Mirna

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Mirna

Un battello procede su un fiume tranquillo e una mano si abbandona verso la superficie dell’acqua mentre le rive sfilano rapide, fiancheggiate da imbarcazioni arrugginite, in rovina. Mirna, una bella argentina di ventisette anni, lascia Buenos Aires, città per lei troppo grande e complicata. È alla ricerca di un posto che le sia congeniale, un luogo dove poter vivere, da qualche parte sulle Ande. Ha così inizio una specie di road movie attraverso il paese, negli scenari montagnosi dalle cime innevate dove si sente solo il vento. Questo racconto in prima persona dalla cronologia scomposta alterna i sentieri di montagna percorsi dalla donna, gli alberghi e i bar dove si ferma a riflettere con sequenze della sua vita a Buenos Aires, in cui la vediamo radiosa e innamorata. Poco prima della partenza, infatti, Mirna ha incontrato e cominciato ad amare Monica, da cui non si staccava più. Tuttavia, malgrado questa relazione nascente, ha avvertito il bisogno di lasciare la città per cercare questo luogo sulle montagne del quale sentiva il richiamo. Quanto a Monica, non le restano che i ricordi e una lettera della compagna che spiega le ragioni di quella partenza. Durante la sua odissea attraverso le Ande, Mirna, sempre sola, si rivolge a Monica, talvolta tra sé e sé, talatra parlando direttamente alla macchina da presa, che incarna la sua ex compagna, assente eppure sempre con lei. In risposta a questo monologo interiore, la macchina da presa la scruta come farebbe Monica, aderendo al suo corpo e al suo viso, deliziandosi dei suoi occhi, della sua bocca, delle sue spalle. Girando intorno a Mirna, la macchina da presa dà l’impressione di una presenza che la segue, quasi il fantasma dei suoi pensieri, mentre la voce di Monica risuona scaturita dal nulla. Mirna, il racconto di una ricerca impossibile, nella quale solo i ricordi consentono alle due donne di ritrovarsi a dispetto dei limiti di spazio e tempo. (Uff. Stampa)

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C’è un posto nel mondo a cui ciascuno appartiene. È questo il posto che Mirna sta cercando, un luogo nelle Ande argentine dove una volta è già stata, ma che non sa più ritrovare, un pezzo di terra insignificante, ma che per lei vuol dire casa. È questo che la spinge ad abbandonare la sua città, Buenos Aires, troppo grande, troppo complicata per lei che la attraversa da un capo all’altro tutti i giorni per andare a rinchiudersi nel chiosco dove lavora, vendendo dolciumi e tabacchi, guardando la gente passare.
È solo un lavoro come tanti, come mille altri che Mirna ha fatto per sopravvivere, sempre con quella voglia di andar via che cresceva e premeva, fino a diventare per lei impossibile da ignorare.
Quando ormai ha già preso la sua decisione – partire –, Mirna incontra Monica e tutto cambia. Sono due donne che si amano, due corpi che hanno bisogno l’uno dell’altro per esistere, mentre tutto il resto attorno a loro, la città, il mondo intero, scompare.
Attraverso gli occhi e le parole di Monica, uniche tracce della sua presenza, viene raccontata, come una sorta di diario filmato, struggente e malinconico, la relazione tra le due donne: il ricordo di Mirna, ogni attimo trascorso con lei rivissuto mille volte fino a consumarlo, come un’ossessione che toglie il respiro, unamalattia da cui è impossibile guarire.
Della storia con Mirna e di tutto quello che ha significato per lei, a Monica è rimasta solo una lettera che Mirna le ha lasciato prima di andar via, la presa di coscienza dolorosa e inevitabile dell’impossibilità di vivere quell’amore fino in fondo, perché Mirna sente di essere stata chiamata altrove, da quel luogo perduto del suo passato. Lontano da Buenos Aires, seguiamo Mirna nella sua ricerca attraverso le Ande aspre e desolate, una ricerca cieca e vana che sembra non condurla da nessuna parte, fino a quando Mirna quel posto lo troverà per caso, così come un giorno incontrò Monica, e da quel giorno niente fu più lo stesso. (Cart. St.)
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Note di regia:

