L' Amore è più freddo della morte

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L' Amore è più freddo della morte

La “storia d’amore” fra un sicario della malavita e l’uomo che avrebbe dovuto eliminare, Franz, piccolo delinquente del ramo prostituzione. Insieme decideranno di compiere una rapina in banca. E il primo lungometraggio di Fassbinder (1945-82) dopo due corti girati nel 1965-66. E già presente, insieme con la struttura triangolare di base (due uomini e una donna), il rapporto di padrone e vittima, tipico del regista. “Lo squallore della vita interiore dei protagonisti è pari solo a quello dell’ambiente in cui vivono…” (Davide Ferrario).

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2 commenti

  1. zonavenerdi

    Molto noioso e il fatto di andare in lingua originale (tedesco) sottotitolato in italiano non migliora la situazione.

    Vittima e carnefice si aloleano per fare una rapina.Una specie di sindrome di Stoccolma versione Fassbinder.

  2. Francesco

    Il film fa semplicemente cagare, è noioso ma non è una novità per questo regista che, spaccaiando i propri lavori del cazzo per film d’autore, realizza dei polpettoni pieni di merda, pallosi e inguardabili.

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SINOSSI CON SPOILER:

Il «Sindacato» del crimine vorrebbe coscrivere Franz, ma questi preferisce essere indipendente e rifiuta l’offerta. Durante l’interrogatorio dell’organizzazione, Franz conosce Bruno, un ragazzo dall’aria elegante giunto in città da un paese della provincia. Innamoratosi di Bruno, prima di essere liberato Franz lo invita a Monaco, dandogli l’indirizzo dell’appartamento in cui vive assieme a Joanna, una prostituta di cui è il protettore. Giunto a Monaco, dopo una ricerca nel giro delle prostitute Bruno trova Franz e Joanna e si stabilisce da loro. Minacciato da un turco che lo ritiene l’assassino del fratello, Franz si libera del problema con l’aiuto di Bruno: i due trovano il turco in un bar e, mentre Franz lo distrae, Bruno gli spara, uccidendo poi la cameriera che ha assistito alla scena. Poco dopo, Bruno uccide anche un poliziotto che lo ha fermato mentre camminava fuori città assieme a Joanna e Franz. La polizia accusa Franz dell’uccisione del turco e lo trattiene in commissariato per un giorno, ma, non avendo prove, è costretta a liberarlo. Bruno lo aspetta all’uscita per mostrargli una banca che ha preso di mira per un colpo da fare assieme a lui e Joanna. Alla vigilia della rapina un cliente si presenta a casa di Joanna: Franz lo picchia brutalmente, Bruno lo carica in macchina, lo porta in un cantiere fuori città e lo finisce. Poi va in un bar, dove incarica un uomo del «Sindacato» (al servizio del quale in realtà agisce) di eliminare Joanna, sparandole nel corso della rapina. Joanna, dal canto suo, ha fatto intanto una soffiata alla polizia sul colpo alla banca, con l’intento di sbarazzarsi di Bruno. Durante la rapina, il killer del «Sindacato», accortosi della presenza dei poliziotti, fugge, mentre gli agenti sparano, uccidendo Bruno. Franz carica in auto il suo corpo e fugge con Joanna, ma, accortosi che Bruno è ormai morto, dice a Joanna di gettarne il cadavere per bloccare l’auto della polizia che li sta inseguendo. Liberatisi degli inseguitori, Joanna confessa a Franz di esser stata lei a fare la soffiata: «Puttana», è il solo commento di Franz, che continua a guidare dirigendosi verso la campagna.

CRIRICA:

Franz (R.W. Fassbinder) che convive con Johanna (H. Schygulla) e la sfrutta, è attratto fisicamente da Bruno (U. Lommel) che lo spia per conto del racket, disposto persino a dividere con lui la donna. Lei rifiuta e informa la polizia di un loro piano per una rapina in banca. Bruno dà ordine di ucciderla. Ritroviamo i due personaggi in Dei della peste, girato pochi mesi dopo, ma distribuito nella primavera del 1970. È il 1° lungometraggio di Fassbinder dopo 2 corti girati nel 1965-66. È già presente, insieme con la struttura triangolare di base (due uomini e una donna), il rapporto di padrone e vittima, tipico del regista. Formalmente è un’ibrida contaminazione tra atmosfere da film nero hollywoodiano (e Melville) e vezzi stilistici in prestito da Godard e Straub. (Il Morandini)

