Mommy

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Mommy

“Diane detta Die, un’energica donna single rimasta vedova tre anni fa, si ritrova a doversi riprendere in casa il turbolento figlio sedicenne Steve, affetto dal disturbo da deficit di iperattività. Proprio quando Steve arriva nella nuova casa dove Die si è trasferita da poco, la donna viene licenziata e deve sbarcare il lunario, tra proposte di lavoro e colloqui. Intanto i due conosco Kyla, la timidissima vicina di casa balbuziente che si offre di dare ripetizioni scolastiche a Steve.
Vista la tematica, a prima vista parrebbe che Mommy sia il film gemello dell’esordio di Dolan, J’ai tué ma mère, anche per la presenza della Dorval nel ruolo della madre. Invece è forse il suo rovescio della medaglia. In J’ai tué ma mère c’era un ragazzo che stava diventando uomo e voleva liberarsi del fardello del cordone ombelicale. Qui c’è un ragazzo fragilissimo, più di quello che lo spettatore può pensare all’inizio, che ha un bisogno esagerato della madre.
Il rapporto tra i due è speciale sin da subito: lo si nota dal momento che Diane va a prendere il figlio al centro di rieducazione e iniziano già a punzecchiarsi. Diane ci viene presentata come una donna esplosiva, bellissima e giovanile nonostante l’età, senza peli sulla lingua e piena di energia. Steve è invece iperattivo nel vero senso del termine: non sta mai fermo, salta, fa smorfie, abbonda di parolacce, ed è molto “fisico”.
C’è poi il loro rapporto con Kyla. Sono di un calore immenso le scene tra lei e Diane, due donne con fardelli diversi sulle spalle. La famiglia di Kyla, formata da un marito forse molto assente e una figlioletta, non si vede quasi mai, giusto due informazioni per capire quanto sia instabile e quanto la donna non veda l’ora di fuggire (per qualche ora al giorno, il necessario per tirare avanti). Il rapporto affettuoso tra i tre, che vive di dialoghi scritti al solito in modo sopraffino, viene sigillato con un selfie girato al rallenti.
Dolan firma con Mommy il suo film meno queer, ovvero quello che non ha alcun personaggio dichiaratamente omosessuale al suo interno. Certo, Steve ha le sue belle ambiguità, e il rapporto tra le due donne non è privo di tensione omoerotica. Nulla di esplicito, comunque: se Steve sia gay o meno o se le due abbiano desideri inespressi l’una verso l’altra non importa nulla a nessuno. Qui c’è solo un trio di persone che sta bene assieme e che si fanno forza l’un l’altra. Aiutandosi, chiacchierando, discutendo, ballando, bevendo e fumando… La scena del karaoke, in cui Steve si esibisce in una stonatissima ma sentita ‘Vivo per lei’ dedicata alla madre – che però sta flirtando con un vicino di casa -, è uno dei tanti grandi momenti del film che non ci scorderemo. A caldo contiamo almeno quattro o cinque momenti da applauso a scena aperta, com’è tra l’altro successo in un caso anche alla prima proiezione stampa a Cannes. Sono quei momenti che illuminano il film e portano alla commozione totale, e che sopperiscono ai difetti del film (un’eccessiva lunghezza, una parte finale che potrebbe non reggere emotivamente rispetto a tutto il resto, qualche sbavatura). Sono soprattutto momenti che corrispondono a svolte narrative fondamentali per i protagonisti, per i quali si tifa senza sé e senza ma: lo sai che si meritano il meglio. Lo sai che sono personaggi che si meritano un formato 1.85:1 sempre e comunque. Batti cinque, Xavier.” (Gabriele Capolino, Cineblog.it)

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Questo film al box office

Settimana Posizione Incassi week end Media per sala
dal 25/12/2014 al 28/12/2014 15 51.171 3.198
dal 18/12/2014 al 21/12/2014 14 32.354 1.617
dal 11/12/2014 al 14/12/2014 13 88.553 1.451
dal 4/12/2014 al 7/12/2014 16 96.491 2.192

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2 commenti

  1. pitumpa

    Un film profondo, immenso e trattato con gran originalità, sia dal punto di vista di sceneggiatura e trama, sia per quanto riguarda il formato. La colonna sonora, a parer mio, è azzeccatissima, ed anche bizzarra, come accade solitamente nei film di Dolan. E’ un film da scoprire, un canto rivolto al rapporto contrastato tra madre e figlio. Davvero bello. Peccato per la ristretta distribuzione italiana.

