Torri, checche e tortellini

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Torri, checche e tortellini

Nel 1982 fu la prima volta in Europa che un’amministrazione concedeva uno spazio ai gay. E che spazio! Una torre del tredicesimo secolo facente parte dell’antica cinta muraria. Il Cassero di Porta Saragozza è una delle tappe clou della comunità LGBT italiana. Una storia leggendaria ma anche il percorso di una città, la Bologna delle tre “T” (torri, tette e tortellini). Le tappe salienti che portarono all’inedita decisione e le attività del Cassero nei suoi primi anni di vita, partendo da quegli anni Ottanta che videro cambiare il movimento, trasformandosi da corrente rivendicativa e rivoluzionaria in vera e propria istituzione, centrale nella vita culturale cittadina. Foto e video ritrovati, gli spettacoli en travestì e l’epopea narrata dai protagonisti, tra i quali Franco Grillini, Beppe Ramina, Alessandro Fullin e Valérie Taccarelli. E l’ultimo presidente del Cassero, che ormai si è trasferito altrove: il primo presidente a non aver mai messo piede in quella storica prima sede. (TGLFF)

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Si trovano ancora in qualche edicola le cartoline di “saluti da Bologna” con le proverbiali “tre T: torri, tette e tortellini”, a sottolineare da decenni non solo le curiosità monumentali e gastronomiche del capoluogo emiliano, ma anche quelle… anatomiche, rigorosamente e prosperosamente femminili.
Ma nella lunga storia di una città così connotata (anche da questo punto di vista: la bolognese è stato uno dei più classici personaggi della commedia italiana degli anni ’70) a un certo punto successe qualcosa. Le “tette” cominciarono a lasciar posto alle… “checche”!
Torri, checche e tortellini racconta un’avventura: il frammento più incredibile della storia del movimento omosessuale italiano. Un gruppo di gay che ottiene dal Comune di Bologna una sede per le proprie attività, e questa sede è un prestigioso monumento storico, per giunta di interesse religioso.
Il “Cassero di Porta Saragozza”, su cui dal 1982 ha cominciato a sventolare la bandiera LGBT, diventa subito leggendario, in Italia e in tutta Europa. Attività culturali e politiche si intrecciano a un’idea diversa di aggregazione e socialità, anche con la creazione di un gruppo teatrale di travolgente e delirante autoironia en travesti. Questo documentario racconta una storia che è la storia di tante persone che hanno creduto e continuano a credere in quell’avventura.
È la storia di un momento importante del movimento LGBT, quando si passò dalla rivolta alla rivendicazione di spazi pubblici.
È la storia di una città, che improvvisamente decise di investire sui diritti. Anche a costo di perdere la nomea di città delle “tette” per acquistare quella di città delle “checche”.

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Articolo di Davide Turrini su Il Fatto

