• G. Mangiarotti

Ciliegine

Era atteso con un certo interesse questo “Ciliegine”, esordio alla regia della nostra amatissima Laura Morante, che ha impiegato sette anni per realizzare questo progetto, prima rifiutato dai produttori italiani, poi accodatisi dopo l’ingresso dei francesi. Peccato che il risultato di questa lunga ed encomiabile fatica sia un po’ deludente, cioè non capace di graffiare o coinvolgere quanto avrebbe potuto, colpa di un’opera indecisa tra commedia romantica, commedia degli equivoci, commedia psicologica e parodia sentimentale. Il film, nonostante un’accuratissima fotografia, risulta troppo studiato a tavolino, con citazioni che raffreddano anzichè approfondire, personaggi indecisi tra caricature e realismo, situazioni spesso prevedibili e ripetute. Manca uno stile, un’impronta personale. Forse pesa la scelta della Morante di avere al suo fianco in quest’impresa le persone a cui maggiormente è vicina, come il co-sceneggiatore Daniele Costantini, padre della sua prima figlia, il produttore-architetto Francesco Giammatteo attuale marito e padre del suo ultimo figlio, l’attore Frederic Pierrot, padre della sua seconda figlia, ecc. che probabilmente hanno dato suggerimenti preziosi ma nello stesso tempo frenato la libertà e spontaneità creativa.

Noi comunque, da spettatori gay, non possiamo che essere grati a Laura Morante che nel film ci dichiara ripetutamente il suo amore e la sua stima, suggerendo a tutte le donne di trovarsi un amico omosessuale, gli unici in grado di comprenderle e sostenerle.

Il protagonista maschile del film, un triste e misterioso Antonie (Pascal Elbé), è etero ma dall’inizio alla fine della storia (cosa un po’ difficile da credere) viene considerato omosessuale dalla nostra Amanda/Morante, sofferente di androfobia (paura degli uomini), e quindi rilassata solo davanti ad un uomo che, per lei, non sia veramente tale.
Le giustificazioni che il film ci offre su questa particolare predisposizione della protagonista sono, a nostro giudizio, poco convincenti. Amanda sembra sempre in cerca di qualsiasi scusa per allontanarsi dall’uomo che sta frequentando (gli mangia l’unica ciliegina sulla torta, la porta in un ristorante orientale dove fanno anche la cucina giapponese che lei odia, le regala un portasigarette mentre lei vorrebbe smettere di fumare, ecc.). Al di là di qualsiasi scusa è chiaro che Amanda non riesce ad innamorarsi veramente. Vorrebbe che tutto fosse sempre perfetto, tipico delle persone che vivono più nei loro sogni che nella realtà.

Quando Amanda crede di aver fatto amicizia con un gay, tutte le sue paure e i suoi pregiudizi verso gli uomini spariscono. Il gay è per Amanda l’uomo perfetto: sensibile, intelligente, premuroso, sempre disponibile, ecc. Insomma l’uomo da amare, l’uomo che tutte le donne vorrebbero incontrare. A questo punto basta riconvertirlo etero perchè tutto si rimetta a posto. Ed è proprio a questa politicamente scorretta operazione che Amanda si dedica, più o meno inconsapevolmente. Una storia che sicuramente farà piacere a tutti i difensori delle terapie riparative dell’orientamento sessuale. Il film, naturalmente, lascia giustamente in ombra questa infelice lettura, e si appoggia ai maneggi e agli intrighi che vengono messi in atto dagli amici dei due protagonisti per liberarli dalle rispettive angoscie (che nulla hanno a che vedere con l’omosessualità). La commedia si tinge a questo punto di farsesco e per seguirla dobbiamo abbandonarci più alla fantasia che alla realtà.

Tra gli amici di Antoine troviamo un vero gay, Maxime (Samir Guesmi), che per esigenze di copione deve essere abbastanza effeminato così da renderlo subito visibile come gay. All’inizio Maxime, che da gay estroverso bacia e abbraccia tutti, è per Amanda la prova del nove sul fatto che Antoine sia omosessuale, poi sarà il principale manovratore dei sotterfugi che dovrebbero portare Amanda nelle braccia di Antoine (non possiamo dirvi se ci riuscirà o meno).

