Tom à la ferme

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Tom à la ferme

Tom à la ferme (Tom nella fattoria) è la quarta pellicola dell’enfant prodige Xavier Dolan, 24enne, per la prima volta nel concorso ufficiale di un grande festival, Venezia 2013. I suoi precedenti film erano stati presentati a Cannes in sezioni collaterali. La storia del film è l’adattamento di un’opera teatrale di Michel Marc Bouchard, centrata sulle tematiche del coming out, dell’omofobia, del rapporto genitori e figli e della spaccatura tra città e campagna. Tom (Xavier Dolan) è un giovane pubblicitario di una grande città, distrutto dal dolore per l’improvvisa morte del suo amante in un incidente stradale. Decide di andare ai suoi funerali e incontrare per la prima volta i parenti del suo compagno, che vivono in una fattoria isolata di un piccolo paese. Arrivato scopre con amarezza che i genitori non sanno nulla dell’omosessualità del figlio, che anzi credono innamorato e fidanzato con una ragazza che si chiama Ellen. Francis (Pierre-Yves Cardinal), il fratello maggiore del defunto costringe Tom, con botte e minacce, a non dire nulla ai genitori, per non spezzare il cuore della madre e salvare l’onorabilità della famiglia. Tom si trova costretto a partecipare alla finzione, instaurando col fratello del compagno una relazione perversa che potrà risolversi solo con l’affiorare della verità, qualunque sarà il prezzo da pagare… Il regista, intervistato dal Corriere della Sera, ha detto: “Per questo film ho preso spunto da una pièce di Michel Marc Bouchard. L’ho vista a teatro due anni fa e mi ha impressionato il monologo della madre che scoppia in lacrime. Le madri mi attirano e mi commuovono sempre. Ma quello che più mi ha sedotto era qualcosa assente nel testo teatrale: la paura, l’angoscia. Elementi forti che il mio film mette in risalto esacerbandoli. Il protagonista, per non creare traumi alla madre del suo amante, accetta di mentire, di stare al gioco, un gioco macabro e pericoloso. Assumere un ruolo che non è il tuo può influenzare o sconvolgere il tuo “io”. La menzogna ripetuta renderà Tom completamente pazzo. Questo è un film che parla del lutto, dell’essere fagocitato dagli altri, della nevrosi, del transfert emotivo. Tutti mentono in questa storia, a se stessi e agli altri. E alla fine tutti perdono».

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3 commenti

  1. Morgenstern

    A me i film di Dolan mi risultano abbastanza complessi, forse perché sono un perfettino e vorrei capire ogni particolare del film, invece il regista nei suoi film è molto psicologico e gioca con il non detto. Non ho capito molto bene qual’era
    lo scopo di Francis oltre che a nascondere l’omosessualità del fratello morto, cosa voleva da Tom? Perché non voleva lasciarlo andare via? Ci sono dei comportamenti che non capisco, se qualcuno me li spiega……
    Questo, a metà pensavo che è il più bello dei 4 film di Dolan che ho visto, ora non ne sono più tanto sicuro.

  2. Gira un po’ a vuoto questo quarto osannato lungometraggio dell’enfant prodige canadese Xavier Dolan, a breve sugli schermi con il successivo “Mommy” da molti considerato il vincitore morale all’ultimo festival di Cannes. Il film è innegabilmente ben costruito, ben girato e ben interpretato ma l’elemento in assoluto più interessante resta l’atmosfera malsana e lugubre e il pervasivo senso di morte che attraversano tutta la pellicola ambientata in una suggestiva e raggelata campagna del Quebec. Effettivamente non è difficile ravvedere rimandi alle pellicole del maestro del brivido, in particolare questa fattoria isolata mi ha suggerito sin dai primi fotogrammi un chiaro legame al Bates Motel del capolavoro di Hitch. La cornice è perfetta , quindi. Peccato per il resto che lascia a desiderare. La tensione omoerotica è sfacciatamente esplicitata a circa metà film, col risultato che lo spettatore non è più stimolato a cercare elementi che evidenzino la natura ambigua di questo rapporto “particolare” che si viene a creare tra i due protagonisti. La trama, eccessivamente scarna (non.succede mai niente in pratica) rende parecchio fiacca la componente thriller. Il personaggio della ragazza sembra un po’ tirato per i capelli e non si capisce che fine faccia. Se a questo ci aggiungiamo una colonna sonora un po’ troppo invadente in alcuni punti e un finale tremendo (per la sua bruttezza), la sensazione è quella di un’ottima occasione mancata. Un peccato, perchè gli elementi per un ottimo film c’erano tutti, comprese alcune scene davvero belle(quella del tango, il parto della mucca, la fine del vitellino)