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trailer: Mommy

Varie

Distribuito in italia dal 4 dicembre 2014

IN CONCORSO PER LA PALMA D’ORO E PER LA QUEER PALM A CANNES 2014 VINCE IL GRAN PREMIO DELLA GIURIA

Xavier Dolan parla del film sul sito Allocine.fr

Xavier Dolan alla conferenza stampa di Cannes

CRITICA:

Diane è una madre single, una donna dal look aggressivo, ancora piacente ma poco capace di gestire la propria vita. Sboccata e fumantina, ha scarse capacità di autocontrollo e ne subisce le conseguenze. Suo figlio è come lei ma ad un livello patologico, ha una seria malattia mentale che lo rende spesso ingestibile (specie se sotto stress), vittima di impennate di violenza incontrollabili che lo fanno entrare ed uscire da istituti. Nella loro vita, tra un lavoro perso e un improvviso slancio sentimentale, si inserisce Kyle, la nuova vicina balbuziente e remissiva che in loro sembra trovare un inaspettato complemento.
C’è spazio per una persona sola nei fotogrammi di Mommy. Letteralmente.
Il formato scelto da Xavier Dolan per il suo nuovo film infatti è più stretto di un 4:3. Inusuale e con un altezza leggermente maggiore della larghezza, costringe a prevedere una persona sola in ogni inquadratura o a strizzarne due per poterle guardare da vicino. Come un letto a una piazza. Attraverso questa visione simile a una gabbia, Dolan racconta di nuovo di un figlio e una madre, cercando di cogliere una complessità inedita nella storia della rappresentazione di questo rapporto al cinema e finendo per creare tre personaggi lontani da qualsiasi paragone o altri esempi già visti, che si presentano come destinati all’infelicità sebbene condannati a provare a sfuggirgli. Intrappolati in un formato claustrofobico, non gli rimane che sognare la libertà e serenità di un irraggiungibile 16:9.
Nonostante infatti un inizio di gran ritmo e divertimento, lentamente i medesimi eccessi che suscitano risate diventano una catena. Le battute e le interazioni non cambiano ma dal ridicolo si passa alla compassione quando da un livello superficiale di osservazione si entra dentro alla famiglia e ciò che ci appariva divertente si trasforma in un inferno. E’ solo una delle tante piccole raffinatezze di questo quinto film di Xavier Dolan, sempre caratterizzato dalla volontà di non negarsi il piacere della sottolineatura (i consueti ralenti, il gioco con i formati, l’uso di musiche molto note) in storie che nulla hanno di normale. La grande dote del cineasta ragazzino è di immaginare archi narrativi diversi da quelli cui siamo abituati, storie che cercano il coinvolgimento senza ricorrere al consueto ma anzi stimolando curiosità nuove, e di saper condire tutto ciò con una capacità di generare immagini come pochi altri sanno inventare. Steve che zittisce la madre mettendole una mano sulla bocca e poi bacia il dorso della mano stessa frapposta tra le loro labbra è un momento di inusitata forza, perfetto per chiarire d’un colpo il loro rapporto fatto di soprusi e violenza che alimentano e rendono difficile comunicare amore.
Dolan ha il merito indubbio di cercare le sensazioni forti unito al pregio di trovarle, fa di tutto per strappare lacrime ed è quindi molto difficile non commuoversi di fronte ad un certo pietismo per l’illusoria ricerca di un’impossibile felicità che anima le speranze dei personaggi. Confondere il desiderio di catarsi di un’autore che sa picchiare come un pugile professionista con il bieco arruffianamento del pubblico sarebbe però una prospettiva miope incapace di comprendere il più bel film passato al Festival di Cannes.
Dopo tre film che in un modo o nell’altro mettevano in contrasto madri disamorate con figli bisognosi di comprensione, ora Dolan è passato dall’altra parte della barricata e il risultato ne guadagna. Steve è il meno gestibile dei figli possibili, malato e bisognoso d’affetto è capace di distruggere tutto quel che gli è intorno e sua madre forse è il soggetto meno indicato per curarlo, prendere una parte questa volta è impossibile, perché ci vorrebbe la migliore delle famiglie per Steve, invece si ritrova una donna incapace a gestire anche se stessa. Da qui Mommy parte verso i lidi meno prevedibili, perché nella violenza che caratterizza il loro rapporto lentamente emerge una delle forme d’amore più genuine che si possano immaginare, comunicato senza nessuna sottigliezza, solo urlando e passando per clamorose scenate. Mentre il mondo intorno a loro pensa che si odino, lo spettatore lentamente comprende che non è così.
Il salto di qualità però Mommy lo fa non puntando unicamente su un contrasto titanico che da solo basterebbe ad animare il film. Ambientando la storia in un futuro a breve termine (solo un anno in avanti) introduce elementi di fantasia come una legge inesistente che gli consente di piegare gli eventi in maniere altrimenti impossibili (oltre ad affermare una libertà creativa dissetante), in più tra madre e figlio posiziona anche un terzo personaggio che alla lunga si rivela il più interessante: una vicina di casa con problemi psicosomatici di balbuzie e una vita che forse non l’aiuta. Remissiva, specie se confrontata ai due tifoni umani che comincia a frequentare, la Kyla di Suzanne Clement introduce lo spettatore nell’assurda vita della famiglia Deprés ma dopo poco supera lo statuto di “personaggio osservatore” e diventa un terzo polo d’attrazione sentimentale, lasciando entrare un’emotività sommessa da dove nessuno se l’aspetterebbe. (Gabriele Niola, Mymovies.it – voto 4/5)

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