Cinema

Da Venezia 73 le recensioni del critico Sandro Avanzo – terza parte - il vincitore

L’islandese “Heartstone”, una struggente storia di amicizia e coming out, vince il Queer Lion 2016

Aggiornamento del 10/9/2016 ore 20,30

Segnaliamo con grande piacere che ben tre titoli con riferimenti LGBT sono tra i principali premiati della 73ma Mostra del Cinema di Venezia.

Ang babaeng humayo (The Woman Who Left) di Lav Diaz, vince il Leone d’Oro come miglior film.

“… Un film che vuole spingere il cinema verso il suo ruolo più profondo e grandioso: trovare risposte alle filosofiche domande che ogni spettatore si pone. L’ambientazione a Mindoro, provincia delle Filippine da cui proviene la stessa Charo Santos-Concio, ha reso il momento delle riprese ancora più autentico di quanto il tema del film non fosse in grado di fare….”

Nocturnal Animals di Tom Ford, vince il Gran Premio della Giuria (il secondo premio in ordine di importanza)

“… Anche se il “nostro” Tom Ford introduce il soggetto gay in modo del tutto ininfluente sulla vicenda principale del suo “Nocturnal Animals“, non ci fa mancare alcuni momenti molto ghiotti, come la sequenza in cui riprende il marito dell’amica della protagonista. Elemento di spicco del mondo dell’arte contemporanea made in USA (ma tutt’altro che una macchietta), in elegante tait color viola-lavanda, di lui la moglie dice ironicamente “In fondo ci sono dei vantaggi nell’essere sposata a un gay: sei sicura che sarai per sempre l’unica donna della sua vita“. Ma in un altro momento il tema emerge con più significanza, nel racconto che la brava ed espressiva Amy Adams fa dell’incontro col proprio primo marito ai tempi dell’università. Il tramite tra loro era stato il fratello coetaneo ancora incerto e inconsapevole circa le proprie tendenze sessuali che frequentava come miglior amico l’affascinante Jacke Gyllenhall senza essere ancora cosciente che non si trattava di semplice amicizia, ma di passione amorosa. Toccante e pieno di vero affetto il ricordo della situazione ad anni di distanza quando Gyllenhall commenta con una punta di rimorso “non sono stato un buon amico, non l’ho più sentito da allora e non ho idea di quanto possa aver sofferto, dovrei proprio farmi di nuovo vivo con lui.“…” (S. Avanzo)

La Región Salvaje di Amat Escalante, vince il premio come miglior regia

“… La famiglia borghese apparentemente perfetta nasconde segreti inconfessabili con il marito e il cognato che si sodomizzano reciprocamente con reciproco sollazzo (tutto in primissimo piano!!!) e l’aspetto più anomalo è dato dal fatto che è il marito a provare la passione più devastante per l’amato. Fino a quando costui non viene trovato nudo e in coma nel greto di un torrente vicino alla casa nel bosco. Chi l’ha trascinato fin là, quale spinta l’ha mosso? Si vedono solo gli effetti di quella situazione, lo scandalo che scoppia nel paese, il ripudio da parte della moglie, l’appoggio della famiglia che però ne pretende l’ostracismo, l’annientamento psicologico e materiale. Morale bigotta e ipocrisia cattolica sono svelati dalla presenza (non vista) della creatura e avviluppati dai suoi tentacoli, gli atti amorosi ripresi nel loro aspetto osceno divengono nel contempo rito purificatorio che tende all’auto da fé collettivo e catarsi personale…”  (S. Avanzo)

Da segnalare anche il Premio Mastroianni al miglior esordio, assegnato a Paula Beer, protagonista di “Frantz” del regista gay François Ozon.

 

 

 

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HJARTASTEINN (HEARTSTONE)
di Gudmundur Arnar Gudmundsson