E’ il primo centro italiano Lgbt sorto a Bologna in un edificio monumentale concesso dal Comune nel 1982 grazie all’eccezionalità, ma anche alla pervicacia, con cui ‘quel’ partito comunista bolognese mostrò sensibilità in una insolita battaglia per i diritti civili: “Racconto senza nostalgia, e attraverso frammenti video del passato pressoché inediti e nascosti, il Cassero del ‘900, cioè fino a quando non si trasferisce alla Salara nel 2002″, spiega il regista, Andrea Adriatico, a FQMagazine
“Torri, checche e tortellini”. Ci ha pensato il regista aquilano Andrea Adriatico a scompaginare la celebre vulgata turistico-comunicativa di Bologna, le cosiddette “tre T” (torri, tette e tortellini ndr) nel suo nuovo documentario, che parteciperà alla 30esima edizione del Torino Gay&Lesbian Film (29 aprile-4 maggio 2015). Perché Bologna, e perché le “checche” al posto delle tette, riguarda il soggetto dell’opera: il Cassero, ovvero il primo centro italiano Lgbt sorto a Bologna in un edificio monumentale concesso dal Comune nel 1982. “E’ una vicenda che fa da pietra miliare per i diritti civili in Italia”, spiega Adriatico al FQMagazine. “Arrivai da L’Aquila nel 1985 per studiare al Dams, anche se poi mi laureai in Architettura. Bologna era la città più gay friendly d’Italia e il luogo dove essere omosessuali non era una colpa”.
La storia, come riportata sul sito web del Cassero di Bologna vuole che nel 1978 venne fondato nel capoluogo emiliano il “Circolo di cultura omosessuale 28 giugno“, sull’esperienza nata negli anni precedenti dei movimenti di liberazione omosessuale. Poi la svolta nel giugno del 1982 quando il Comune di Bologna concesse la sede di Porta Saragozza (una delle porte medioevali della città ndr), ad una realtà associativa gay e lesbica, a cui le altre città italiane seguiranno con qualche anno di ritardo. “Racconto senza nostalgia, e attraverso frammenti video del passato pressoché inediti e nascosti, il Cassero del ‘900, cioè fino a quando non si trasferisce alla Salara nel 2002, un altro spazio comunale, e il Cassero di Porta Saragozza diventa il Museo della Beata Vergine della Madonna di San Luca”. La carrellata su chi compì l’impresa culturale più “rivoluzionaria” degli anni ottanta ha come protagonisti gli assessori giovani del Pci (Walter Vitali e Sandra Soster) che all’epoca spinsero per l’assegnazione dello spazio all’associazione Lgbt, ma ci sono anche i primi protagonisti che fecero subito diventare quel luogo un concentrato di elaborazione politica e ancor di più culturale: Marco Barbieri, Beppe Ramina, Diego Scudiero, Domenico Del Prete, Stefano Casi e Stefano Casagrande. “Bologna in quel momento scontava la tragedia della bomba alla stazione e le delusioni del movimento del ’77 – continua Adriatico – il Pci doveva ricompattare gli entusiasmi tra i propri simpatizzanti. E fu in grado di fare una scelta “forte” seppur con una base vagamente ostile. Il Cassero, oltretutto, divenne subito anche un avamposto alla peste dell’Aids che colpì la comunità gay dall’83 in avanti”.
L’eccezionalità, ma anche la pervicacia con cui quel partito comunista bolognese mostrò sensibilità in una insolita battaglia per i diritti civili, sembra essersi dissolta: “Da quei giorni sembrano essere passati secoli. L’energia politica non viene più usata per questi temi. Oggi si danno solo risposte populiste per soddisfare i bisogni più bassi dell’anima – continua Adriatico – se nell’82 l’assegnazione di quello spazio fu considerato un diritto, perché oggi in Parlamento non si riesce a prendere uno straccio di decisione che riguarda i diritti civili su temi Lgbt?”. Il Cassero è finito nell’occhio del ciclone diverse volte in questi 30 anni con la reiterata richiesta dei partiti conservatori bolognesi di uno stop alle agevolazioni pubbliche di cui è fruitore; o ancora nel marzo 2015, quando sulla pagina Facebook del circolo è stata pubblicata una foto scattata durante una festa che ricordava una vignetta satirica “blasfema” di Charlie Hebdo: “Viviamo tutti nella pornografia dell’immagine. Derek Jarman diceva che l’immagine è una prigione dell’anima. Semmai quello che mi interessa sono la dimensione dell’insulto o le parole pesanti insite in questo “odio cattolico” contro gli omosessuali che non si è mai esaurito dalla nascita del Cassero ad oggi. La politica nell’82 fu di fermezza, diamo ai “busoni” il luogo della Madonna di San Luca. Oggi sono capitato dentro a quel museo a Porta Saragozza e nel pannello che ne ripercorre la sua storia viene citata il momento in cui fu sede di un circolo fascista, e di un circolo Arci, ma non v’è traccia della nascita del Cassero. Una rimozione storica che la dice lunga su questo odio. Poi certo non parlo di tutti i cattolici, molti di loro sono più aperti dei loro sovrani: sono cattolici dispersi che non seguono la Chiesa, come del resto molte persone di sinistra non seguono il Pd. Se nell’82 dentro al corporativismo del Pci si compivano scelte azzardate, oggi non ci si può più fidare nemmeno della politica”.

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