Una famiglia

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Una famiglia

Siamo di fronte a un soggetto controverso. Il regista Sebastiano Riso e i suoi due sceneggiatori sostengono di aver voluto trattare il tema delle molte forme di famiglia che convivono nella nostra attuale società (la tradizionale eterosessuale, la madre single con prole a carico, la coppia gay, ecc.) e che non hanno voluto fare un film sull’impossibilità/difficoltà delle adozioni (stepchild o meno che siano).

Sostengono che il loro interesse principale non era di girare un film sul tema dell’”utero in affitto”, ma di raccontare il dramma dei sentimenti di una coppia borderline che campa procreando bebè per coniugi sterili.
Senza addentrarci in questo dibattito, allo spettatore resta da vedere che i protagonisti lo fanno per denaro, per inseguire una bislacca idea di equità sociale, o forse per paura e incapacità di mettere in atto una propria personale famiglia. Li lega un amore ossessivo e malato in cui i ruoli di vittima e carnefice si ribaltano continuo, lui apparentemente il dominante (l’attore e cantante francese Partick Bruel che recita in presa diretta in italiano) legato mani e piedi al piccolo giro malavitoso delle adozioni illegali, lei (la sempre intensa Micaela Ramazzotti) tenera e indifesa che lo ricambia e ricatta col ruolo di adolescente non cresciuta e che continua a partorire a ripetizione per fornire nuova “merce” al marito. Il loro commercio fila liscio fin quando la donna non sente rinascere in sé prepotente il senso dell’accudimento materno e inizia dunque a riconoscere per ogni dove i propri figli ceduti ad altri in circostanze passate.

L’intero film è sui loro volti, sui loro corpi, sulle loro espressioni, con la cinepresa che li tampina da vicinissimo in primi piani di forte curiosità; dal momento in cui l’equilibrio è rotto, al (non) roseo finale di una donna alfine indipendente, decisa a difendere il proprio ruolo di Madre Coraggio (o è una Mater Dolorosa?). In mezzo ci sono state le famiglie adottive che han visto morire la propria bambina malata, i medici corrotti inseriti nei giri illegali, le giovani prostitute che potrebbero sostituirsi alla protagonista nel ruolo di “fattrice”, e anche una coppia di attori gay che vorrebbero completare la propria vita con un frugoletto per casa. La loro presenza è quasi del tutto ininfluente sul senso del film, anche se viene tracciata con molta umanità e rispetto.
Ennio Fantastichini (ormai abbonato ai ruoli omosessuali sullo schermo come in teatro) è davvero commovente e convincente nella scena in cui viene a sapere che il neonato già tra le loro braccia è gravemente malato per cui decide di restituirlo al padre e dice al compagno “Alla mia età non potrei sopravvivere a un dolore così intenso”.
Casomai le riserve vanno indicate sul tipo di ambiente omosessuale ritratto, quello borghese del bell’appartamento con terrazza a vista sul cupolone, che si può permettere di spendere 80.000 euro per un bimbo. E ancor di più possono disturbare affermazioni che potrebbero suonare omofobiche come “il fatto che il mondo dei gay è quello coi soldi, quello dove ci sono i soldi veri, i froci sono ricchi”. Restiamo comunque nell’ambito di un episodio totalmente marginale e quasi ininfluente rispetto alle vicende della coppia dei genitori biologici commercianti di bambini. Non è per questo che il film non convince. Troppi i momenti al limite dell’assurdo ingiustificabili anche esercitando la più benevola sospensione dell’incredulità (sapevate che a Roma è possibile in piena notte scappare da un appartamento devastato dai creditori imbufaliti al vostro inseguimento e trovare ancora tra le tenebre un altro alloggio in affitto da proprietari opportunisti che vi aprono la casa vestiti di tutto punto? E che la cosa più semplice da fare è estrarre con le mani la spirale dall’utero? O che si può partorire tra dolori devastanti, da sole sul pavimento di casa, e solo poche ore correre sicure per strada in cerca del proprio uomo? Oppure è altrettanto ovvio che l’unica auto in circolazione per tutta la città nelle ore precedenti l’alba sia proprio quella di tuo marito? E che si possa fare una spesa settimanale con 20 euro?). In aggiunta la sceneggiatura e i dialoghi contribuiscono al danno con momenti di veri e propri crolli verticali, spesso incapaci di risolvere passaggi anche importanti in sintetiche battute da fotoromanzo da parrucchiera. E ancora perché ricorrere a un attore francese, costretti per di più a spendere tempo e pellicola per giustificarne la presenza nelle periferie di Roma? (Sandro Avanzo)

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Settimana Posizione Incassi week end Media per sala
dal 28/09/2017 al 01/10/2017 18 41.100 622

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Un commento

  1. Condivido i dubbi e le riserve espresse nell’articolo qui sopra, in effetti ci sono cose impensabili realisticamente, come ad esempio il momento del parto. Condivido anche il dubbio circa la scelta dell’attore francese (inoltre: perchè Vincenzo ha un nome italiano pur essendo francese? mah). In ogni caso è un film di forte impatto, che fa discutere e solleva questioni attuali, un pugno nello stomaco soprattutto nelle scene in cui si rivela la totale insensibilità di Vincenzo che ha tra le mani il proprio figlio e lo maneggia come un oggetto.

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