Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi
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  • Data di nascita 01/01/1970
  • Data di morte 01/01/1970
  • Luogo di nascita Italia/Recanati
  • Luogo di morte Italia/Napoli

Giacomo Leopardi

Testo da: http://www.giovannidallorto.com/biografie/leopardi/leopardi.html

Era figlio del conte Monaldo Leopardi, intellettuale appartenente all’ala più reazionaria e clericale della nobiltà dello Stato della Chiesa.
Il giovane Leopardi seppe mettere a frutto la notevole-biblioteca-del padre, a Recanati, e dalla più tenera età si distinse come filologo classico e studioso delle lingue moderne.

Visse in varie città italiane (Firenze, Roma, Bologna, Milano, Napoli, Pisa) collaborando con vari editori.

Vittima dall’infanzia di deformità fisiche e malattie croniche, che periodicamente gli impedivano di portare a termine i suoi impegni di lavoro, non riuscì per questo mai a raggiungere l’indipendenza economica dalla famiglia, cosa che lo obbligò a scendere a compromessi con il suo dotto quando reazionario padre. L’infelicità derivante da queste circostanze (e, aggiungo io, dai suoi amori omosessuali non ricambiati) hanno contribuito a fargli appiccicare la sbrigativa etichetta di “poeta del pessimismo”.

Classico nella sua formazione intellettuale, Leopardi è Romantico nella sua sensibilità.
I suoi ideali “patriottici”, come quelli espressi nella poesia “All’Italia” (1821), lo resero popolare fra i lettori risorgimentali e dopo l’Unità d’Italia (1860) gli garantirono un ruolo come “poeta nazionale”; tuttavia nel corso della vita lo resero sospetto alle autorità.

Fra le sue opere, sia in poesia che in prosa, vanno ricordate almeno: Canzoni (1824), Versi (1826), Operette morali (1827), Canti (1818-1831). [Per un elenco dei 300 e più titoli di e su Leopardi in commercio in Italia fare clic qui].

Morì a soli 39 anni a Napoli, dove s’era stabilito alla ricerca di un clima più mite.
La sua tomba, proclamata “monumento nazionale”, si trova nel Parco Virgiliano di Napoli.

Il punto di partenza privilegiato per trattare il nostro tema è ovviamente la grande passione amorosa di Leopardi, quella che occupò gran parte della sua vita adulta: il “sodalizio” con Antonio Ranieri (1806-1888).
Non sono il primo a parlare di questa “strana coppia” da un’ottica gay [1]. Eppure non ritengo inutile ristudiare questa amicizia, perché ho l’impressione che non sia stata ancora detta l’ultima parola. Da un lato, infatti, chi tenta una lettura gay a volte trascura i dotti studi dedicati alla strana amicizia; dall’altro tali studi eludono, puramente e semplicemente, la domanda “scabrosa”.

Ho voluto perciò riaffrontare la questione usando infine i “dotti studi” [2] per porre quelle domande “scabrose” che essi evitano, e spero di esser riuscito a trovare una risposta convincente.

Cominciamo dai fatti noti.

Leopardi conobbe a Firenze nel 1827 il napoletano Antonio Ranieri, studente ventunenne, che un biografo descrive così: “giovanissimo, bellissimo, aitante della persona” e con “quell’ardor giovanile dell’animo che tanto piace al bel sesso” [3] (“e non solo”… Aggiungo io).

Nel 1830 la frequentazione si fece assidua, e nell’inverno 1831/32 i due trascorsero cinque mesi a Roma[4], ufficialmente per la salute del Leopardi, in realtà perché Ranieri voleva star vicino all’attrice Maria Maddalena Pelzet (sposata!) per cui smaniava.

Quando nel 1832-33 Ranieri tornò a Napoli dalla famiglia, che versava in dissesti finanziari sempre più gravi, Leopardi gli scrisse da Firenze frequenti lettere d’amore. In esse leggiamo dichiarazioni come questa:

“Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo” [5].

Un'”amicizia” così “accesa” non passò inosservata, come emerge da un’altra lettera che accenna alle “derisioni” che scatenava:

“Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia.
Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi” [6].

E ancora:

“Ranieri mio, non hai bisogno ch’io ti dica che dovunque e in qualunque modo tu vorrai, io sarò teco [con te]. Considera bene e freddamente le tue proprie convenienze (…) e poi risolviti. La mia risoluzione è presa già da gran tempo: quella di non dividermi mai più da te. Addio” [7].

E quando infine Ranieri parte alla volta di Firenze per andare a prendere l’amico, al quale ha proposto di vivere a Napoli insieme, Leopardi gli scrive:

“Ranieri mio. Ti troverà questa ancora a Napoli? Ti avviso ch’io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un’impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio” [8].

