Figli di Annibale

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Figli di Annibale

Giunto ormai ad uno stadio di disperazione, Domenico, disoccupato torinese, decide di rapinare una banca a Como e poi fuggire col bottino nella vicina Svizzera. Impacciato com’è, tutto gli va storto e l’unica maniera che gli rimane per venire fuori dalla situazione è sequestrare il primo cliente che gli capita a tiro: si tratta di Tommaso, imprenditore aggressivo e spregiudicato. Gli affari però gli stanno andando molto male, il fallimento incombe, lo aspettano debiti, protesti, derisione da parte dei colleghi. Il sequestro e la fuga gli si presentano perciò come un’occasione che il destino gli offre per sparire e ricominciare da capo. Escono allora insieme dalla banca e a questo punto i ruoli si invertono: Tommaso convince Domenico a fuggire non verso il nord ma verso il sud, in Puglia dove potranno imbarcarsi su una nave diretta in Nord Africa. Domenico non è molto convinto ma accetta. Tommaso è in rotta con la moglie, dalla quale si allontana senza troppo rimpianto, mentre Rita, la giovane figlia, non vuole veder partire il padre. Durante il viaggio in macchina, la situazione si chiarisce, con grande stupore di Domenico: Tommaso ha una relazione omosessuale con il poliziotto Orfeo, fattosi trasferire appositamente in Puglia; Rita si presenta all’improvviso e Domenico, che all’inizio ha dovuto fingere di essere il gay, comincia con lei una timida relazione, cui il genitore si oppone…

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“Un autore giovane e intelligente si confronta con la commedia viaggiante all’italiana: e ne esce un film diverso, tenero e cattivo, sgradevole e riflessivo, ma da vedere; in cui risulta chiaro che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Il disoccupato Orlando rapina la banca e prende in ostaggio l’industriale in crisi Abatantuono che non vede l’ora di raggiungere il suo bello (bacio in bocca maschile, con piano sequenza). Via, verso l’Africa! Uno sguardo diverso sul Paese bello diventato schizoide, dove si traffica in sentimenti e Fellini è solo un gadget. Per chi è gay ma non lo dice.” (Maurizio Ponzi, Corriere della Sera, 21 marzo 1998)

“Imprenditore con amante poliziotto in Puglia, Tommaso (Abatantuono) non aspettava altro che essere preso in ostaggio dal goffo rapinatore Domenico (Orlando) per iniziare una fuga improbabile e sgangherata che lo porta da Como al Sud e poi sempre più a Sud. Insolito, nel cinema italiano, un modo di raccontare così libero e stralunato: senza intellettualismi, menate generazionali, meridionalismi alla Salvatores. E se la leggerezza programmatica e postmoderna non è abbastanza forte da diventare una visione della realtà, c’è uno sguardo curioso e divertito, che invita al gioco” (Paolo Mereghetti)

“Non ci saranno, negli annali del cinema gayo ’98, solo i baci appassionati tra Tom Selleck e Kevin Kline nella deliziosa commedia “In e out” o di Bruce Willis con Stephen Spinello in “The jackal” (quello con Richard Gere è stato tagliato), come dimostra il servizio su “Ciak”; ma anche Diego Abatantuono ci prova e ne è rimasto contento. “Bacio, in modo piuttosto realistico, il giovane poliziotto Flavio Inzinna, di cui nel film sono innamorato, in un enorme piazzale deserto sul lago, mentre risuonano le note di “El Pueblo”: una scena romantica – racconta Abatantuono -. È stato un debutto, ora vedremo il da farsi”. Il tutto accade nella commedia “on the road” di Davide Ferrario “I figli di Annibale”, in cui un bandito proletario (Silvio Orlando) sequestra in una rapina l’imprenditore Diego “uno che sta a cavallo tra il periodo della mazzetta e Tangentopoli e che non ha nulla che lo possa candidare tra gli omosessuali…” (Maurizio Porro, Corriere della Sera, 1/1/1998)

“Più che i singoli episodi della fuga, risolti in maniera cameratesca un po’ alla Salvatores, si impone un clima generale di simpatia verso i ritmi e i colori di un sud senza connotazioni terzomondiste: è l’elogio dell’arabesco, di una saggezza indolente e antica, di una rassegnazione attiva che conosce le debolezze umane. Mentre magari risulta un po’ forzata l’irruzione surreale di quella barca riminese che espone sulla prua una statua di Federico Fellini, geniale manipolatore di storie e di sogni.” (Michele Anselmi, ‘L’Unità’. 14 marzo 1998)

“Puntata numero uno di una sfida forse ancora da vincere. Perché in Italia non è possibile fare una commedia popolare diretta da un “autore”? Perché i comici si dirigono sempre da soli (o si fanno aiutare da mestieranti?), con risultati cinematograficamente deludenti? Così quando Diego Abatantuono mi chiese di fare un film con lui, accettai al volo. Figli di Annibale è la storia paradossale di uno sfigato rapinatore che prende in ostaggio un tipo che finisce col plagiarlo e lo trascina in una folle fuga dalla Svizzera all’Africa attraverso tutta l’Italia. Il film è ancora molto divertente, con una splendida fotografia. Peccato che a un certo punto quelli della mafia pugliese ci fregarono un pezzo di girato e alla fine si sente che manca qualcosa… ” (D. Ferrario).

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