Voto: stella4-5
Riferimenti LGBT: GGG

Film vincitore del 10mo Queer Lion. L’età acerba, per rubare una citazione ad André Téchiné. Non la pubertà in senso stretto, ma quel particolare e specialissimo periodo della vita in cui l’infanzia volge alla fine e l’adolescenza fa già sentire violentemente le sue esigenze. E’ in questo specifico momento della loro esistenza che incontriamo Thòr e Christian, i giovanissimi protagonisti descritti dal regista e sceneggiatore islandese Gudmundur Arnar Gudmundsson nella sua opera prima connotata da forti reminiscenze autobiografiche. E’ estate. E cosa possono fare in estate due ragazzini in una sperduta landa dell’isola più disabitata dell’Europa del Nord? Possono andare a pescare, possono accudire i cavalli, distruggere del tutto auto abbandonate in un deposito di sfasciacarrozze, campeggiare sulle sponde di un lago di montagna. Possono soprattutto permettersi il lusso di perdere il proprio tempo, un tempo di cui non si conosce il valore, ma che permette di sfuggire ai progetti e insieme pone domande precise su chi si è, su cosa si vuole dalla vita e su cosa siano gli altri rispetto al sé. Specie se le famiglie intorno sono ininfluenti, con padri fuggiti altrove o presenti ma alcolizzati, ma anche con madri pronte a concedersi al primo uomo incontrato per strada. Si è soli su un aspra costa vulcanica e da soli è lì che si deve affrontare la vita e lo scorrere del tempo di cui è composta. Inevitabile che la noia sfoci in crudeltà e violenza. Ma dietro questa aggressività c’è anche tenerezza e premura, soprattutto da parte del più maturo e protettivo Christian verso il più minuto – poco più che bambino – Thòr il quale scalpita per arrivare anche lui sulla scena sociale sulle orme dell’amico. Ammirazione, affetto, amore… un grumo di sensazioni difficili da districare e da definire nel singolo specifico. Né possono venire in aiuto al piccoletto le sorelle maggiori, una più combattiva, l’altra più sensibile dedita a pittura, poesia e ascolto della musica di Bjork. Da loro arrivano solo prese in giro, rimproveri o imposizioni. Né è migliore la situazione familiare dell’amico Christian dove a dominare è un padre violento, schiavo della bottiglia e terribilmente intollerante e omofobo (come mostrato fin dalle prime sequenze). Quando Christian inizia a frequentare goffo e pieno di timori la giovane Beta, il piccolo Thòr lo imita facendo altrettanto con Hanna, l’amica più cara di Beta. Sempre in un viluppo di sensazioni non chiare nel profondo, in un pendolo instabile tra pulsioni senza un esatta meta e sentimenti confusi. Solo nello scorrere del tempo, grazie a giochini di gruppo come “vero o falso” e dormendo in tenda tutti insieme, finalmente Christian finisce per vedere chiaro in sé stesso e comprende chi è davvero l’oggetto del suo desiderio; una scoperta che lo getta nell’angoscia e che non può non riverberarsi nei rapporti con l’amico tanto più anche costui sta vivendo una fase di grande dubbio sulle proprie tendenze sessuali consapevole solo del maturare della propria virilità. Siamo nel momento più forte del film, quello in cui l’abilità narrativa del regista emerge al meglio. Tutto raccontato attraverso le immagini – pochissime le parole quando non la totale assenza dei dialoghi – con primissimi piani degli attori e dettagli ingigantiti delle singole espressioni. In un totale rispecchiamento tra la bellezza dei paesaggi filmati in diretto dialogo con l’intimo sentimento che non riesce a rompere la corazza di pietra del mutismo, parole negate anche a chi si sta amando con tutta l’anima. Immagini illuminanti delle contraddizioni, dell’egotismo e dell’incapacità di parola della prima adolescenza e della bruciante natura del desiderio propria di quell’età. La vicenda ha un punto di svolta quando il padre di Christian sottopone i due ragazzi a una sorta di prova di coraggio, e li porta a prelevare uova di gabbiano dalla parete a strapiombo della scogliera. L’incidente che vede coinvolto Thòr, sebbene senza conseguenze sul piano fisico, rende tutto chiaro a tutti e nulla potrà più essere negato, con le relative tragiche conseguenze. I personaggi della storia si chiedono tutti se il nuovo incidente di Christian sia frutto della malasorte o un tentativo di suicidio, noi spettatori che abbiamo seguito la parabola della sua coscienza lo sappiamo benissimo. Fortunatamente le conseguenze non sono gravi e nel finale la riconfermata amicizia con Thòr (che nel frattempo ha maturato una seria relazione con Hanna) gli permetterà di trovare un equilibrio di autoaccettazione e la forza di pacificarsi con la vita a venire. In tutto il film, come si è detto le battute del dialogo in sceneggiatura saranno non più di un centinaio, fondamentali per far entrare più in profondità nella trama e per sveltirne gli esiti, ma sono i due giovani interpreti a narrare davvero i fatti e i sentimenti con l’espressione dei loro volti e spesso anche con la nudità dei loro corpi. Il comnig-out dell’uno e il coming-of-age dell’altro. In un intelligente ribaltamento delle aspettative (chi crediamo gay in realtà si rivela etero e chi si aspetta sia l’etero matura invece una scelta gay), ribaltamento che si moltiplica per le diverse figure del film con la sorella che da fredda si dimostra estremamente altruista o la madre egocentrica che rivela inattesi slanci di affetto familiare. Assistiamo qui a un esordio che mette in evidenza una notevole capacità narrativa da parte di un giovane regista che ha tutte le potenzialità per stupirci positivamente in un futuro che gli si augura molto molto molto prossimo.