  3. Non l’ho trovato così entusiasmante, il finale poi lascia molto a desiderare, se non altro registicamente parlando. Non ho colto nemmeno questo presunto crescendo in follia da parte di Tom. Ben reso il rapporto ambiguo e violento tra Francis e Tom. Un film che tutto sommato lascia un senso di straniamento e di morte, abbastanza cupo.

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trailer: Tom à la ferme

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Tom, a young advertising copywriter, travels to the country for a funeral. There, he’s shocked to find out no one knows who he is, nor who he was to the deceased, whose brother soon sets the rules of a twisted game. In order to protect the family’s name and grieving mother, Tom now has to play the peacekeeper in a household whose obscure past bodes even greater darkness for his “trip” to the farm. Long ways, long lies… Set in Québec’s rural panorama, Tom à la ferme is a psychological thriller that centres on the ever-growing gap between city and country, and the nature of men who live there. Stockholm syndrome, deception, grief and secretive savageries pervade this brief and brutal pilgrimage through the warped and ugly truth.

CRITICA:

“…Applausi anche per il thriller psicologico di Xavier Dolan, regista e attore canadese di «Tom alla fattoria», adattamento di una piéce teatrale di Michel Marc Bouchard. Dolan è il regista più giovane della storia a competere per il Leone d’oro con una pellicola che tiene fino all’ultimo secondo. È la storia di un creativo pubblicitario che da Montreal si sposta nella campagna canadese per partecipare al funerale del suo fidanzato. Arrivato a destinazione si accorge che la madre Agathe (Lise Roy), non sa nulla dell’omosessualità del figlio, come lui stesso è stato tenuto all’oscuro dell’esistenza di un altro componente della famiglia, Francis (Pierre-Yves Cardinal), fratello dell’amante defunto. Tra Tom e Francis si instaura un rapporto di forza, un legame quasi masochistico che soggioga Tom e che non lo fa partire dalla fattoria. «il film è un tuffo nella profonda nevrosi di due personaggi, che tentano di elaborare insieme un lutto», ha spiegato il regista in conferenza stampa.
La pellicola fluttua in una campagna da incubo, che è «urbanizzata e per nulla bucolica», come spiega lo stesso Dolan. Molti i misteri a partire dalla morte del compagno, fino all’aura macabra che aleggia sulla famiglia di quest’ultimo. Il film, realizzato in brevissimo tempo, è il quarto di questo prolifico autore che ha iniziato a girare a 17 anni, dopo aver iniziato come doppiatore e attore. «Tom alla fattoria» è la pellicola della svolta rispetto alla trilogia sull’amore («J’ai tué ma mère», «Les amours imaginaires», «Laurence anyways»): più psicologica, di ottima recitazione (Dolan potrebbe meritare una coppa Volpi come migliore attore). Ben caratterizzati i personaggi, forse troppo invasiva la presenza della musica originale di Gabriel Yared, che invece per Dolan era necessaria «perché solo così il film si agglutinava».” (Cristina Battocletti, Il Sole 24 Ore)

