Porpora Marcasciano

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Porpora Marcasciano

da Repubblica.it (31/3/2015)

Una rivoluzione sessuale testimoniata in prima persona, dal coming out di un giovane liceale al riconoscimento della propria omosessualità fino alla scoperta della dimensione trans. Allora Porpora era Porporino perché a molti ricordava il protagonista dell’omonimo romanzo di Dominique Fernandez.
Il racconto inizia con l’esodo dal paese d’origine in provincia di Benevento per approdare a Napoli, Roma e Bologna. “Nel ’73 smisi di vergognarmi – ricorda Porpora – e compresi che quanto mi avevano insegnato non era vero: gli indiani non erano cattivi, i comunisti non erano cannibali, gli anarchici non erano assassini e gli omosessuali non erano mostri, mentre gli stronzi che vorrebbero fartelo credere sono invece autentici: stronzi, veramente stronzi”.
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Sesso, droga, concerti e un mondo da riscrivere. Con i compagni delle assemblee studentesche e con personaggi mitici di quegli anni, come la Zanza, che rivela a Porpora la ricetta della felicità: “Amichessa, questo è il paradiso: si mangia, si beve, si scopa, ci si droga, senza bisogno di soldi! E poi mare, sole e nudismo. Questo è il comunismo”.
Il linguaggio, luogo di rappresentazione e di liberazione, in AntoloGaia è queer e parla di omosessualità e transessualità quando di omosessualità e transessualità non si poteva parlare. Porpora si racconta al maschile, al femminile, o utilizza asterischi per mostrarsi in qualche modo imparziale nei confronti dei lettori.
Con la morte di Aldo Moro, nel ’78, l’aria cambia. “Capimmo chiaramente che da quel momento nulla sarebbe rimasto come prima. Roma era presidiata, ti sentivi accerchiato, controllato, sotto assedio. Una sera tornando a casa con Carol, Lilli e Nocciolina, fummo fermati dalla polizia. Mi infilarono la canna della pistola in bocca, dicendomi che per noi era finita. Non si riferivano solo a noi quattro, era finita per noi in senso ampio, un noi allargato, un noi comunisti di merda, un noi froci e femministe, un noi capelloni fancazzisti”.
Ma Porpora resiste. Nel ’79 fonda il primo collettivo gay romano, “Il Narciso”, partecipa al primo campeggio gay di Isola Capo Rizzuto e alla prima manifestazione gay a Pisa. A Bologna è protagonista della “presa del Cassero” dell’82: per la prima volta un’amministrazione comunale assegna una sede alle persone omosessuali.
Con l’inizio del nuovo decennio, però, l’atmosfera si fa cupa. Il virus dell’Hiv, che la stampa dell’epoca definiva la “peste gay”, sembra bloccare ogni tentativo di emancipazione e azzerare la memoria storica, a cominciare dal gergo e dalla cultura omosessuale di quegli anni. La sessualità finisce sul banco degli imputati e ci si guarda con sospetto: la malattia è usata in modo strumentale per far riemergere i peggiori oscurantismi.
La testimonianza di Porpora termina con una data simbolo, il 1983, l’anno del suicidio di Mario Mieli, intellettuale di spicco del nascente movimento di liberazione gay. “Da allora tutto è cambiato – denuncia a Repubblica.it la presidente del MIT – Oggi siamo stati normalizzati dalle leggi del mercato”.
“Il movimento gay – spiega Porpora – non ha riflettuto abbastanza sulla propria storia, non ha avuto la capacità di storicizzarla, di dare letture proprie della Storia, e di rivendicare il nostro contributo con orgoglio. La nostra storia invece è importante per non farci neutralizzare”. Secondo Porpora Marcasciano il movimento LGBT ha rinunciato a contribuire al cambiamento in Italia per un’evoluzione sociale, culturale e politica. “Abbiamo delegato troppo ai politici gay ma dal Palazzo non sono arrivate risposte. Eppure i diritti delle persone gay non riguardano esclusivamente i gay ma una questione più generale di democrazia”.

Pasquale Quaranta

Porpora Marcasciano è presente in queste opere:

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