Giacomo LeopardiDirò subito che leggendo queste e le altre lettere di solito si ricava l’impressione che fra i due esistesse una relazione. Si ha un bel ricordare che nell’Ottocento l’amicizia si esprimeva in termini molto più calorosi che ai giorni nostri. Ciò è vero, ma è altrettanto vero che qui si era comunque passato il segno anche delle convenzioni dell’amicizia Romantica, come dimostrano le considerazioni del Leopardi a proposito delle “derisioni” a cui andava incontro il loro “sodalizio”!

Anzi, per maggior chiarezza Ranieri si affannò a rivelarci da cosa nascessero “scandalo” e derisione: dall’eccessiva intimità fra i due. Appena arrivati a Napoli assieme, nel 1833:

“io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui” [9].

Tanta premura suscitò i sospetti della padrona di casa che

“Mi dichiarò: ch’io le aveva introdotto un tisico in casa; che, amandolo tanto da fargli le nottate, non altra poteva essere la cagione onde non gliele facessi in casa mia [non c’era ragione per non fargliele a casa mia]; ch’essa voleva, ad ogni costo, essere sciolta dall’affitto” [10].

Un incidente simile era già accaduto durante il già citato soggiorno comune a Roma nel 1831/32: un maligno parrucchiere compaesano di Leopardi, stupito della convivenza fra i due, s’era premurato di riferire certi pettegolezzi a Ranieri:

“”Io sono”, mi disse, “di Recanati. (…) Com’è ch’ella ha con sé il figliuolo del conte Monaldo?”.

Giacomo LeopardiPercosso dalla improvvisa ed inattesa interrogazione, io levai su il capo, e lo guardai! E scorgendogli una certa ciera maliziosa, n’ebbi un momento di stupore! Poscia, raccolto l’animo:
“Con me?…” risposi, con severità. “Non so che cosa vogliate intendere. Vuol dire, che siamo due amici ch’è s’è preso un quartiere [appartamento] insieme”.

Ignaro che s’era prossimi alla camera del mio amico, e però [perciò] non parlando basso quanto avrebbe dovuto, egli replicò, sorridendo:
“Ho detto così, perché conosco assai bene le cose di colà, gli umori del padre e del figliuolo; l’odio implacabile di costui al clima ed agli abitatori di quel paese…”.
E soggiunse, con importuna loquacità, ch’io repressi raddoppiando di severità, assai altri particolari, i quali o io conosceva assai meglio di lui, o non m’importava né punto né poco di conoscere” [11].

Appena uscito il pettegolo, piomba Leopardi e si sfoga:

“Sappi, ch’io divento un forsennato, al solo sognare di andarne per le bocche di quella gente [i recanatesi]; sappi, che io inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura!” [12].

(con buona pace delle “favole” e i “romanzi” su Silvia e compagnia bella). Ranieri gli riconferma la sua amicizia, però aggiunge velenoso:

“Ma, io confesso, che non avrei mai inteso concedergli quella che mi si riferisce leggersi in alcune delle sue lettere. E dico: mi si riferisce; perché, insino da una prima pubblicazione di questa specie, io, tre volte tentai di farne lettura, e tre fui preso dalla febbre” [13].

Eccoci allora al dunque: quali che fossero le convenzioni dell’amicizia dell’Ottocento, è Ranieri stesso a dirci che le lettere di Leopardi andavano oltre l’accettabile, al punto che la sola lettura gli procurava la febbre decenni dopo!

Ma allora i due stavano assieme o no? A giudicare dal fatto che Leopardi aveva bisogno di certe misteriose “passeggiate” e di certi incontri con sconosciuti proletari, non direi proprio che fra i due ci fosse, o ci fosse più, una relazione erotica:

“Mi parve di scorgere, prima in Roma, poscia [poi], assai più di frequente, qui, che altre ragioni gli destavano l’inesplicabile desiderio di andar fuori solo, e che queste fossero certe più libere confabulazioni con certa gente verso la quale, prima io da solo in Roma, poscia insieme con l’aureo Margàris, qui, non si era mancato di dire la mente [opinione] nostra.
Ma ciò era niente. (…).

Leopardi era tenerissimo, gelosissimo de’ suoi segreti (…). Noi, d’altra parte, s’era sdegnosissimi di saper novelle [notizie] de’ fatti altrui, e rispettosissimi della sua libertà. E non ci avanzò altro partito [non ci rimase altra scelta] se non, ad amendue, in generale, di astenerci da qualunque altro motto [commento] in proposito; ed a me, in particolare, di uscire costantemente dalla stanza quando qualche innominato sopravveniva” [14].

….

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