“…Con l’altro film in concorso ieri, Tom à la ferme (Tom nella fattoria) del giovane canadese Xavier Dolan (classe 1989), sbarchiamo invece in un oggi spoglio e silenzioso, quello di una fattoria canadese dove si presenta Tom (interpretato dallo stesso regista) per un funerale. Lo spettatore scopre subito che il morto era l’amante dell’ospite, ma la mamma del defunto non lo sospetta minimamente e il figlio maggiore Francis è pronto a usare anche la forza perché non sappia la verità. Tratto da un lavoro teatrale di Michel Marc Bouchard, il film si colora ben presto di ambiguità e tensioni e la violenza che domina i rapporti tra i due ragazzi trascolora in tensione omoerotica. In filigrana, c’è lo scontro tra la campagna e la città (Tom lavora a Montreal in un’agenzia pubblicitaria), tra la repressione e la libertà in materia di sessi, ma è soprattutto l’ambizione cinefila del regista a fare centro: si capisce che Dolan pensa a Hitchcock quando racconta i silenzi carichi di aggressività con cui Francis minaccia Tom, o quando trasforma la solitudine e il silenzio della campagna in un incombente senso di inquietudine. I cieli azzurri e le strade polverose di Intrigo internazionale qui diventano i cieli nebbiosi e le strade fangose del Québec, ma il senso di impotenza di fronte al proprio destino sono gli stessi che minacciavano Roger Thornhill nel film di Hitch.” (P. Mereghetti, Corsera – voto 2,5/4)

NOTE DI REGIA:

With my previous films, I wanted to show how the notion of couple changed over the teenage years and through adult life, and how it deteriorated over time. Put together, the three movies managed to form a trilogy on unrequited love. But when I acquired the rights to Michel Marc Bouchard’s play, my goal was clear— trying something new. Another genre, another style of writing. I kept that in mind every second we filmed, or edited, or mixed Tom à la ferme. Inevitably, it turned out to be an amazing opportunity to understand the importance of variety in a filmmaker’s path. I felt the sheer joy of exploring genres and abiding by their specific grammar and principles. Going into the wild like this, relearning basics, saying no to tics… Was the most satisfying journey through this form of art. Thinking more, doing less, working harder. Carrying on. (Xavier Dolan)

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Intervista di Giuseppina Manin a Xavier Dolan (Corriere della Sera):

È un ragazzo di 24 anni il regista più giovane mai approdato alla Mostra del Cinema. Si chiama Xavier Dolan, nato a Montréal, ricci neri, sorriso luminoso. Gay dichiarato, è autore di film che ruotano attorno alle tematiche della diversità. E così sarà anche per «Tom à la ferme» , titolo che lo porterà al Lido per la prima volta, e subito nella sezione principale. A cercare dei precedenti, John Gray debuttò a 25 anni con Little Odessa nel 1996, Louis Malle a 26 con Les amants nel 1958. E sotto i trenta hanno esordito anche Bellocchio, Moretti, Kusturica, Polanski… Ma i 24 anni di Dolan sono davvero il record. Per la Mostra un bel modo di festeggiare i suoi 70 anni. Del resto il canadese non è un neofita dei festival. Quello che porterà a Venezia è il suo quarto film, gli altri tre sono andati tutti a Cannes, pur se in sezioni collaterali. Il primo, «J’ai tué ma mère», l’aveva scritto a soli 16 anni.

«Sono evidentemente felice e onorato. La fama della Mostra, la sua leggenda, sopravvivono a tutto. Anche a Cannes, che con il suo ritmo frenetico è tutt’altra cosa. Per questo è augurabile che la rivalità tra questi due grandi festival continui. Esordire a Venezia e subito dopo a Toronto mi sembra di ottimo auspicio per il mio film. E poi adoro l’Italia, a 9 anni sono stato segnato da un viaggio in Sardegna. Non vedo l’ora di tornare nel vostro Paese».

