• G. Mangiarotti

Eisenstein in Messico

Greenaway è stato uno dei registi più innovatori del cinema contemporaneo, sempre con l’obiettivo di unire in una sola forma artistica, la potenza della musica, la ricercatezza dell’immagine, la dinamicità del montaggio, l’acutezza sintetica e fulminante delle espressioni verbali. Spesso, come in questo ultimo film, col rischio di una costruzione più teatrale che cinematografica, con gli attori che vengono chiamati a turno in scena a declamarsi. Questo nonostante l’utilizzo di un montaggio variegato, con multischermo e immagini sovrapposte, che dovrebbe aiutare lo spettatore nella comprensione di quanto sta accandendo o viene enunciato. Il risultato è comunque un’opera originale, spesso affascinante, anche se non sempre facile da seguire e decifrare, soprattutto per chi non è abituato ad un certo cinema autoriale. Greenaway aveva già affrontato l’omosessualità nel bellissimo “I racconti del cuscino”, dove però non era l’argomento centrale, cosa che invece avviene con questo ultimo film, che ha anche il merito di far conoscere al vasto (?) pubblico l’orientamento sessuale di Eisenstein, uno dei maestri mondiali del cinema. Il film ci racconta, come viene espressamente detto, i dieci giorni che sconvolsero la vita di Eisenstein, parafrasando la traduzione del titolo di uno dei capolavori dell’artista, “Ottobre”, film sulla rivoluzione sovietica, che qui viene fantasiosamente paragonata all’espugnazione del posteriore ancora vergine del 33enne Eisenstein (con tanto di bandierina infilata nell’ano). L’omosessualità di Eisenstein è testimoniata da diverse lettere e scritti di personaggi che lo conobbero, con riferimenti anche alla breve permanenza in Messico, ultima tappa di un lungo viaggio dopo Europa e Stati Uniti. Ma la storia che il film ci racconta è del tutto inventata. Anche la figura di Eisenstein, che oltre che regista è stato anche uno dei massimi studiosi dell’arte cinematografica, ci appare più vicina ad una caricatura che ad un personaggio storico (lui stesso si definisce un clown). Questo perché a Greenaway, come spesso da lui dichiarato, non interessa costruire una biografia ma piuttosto esaltare quegli aspetti intimi e particolari ritenuti fondamentali nella comprensione del personaggio. Così in una delle prime scene del film vediamo Eisenstein nudo che parla col suo membro, rimproverandolo per essersi eccitato alla vista del bel Palomino nudo. Eisenstein ha sempre saputo di essere omosessuale (insieme ai suoi libri vediamo una raccolta di foto di nudi maschili ritratti in quadri famosi, il più esibito è il San Giovanni di Caravaggio) ma non ha mai avuto il coraggio di esporsi (lui dice che a nessuno sarebbe piaciuto il suo corpo poco armonioso). Adesso, fuori dalla Russia e forse meno controllato, non può resistere al fascino della sua guida, l’insegnate di religioni comparate Palomino Cañedo (interessante la spiegazione che fornisce su come in un Paese cattolico, il Messico, si accettino altre religioni), un uomo che pur essendo sposato e padre di due figli, si adopera senza sforzo all’iniziazione sessuale di Eisenstein. Palomino, in una lunga e bellissima scena (oltre che eccitante), deflora brutalmente il nostro eroe, prima perplesso, poi dolorante ed infine pienamente soddisfatto dalle premurose mani di Palomino. Sembrerebbe solo una questione di sesso, ma invece Eisenstein è così sconvolto dalla nuova esperienza che non può fare a meno di innamorarsi, tanto da non voler più tornare in Russia e mettere in secondo piano il suo lavoro. Peccato che la regia, generosa nelle nudità di ogni tipo, non ci mostri mai un vero bacio tra i due amanti. Supponiamo che sia stata vincolata dalle ritrosie dei due attori protagonisti (entrambi etero) oppure abbia scelto di mantenere uno sguardo più virile che sentimentale alla vicenda. Questione di stile, si potrebbe dire, ma a noi, più militanti che cinefili, ha lasciato qualcosa di sospeso, qualcosa di sbilanciato.

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