La storia di Mirna è quella di una mancanza e insieme di una ricerca: quella di Mirna attraverso le Ande per raggiungere il luogo che le dirà finalmente chi è; e quella di Monica smarrita nei ricordi, struggenti, appassionati, dolorosi, comunque sempre sfuggenti, unico possibile nutrimento e rimedio all’assenza di Mirna.
È un viaggio, quello delle protagoniste, che va inteso come doppio movimento. Un percorso fisico, quello di Mirna, di ricerca e di apertura sugli scorci innevati delle vette andine, maestose e lontane, tanto da sembrare irraggiungibili come quello che sta inseguendo; un percorso interiore, quello di Monica, intimo, ossessivo e conturbante, che scandaglia le ragioni di un amore e della sua fine.
Questo duplice registro ha dato forma al film, da un lato facendo aprire lo sguardo al paesaggio andino, nel tentativo di coglierne di volta in volta la vastità, la bellezza, l’asprezza, la desolazione, in accordo con gli stati d’animo di Mirna che quel paesaggio attraversa. Dall’altro lato, trasformando la macchina da presa negli occhi di Monica, con l’obiettivo che si fa sempre più stretto sul movente del suo percorso emotivo: Mirna, il ricordo ossessivo degli attimi passati con lei a Buenos Aires, dove la città, però, non è altro che sfondo sfocato alla storia dei personaggi.
È il corpo di Mirna il vero protagonista delle lunghe sequenze metropolitane del film: un paesaggio indagato centimetro dopo centimetro, attraversato dallo sguardo di Monica alla ricerca spasmodica di fissarne il ricordo, per non perderlo e non perdersi.
Di Monica infatti, che l’annullarsi nel sentimento ha reso immateriale, ci resta solo la voce che, che rincorre le immagini, le scavalla, come in un inseguimento tra il vissuto di Monica e il presente del viaggio di Mirna, unico possibile terreno di incontro al di là dello spazio e del tempo, la memoria.

Corso Salani

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CRITICA:

“Chi è Mirna, questa strana ragazza solitaria che vaga per le strade di Buenos Aires e poi per le Ande cercando un luogo che le corrisponda? La vediamo in diversi momenti della sua vita, una cronologia non consequenziale, mentre la voce fuori campo ci dice di un amore profondo, che ha mutato l’animo di Mirna come quello di Monica, la donna a cui questa voce narrante appartiene. Mirna scopriamo pian piano è una donna che sta cercando, se stessa, una dimensione per la sua vita, un posto nel mondo. In città aveva un lavoro qualsiasi, venditrice in un chiosco, una vita qualsiasi e questo amore unico, irruento come una tempesta. Un amore al primo incontro, Monica quando vede Mirna vuole subito baciarla. Un amore carnale, di sensualità e tenerezza. Le voci si confondono, diventano una sola, il racconto di una donna scivola in quello dell’altra. Monica che non vedremo mai e Mirna che si fa un tatuaggio nel rito del suo viaggio, Monica gelosissima anche se forse non si ritroveranno mai più. Mirna che parla in macchina, che dice le sue fantasie, le immagini di un posto nel quale una volta le è sembrato di sentirsi infine adeguata.
Mirna è il nuovo film di Corso Salani dopo la serie dei Confini di Europa. Un nuovo viaggio in Argentina, ove è spesso andato a filmare, basso budget, il sentimento dell’urgenza che è quello di fare cinema: è di questo che è fatto il lavoro di Salani, cineasta speciale nella sua intuizione, quasi magica, di mettere a fuoco il sentimento, la confusione dell’emozione, il monologo interiore di una vita. Le sue architetture sono impalpabili, e anche dolorose, ci parlano di fantasmi, proiezioni, fantasie che sono poi la materia del cinema. Qui il desiderio nell’assenza finisce col coincidere col gesto stesso del filmare, il regista «diviene» in qualche modo Monica, il suo modo di seguire Mirna coincide con lo sguardo impossibile del suo desiderio. Un’altalena di tenerezza e rimpianto che si fa luce, paesaggio, orizzonte infinito.” (Cristina Piccino, Il Manifesto)

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