Nella sua formazione che peso ha avuto il cinema italiano? Conosce i film di Bertolucci, quest’anno presidente di giuria ?
«Molto bene. Così come conosco i film di Pasolini e De Sica. Un po’ meno quelli di Antonioni e Fellini».

«Tom à la ferme» racconta di un giovane che arriva in una fattoria del Québec per il funerale del suo compagno e si rende conto che in famiglia nessuno sa chi lui sia e tanto meno che il morto era gay…
«Ho preso spunto da una pièce di Michel Marc Bouchard. L’ho vista a teatro due anni fa e mi ha impressionato il monologo della madre che scoppia in lacrime. Le madri mi attirano e mi commuovono sempre. Ma quello che più mi ha sedotto era qualcosa assente nel testo teatrale: la paura, l’angoscia. Elementi forti che il mio film mette in risalto esacerbandoli».

Per non creare traumi alla madre del suo amante, convinta che il figlio avesse una fidanzata, Tom accetta di mentire, di stare al gioco.
«Un gioco macabro e pericoloso. Assumere un ruolo che non è il tuo può influenzare o sconvolgere il tuo “io”. La menzogna ripetuta renderà Tom completamente pazzo. Questo è un film che parla del lutto, dell’essere fagocitato dagli altri, della nevrosi, del transfert emotivo. Tutti mentono in questa storia, a se stessi e agli altri. E alla fine tutti perdono».

I suoi tre titoli precedenti avevano come tema l’amore impossibile. «Tom à la ferme» è l’inizio di un nuovo ciclo?
«No. Io non seguo mai binari tracciati, racconto solo le storie che mi attirano. Voglio essere libero in ogni istante. Se un progetto mi tenta, provo a farlo. Se va troppo per le lunghe, passo a un altro. Voglio lavorare sodo, senza mai fermarmi. Così da poter fare prima di morire più film possibili, diventare un regista migliore. Soprattutto una persona migliore».

La diversità, sessuale e non solo, è per lei un tema cardine. Cosa vuol dire nel mondo di oggi essere diverso? È un valore o una discriminante?
«È una forza e una debolezza insieme. Una forza perché non sei come gli altri, una debolezza perché gli altri lo notano e talvolta giudicano. C’è una parte della società che accetta la diversità a braccia aperte e un’altra parte che vede di cattivo occhio questa “marginalità”. Io non mi vedo affatto come un marginale, come un diverso sì. Specie nel modo in cui lavoro, giro i miei film. Seguendo il mio percorso senza dipendere né dagli altri, né dal sistema».

Il Papa ha detto di recente: «Chi sono io per giudicare i gay?». Cosa pensa di queste parole?
«In effetti, ha ragione: penso sia un uomo come un altro. Da bambino ero cattolico praticante, poi mi sono reso conto che ogni fede comporta delle frange estreme, che ostracizzano i diversi. Per questo non voglio avere a che fare con la religione, la sua intolleranza, il male che produce, la sua superiorità. Mi interessa piuttosto una spiritualità esoterica, un Grande Tutto che veglia sull’universo, capace di cambiare il destino delle cose. Ma alla fine preferisco pensare che il destino lo controlliamo noi. “Niente è scritto”, come diceva Lawrence d’Arabia».

A proposito di destino, il suo sembra essere legato strettamente alla figura materna. Che torna sempre nei suoi film. Non a caso il suo prossimo si intitolerà «Mommy».
«La madre è la mia fonte d’ispirazione, l’archetipo da cui tutto sgorga. È a lei che torno sempre. È a lei che voglio vedere vincere le battaglie, a lei sottopongo i problemi così che possa avere il vanto di risolverli. È una madre che non farà gli errori di mia madre, che griderà quando noi taceremo, che darà speranza quando saremo sul punto di rinunciare. Che avrà ragione quando avremo torto. Che avrà l’ultima parola nella mia vita e nei miei film».

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