“Il manifesto minimalista del pensiero di Fassbinder. La sua concezione della realtà cinematografica risente fortemente della sua inclinazione artistica per il teatro, attivamente coltivata nei primi anni della sua carriera: la storia, sul set come sul palco, vive fondamentalmente all’interno dello spazio scenico delimitato dai personaggi. Tutto il resto fa da sfondo, ed appare come dipinto su un pannello inerte ed immutabile che circonda l’azione senza parteciparvi in alcun modo. A fare la storia, in questo film, è unicamente la configurazione dei legami che intercorrono tra i tre protagonisti: è la geometria variabile determinata dai rapporti di amore/odio, fiducia/diffidenza a costituire la struttura portante del racconto, e non solo. L’intera anima letteraria risulta, infatti, ridotta ad uno scheletro di relazioni, in cui il sentimento non si riveste più di slancio passionale, né di calore umano, ma rimane allo stadio puramente concettuale, come una freccia logica che unisce o avvicina, puntando in questa o in quella direzione. Fassbinder fa muovere e parlare i personaggi solo quel tanto che basta a costruire intorno a loro l’ossatura di quella capsula che li isola dal resto del mondo, dando senso compiuto al loro microcosmo. Particolarmente rappresentativa di questo principio è la sequenza che ritrae Bruno e Joanna al supermercato: l’ambiente circostante è un anonimo quadro popolato di scaffali, commessi e clienti, e spetta quindi all’uomo ed alla donna il potere esclusivo di far accadere qualcosa, trasformando una breve passeggiata col carrello in un significativo episodio della loro peculiare avventura a due. Come i gesti definiscono i ruoli ed i caratteri, così i dialoghi definiscono le ragioni: in questa prospettiva, la più naturale reazione ad uno schiaffo è allora, semplicemente, la legittima richiesta di un perché chiarificatore. In questa gangster story con ménage à trois, il dramma sentimentale perde la tipica morbidezza dei suoi accenti, ed il noir l’umido e nebbioso fascino dei bassifondi, per restituire solo l’essenziale freddezza del substrato di calcolo, complotti e sotterfugi che costituisce la nuda cerebralità dell’esistenza. ” (OGM, filmtv.it)

“Questo non è solo il primo lungometraggio di Fassbinder (dopo due corti), ma è anche l’inizio di uno dei sodalizi più duraturi e memorabili del cinema: quello del regista (e spesso attore nei propri film) con l’attrice Hanna Schygulla.
Il giovane Fassbinder (all’epoca di questo esordio, datato 1969, aveva solo 24 anni – la Schygulla 26) mostra già tutte le proprie potenzialità in un dramma freddo: pochi sprazzi di colonna sonora, scenografie spoglie e ridotte all’osso, dialoghi concisi e taglienti.
Potrebbe essere un noir derivativo (il menage a trois richiama certamente il capolavoro ‘bande a part’ di Godard), se non fosse che il regista tedesco è già capace di inserire quello stile personale che lo contraddistingue, asciutto e cupo, e un profondo pessimismo che spesso sfocia in un finale – al contrario – malignamente beffardo.
La prima scena è già esemplificativa di certe ricorrenze del cinema di Fassbinder: egli fuma. Non credo ci sia un solo film, tra quelli in cui appare anche nelle vesti di attore, in cui non fumi. La zuffa in quell’ambiente totalmente spoglio è solo una breve introduzione all’atmosfera in cui siamo immersi da spettatori: siamo appena entrati in un noir che almeno apparentemente non è serio, ma che di fondo esprime una freddezza tale da rimanerne realmente scossi (da qui il titolo, e devo dire, anche la battuta finale).
Non c’è molta distinzione tra i legami che intercorrono tra i personaggi e quel che rappresentano le loro azioni. Franz (Fassbinder) è un piccolo malavitoso che si rifiuta, tastardo e sbruffone, di far parte di un losco sindacato del crimine, che per tutta risposta gli piazza alle calcagna come spia Bruno (Ulli Lommel, un altro attore-feticcio del regista, che avrà la parte di maggior spicco nel grandioso ‘il diritto del più forte’). Joanna (Hanna Schygulla) è il collante tra i due. Prostituta, viene trattata come tale da Franz nonostante quest’ultimo la definisca come ‘fidanzata’, e prima si lega anche a Bruno, poi…(spoiler).
Questi tre personaggi principali sono tutti meschini e doppiogiochisti, pronti a voltare le spalle all’altro. Parole come ‘sentimento’ o ‘affettività’ non esistono: in questa dimensione surreale e ancora imperfetta, priva del benchè minimo rigore etico, si configura già tanto delle relazioni umane secondo Fassbinder, in cui finchè non si spezza una catena circolare e ripetitiva, una volta instaurato un legame esso sarà sempre di valenza padrone-schiavo, abietto e sfruttatore.” (Crimso, filmscoop.it)

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