha vinto sia il festival gay siciliano che il Festival Mix come miglior doc (dove aveva rivali assai più agguerriti). Merito di un’idea accattivante, quella di entrare nel cuore di un ambiente, formato da dei giovani immigrati bulgari che si trasferiscono a Vienna per esercitare la professione di prostituti gay dopo aver fallito in qualsiasi altra occupazione. Ognuno di questi parla della sua storia confrontandosi con un invisibile intervistatore o recitando dei dialoghi tra loro stessi (rivelando una inattesa capacità attoriale). Quasi tutti hanno mogli e figli in patria che hanno bisogno dei loro soldi per sopravvivere. Quasi nessuno di loro è veramente omosessuale, e infatti cercano di divertirsi, dopo il lavoro, con prostitute locali. Il film non vuole dare giudizi morali ma solamente cercare di comprendere come questi ragazzi stanno vivendo la loro condizione. Non c’è voyeurismo e nemmeno momenti scabrosi, a parte qualche racconto d’incontri sessuali fuori dalla norma. Il film vuole solo portarci all’interno di questa piccola comunità di lavoratori particolari, di ragazzi che soffrono un’esistenza di miseria ed abbandono, lontani dai loro veri affetti, in cerca di una impossibile emancipazione. La prostituzione è solo un espediente, l’unico che sono riusciti a trovare, per sopravvivere. Ottima la fotografia ed il montaggio, peccato solo per troppe ripetizioni che allungano inutilmente il film. (G.M.)


Heartstone

di Gudmundur Arnar Gudmundsson

voto: 8/10

Film vincitore del 10mo Queer Lion e del 31mo Festival Mix di Milano. L’età acerba, per rubare una citazione ad André Téchiné. Non la pubertà in senso stretto, ma quel particolare e specialissimo periodo della vita in cui l’infanzia volge alla fine e l’adolescenza fa già sentire violentemente le sue esigenze. E’ in questo specifico momento della loro esistenza che incontriamo Thòr e Christian, i giovanissimi protagonisti descritti dal regista e sceneggiatore islandese Gudmundur Arnar Gudmundsson nella sua opera prima connotata da forti reminiscenze autobiografiche. E’ estate. E cosa possono fare in estate due ragazzini in una sperduta landa dell’isola più disabitata dell’Europa del Nord? Possono andare a pescare, possono accudire i cavalli, distruggere del tutto auto abbandonate in un deposito di sfasciacarrozze, campeggiare sulle sponde di un lago di montagna. Possono soprattutto permettersi il lusso di perdere il proprio tempo, un tempo di cui non si conosce il valore, ma che permette di sfuggire ai progetti e insieme pone domande precise su chi si è, su cosa si vuole dalla vita e su cosa siano gli altri rispetto al sé. Specie se le famiglie intorno sono ininfluenti, con padri fuggiti altrove o presenti ma alcolizzati, ma anche con madri pronte a concedersi al primo uomo incontrato per strada. Si è soli su un aspra costa vulcanica e da soli è lì che si deve affrontare la vita e lo scorrere del tempo di cui è composta. Inevitabile che la noia sfoci in crudeltà e violenza. Ma dietro questa aggressività c’è anche tenerezza e premura, soprattutto da parte del più maturo e protettivo Christian verso il più minuto – poco più che bambino – Thòr il quale scalpita per arrivare anche lui sulla scena sociale sulle orme dell’amico. Ammirazione, affetto, amore… un grumo di sensazioni difficili da districare e da definire nel singolo specifico. Né possono venire in aiuto al piccoletto le sorelle maggiori, una più combattiva, l’altra più sensibile dedita a pittura, poesia e ascolto della musica di Bjork. Da loro arrivano solo prese in giro, rimproveri o imposizioni. Né è migliore la situazione familiare dell’amico Christian dove a dominare è un padre violento, schiavo della bottiglia e terribilmente intollerante e omofobo (come mostrato fin dalle prime sequenze). Quando Christian inizia a frequentare goffo e pieno di timori la giovane Beta, il piccolo Thòr lo imita facendo altrettanto con Hanna, l’amica più cara di Beta. Sempre in un viluppo di sensazioni non chiare nel profondo, in un pendolo instabile tra pulsioni senza un esatta meta e sentimenti confusi. Solo nello scorrere del tempo, grazie a giochini di gruppo come “vero o falso” e dormendo in tenda tutti insieme, finalmente Christian finisce per vedere chiaro in sé stesso e comprende chi è davvero l’oggetto del suo desiderio; una scoperta che lo getta nell’angoscia e che non può non riverberarsi nei rapporti con l’amico tanto più che anche costui sta vivendo una fase di grande dubbio sulle proprie tendenze sessuali consapevole solo del maturare della propria virilità. Siamo nel momento più forte del film, quello in cui l’abilità narrativa del regista emerge al meglio. Tutto raccontato attraverso le immagini – pochissime le parole quando non la totale assenza dei dialoghi – con primissimi piani degli attori e dettagli ingigantiti delle singole espressioni. In un totale rispecchiamento tra la bellezza dei paesaggi filmati in diretto dialogo con l’intimo sentimento che non riesce a rompere la corazza di pietra del mutismo, parole negate anche a chi si sta amando con tutta l’anima. Immagini illuminanti delle contraddizioni, dell’egotismo e dell’incapacità di parola della prima adolescenza e della bruciante natura del desiderio propria di quell’età. La vicenda ha un punto di svolta quando il padre di Christian sottopone i due ragazzi a una sorta di prova di coraggio, e li porta a prelevare uova di gabbiano dalla parete a strapiombo della scogliera. L’incidente che vede coinvolto Thòr, sebbene senza conseguenze sul piano fisico, rende tutto chiaro a tutti e nulla potrà più essere negato, con le relative tragiche conseguenze. I personaggi della storia si chiedono tutti se il nuovo incidente di Christian sia frutto della malasorte o un tentativo di suicidio, noi spettatori che abbiamo seguito la parabola della sua coscienza lo sappiamo benissimo. Fortunatamente le conseguenze non sono gravi e nel finale la riconfermata amicizia con Thòr (che nel frattempo ha maturato una seria relazione con Hanna) gli permetterà di trovare un equilibrio di autoaccettazione e la forza di pacificarsi con la vita a venire. In tutto il film, come si è detto le battute del dialogo in sceneggiatura saranno non più di un centinaio, fondamentali per far entrare più in profondità nella trama e per sveltirne gli esiti, ma sono i due giovani interpreti a narrare davvero i fatti e i sentimenti con l’espressione dei loro volti e spesso anche con la nudità dei loro corpi. Il comnig-out dell’uno e il coming-of-age dell’altro. In un intelligente ribaltamento delle aspettative (chi crediamo gay in realtà si rivela etero e chi si aspetta sia l’etero matura invece una scelta gay), ribaltamento che si moltiplica per le diverse figure del film con la sorella che da fredda si dimostra estremamente altruista o la madre egocentrica che rivela inattesi slanci di affetto familiare. Assistiamo qui a un esordio che mette in evidenza una notevole capacità narrativa da parte di un giovane regista che ha tutte le potenzialità per stupirci positivamente in un futuro che gli si augura molto molto molto prossimo. (S. Avanzo)

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