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BOYS IN THE TREES

di Nicholas Verso

Volto: stella3_5-5
Riferimenti LGBT: GGG

Tutto in una notte. Passato, presente e conseguenti esiti nel futuro, tutto nella terrorizzante notte di Halloween. Il film dell’australiano Nicholas Verso è in tutto e per tutto un teen-horror con i relativi topos del genere, le maschere terrificanti, gli attacchi del branco violento, le case maledette, gli scheletri che appaiono all’improvviso, gli inseguimenti e le fughe nella foresta, lo shock dei colpi di scena e quant’altro serve a far saltare sulla sedia i giovani spettatori cui sembra essere destinato. Ma c’è un ma… di quella conformazione predefinita prende solo gli elementi e le strutture narrative formali e li usa consapevolmente come componenti per “un’opera d’autore”, per quanto limitata in questo aspetto, ma pur sempre “opera d’autore”. Non a caso la sceneggiatura era stata già notata e premiata al New York Gay and Lesbian Film Festival del 2011. Come si è detto siamo nella notte di Halloween che per Corey coincide anche con ultima notte di liceo. Anche se l’unica sua preoccupazione sembra essere l’esigenza di omologarsi ai modi di vivere dei compagni di scuola si rende conto che la vita in provincia gli va stretta e vorrebbe andarsene in una grande metropoli a frequentare un’università di prestigio. Per questo desiderio di fuga viene deriso dal coetaneo Jango, il maschio-alfa della gioventù del paese, la cui regola esistenziale risponde alle semplici frasi “Qui si sta bene. C’è davvero tutto ciò che serve per vivere alla grande: erba da fumare, fichette da scopare, froci da pestare. In fondo se vuoi ballare coi lupi, qualche agnello devi pur mangiarlo, no?”. L’agnello cui fa riferimento risponde al nome di Jonah, bersaglio preferito dell’omofobia di Jango e della sua banda di skater i Gromits, e vittima delle loro violenze e brutalità. Alle elementari Jonah era stato proprio il miglior amico di Corey, ma all’improvviso Corey l’aveva ripudiato a causa di un accidente misterioso accaduto in un’altra lontana notte di Halloween. La nuova notte di Halloween riporterà alla luce quelle vicende e darà una soluzione tanto ai misteri rimasti irrisolti quanto nuovi equilibri ai rapporti tra i differenti personaggi della storia. I due vecchi amici si ritrovano per caso a praticare di nuovo un gioco di ruolo che da bambini li divertiva molto, ma che ora da adolescenti vivono con altro spirito e consapevolezza. Riprendono via via a far scherzi idioti per vendicarsi di un padre assente e a percorrere i sentieri nascosti dei boschi, prima tranquilli poi inseguiti nei i corridoi di una scuola deserta, ma devono anche fronteggiare il branco violento all’interno di un supermercato (come in analoghe centinaia di scene ricorrenti nei film horror). Come da copione in questi casi Corey si ravvede degli errori di comportamento verso l’amico e incontra anche l’amore di una ragazza; ma soprattutto i due si ritrovano nello stesso posto dove da bambini era successo il fatto misterioso, l’evento che aveva dato una diversa svolta alle reciproche esistenze. Lì, dentro l’oscurità di una enorme conduttura fognaria erano stati aggrediti da un branco di maschi ubriachi e infoiati e mentre Corey ce l’aveva fatta a fuggire, Jonah aveva subito uno stupro di gruppo. Ora che la storia si ripete identica a quella Corey non scappa più e riesce a salvare l’amico e a coprire di ridicolo il violento Janco. Ma c’è un’altra differenza sostanziale rispetto al passato, anche questa di carattere horror… ma non la si può rivelare per non far torto al regista. Come indizio si può suggerire che in questa bellissima sequenza compare anche il Barone Samedi della tradizione voodoo (“uno che vedi solo due volte nella vita, la prima la dimentichi, la seconda te la ricordi per sempre”) con una valenza magica tutt’altro che malvagia. Se è la redenzione di Corey al centro del film insieme al recupero in senso positivo del suo rapporto con l’amico, ci sono elementi che ne fanno un’opera discontinua sul piano formale e contenutistico. Se è ben condotto ed evidenziato il tema del bullismo/omofobia altrettanto non si può dire dell’intera sequenza di episodi che compongono la parte centrale del film; non tutti sono essenziali e uno sfoltimento snellirebbe la durata facilitandone la distribuzione anche nelle sale italiane (gliela auguriamo!), ma in particolar modo risulta inaccettabile la riproposizione dell’equivalenza tra stupro infantile e conseguenza inclinazione omosessuale in età adolescenziale, proprio come nei peggior telefilm di bassa fattura. Per il resto godete della bella ambientazione primi anni ’90, con le parerti coperte di poster di Kurt Cobain ancora all’apice e i supereroi Marvel in plastica delle bustine da edicola. La nostalgia non sempre deve per forza far paura!

 

avanzo-sandro60Sandro Avanzo

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