Bravi quasi tutti gli attori, tra i quali spicca una spiritosa e attonita Isabelle Carré nel ruolo di Florance, l’amica del cuore di Amanda.

Tra gay fittizi, gay reali e donne che amano gay, il film rientra a pieno titolo nel nostro database ed è di sicuro interesse per i nostri lettori, soprattutto per coloro che al cinema cercano storie leggere e romantiche, curiose e divertenti senza bisogno di cadere nella volgarità.


autore: R. Schinardi (Gay.it)
voto: 
Ci sono voluti ben sette anni per realizzare Ciliegine, esordio di Laura Morante dietro la macchina da presa ("manco fosse Ben Hur" ha commentato ironicamente lei stessa, anche produttrice), e il risultato è una commedia sentimentale vezzosella e insapore che vorrebbe strizzare l’occhio ad Allen e Resnais ma è frenata dall’inconsistenza dello sviluppo narrativo. L’ennesima ronde parigina tutta cicaleccio e interni bo-bo, cioè borghesi-bohémiens, come tanto (troppo) cinema transalpino. Questa volta è il turno di Amanda, interpretata dalla stessa Morante, in crisi col compagno Bertrand (Frédéric Pierrot) che nel giorno del primo anniversario di fidanzamento osa mangiare l’unica ciliegina sul gâteau scatenando le sue ire.
Il marito psicanalista della sua migliore amica, Florence (Isabelle Carré), le diagnostica l’androfobia, ossia la paura degli uomini di cui non sopporta disattenzioni e superficialità nei suoi confronti. A un veglione di Capodanno conosce il solitario Antoine (Pascal Elbé) e se ne innamora, convinta per un equivoco che sia gay. Florence e consorte, pur venendo a conoscenza del malinteso, non le rivelano come stanno le cose, convinti che la magia amorosa sia proprio dettata dalla convinzione dell’omosessualità di Antoine da parte di Amanda.
Premesso che sia necessaria un’assoluta sospensione dell’incredulità per rendere plausibile il non rivelarsi dell’eterosessualità di Antoine alla terza battuta, visto che per tutto il film si chiacchiera in continuazione, l’incontro rivelatore fra donna etero e maschio presunto gay poteva mettere in evidenza le dinamiche comportamentali che ne favoriscono le affinità elettive (il proliferare delle cosiddette ‘fag hag’, femmine non gay molto amiche degli omosex) ma purtroppo si sciorinano i soliti, abusati luoghi comuni: i gay sono più sensibili degli etero, i migliori amici delle donne, eccetera. Così il contesto queer sembra un microzoo stereotipato osservato da un visitatore fermo agli anni ’80: l’amico omosessuale Maxime (Samir Guesmi) sventaglia gli arti superiori come eliche e sgrana gli occhioni; il discopub è colmo di muscolosoni in ormone che sedurrebbero pure il bancone; la riconoscibilità sociale degli altri gay è dettata da effemminatezza esuberante meglio se con foulard e sguardo cochon.
Invece che approfondire i gap culturali che all’alba della rivoluzione multigender hanno messo in crisi l’eterosessualità maschile nei confronti dell’altro sesso (sarebbe stata l’occasione giusta), si preferisce la struttura della pochade, e così la scena in cui si finge la convivenza tra Maxime e un Antoine sfranto e malato ricorda inesorabilmente ‘Il vizietto’ ma fuori tempo massimo e, soprattutto, senza averne la carica ironica e sovversiva.
Un punto di merito va all’espressività malinconica e sofferta di Pascal Elbé, azzeccato nei panni dell’introverso Antoine, in grado di rimanere impresso grazie ai giusti sottotoni e a tempi recitativi tutti in sottrazione ed essenzialità. La Morante sul grande schermo è sempre la Morante: inquietudini, sottili nevrosi, pieghe facciali sull’istericuccio andante. La regia è invece piuttosto impersonale.
Sembra quasi uno sfizio d’autore ma non troppo, la cui urgenza davvero non emerge anche se la confezione è professionale, con musiche di Nicola Piovani, Maurizio Calvesi alla fotografia ed Esmeralda Calabria al montaggio. Ciliegine, sì, eppure senza nocciolo (della questione: lei ama lui perché se fosse gay sarebbe più simile a lei?).

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