• G. Mangiarotti

Rosso Istanbul

Il film, l’11mo del regista turco, gay dichiarato, che lavora da vent’anni nel nostro Paese, sua seconda patria, ha lo stesso titolo del suo romanzo del 2013, ma una sceneggiatura, fatta insieme a Gianni Romoli e Valia Santella, che lo allontana moltissimo dal testo originale. Nel libro si racconta del viaggio a Istanbul di un regista che vive a Roma (quindi lo stesso Ozpetek) e del contemporaneo viaggio ad Istanbul di due coppie, in cerca di svago o di sollecitazioni, che avranno drammatici svolgimenti. Nel film abbiamo invece il ritorno ad Istanbul di un editor turco, Orhan (Halit Ergenç), esiliatosi a Londra da vent’anni in seguito ad una tragedia familiare, che adesso dovrebbe aiutare un famoso regista turco, Deniz Soysal (Nejat Iler), a completare il suo primo libro, molto autobiografico.

Mentre nel libro ci viene ripetuto quasi ad ogni pagina che l’amore non c’entra con la sessualità, per cui l’importante è amare, indipendentemente da chi, uomo o donna, e il protagonista maschile è quindi un bisessuale con una grande storia d’amore gay adolescenziale, nel film il protagonista è assolutamente etero (era sposato con figlio ed ora spera che la bella Neval possa accontentarlo) mentre il regista aspirante scrittore, Deniz, è sicuramente gay, con una grande storia d’amore con il bel Yusuf, e la bella Neval gli ha concesso solo un fuggevole bacio in passato restandogli soltanto amica. Nel film, quindi Ozpetek ha preferito scindere in due personaggi distinti, uno gay e l’altro etero, il bisessuale dell’omonimo romanzo, salvo farci capire che i due personaggi del film sono sempre lui stesso, Ozpetek, che ci racconta parte del suo passato, della sua famiglia, dei suoi amici, della sua Istanbul. In questa operazione non poteva evitare, anzi pensiamo abbia voluto ricercare, tutte quelle ambiguità, quel mistero, quelle domande disattese e quelle risposte mai chiarite, insomma tutto quello che serve a rendere affascinante e imperscrutabile una storia fatta essenzialmente di ricordi, di speranze, di delusioni, di dolori e gioie, che rendono interessanti le nostre esistenze.

Così poco dopo l’inizio del film vediamo inspiegabilmente sparire Deniz, lasciando, non troppo sorpresi, l’adorata mamma, l’invidioso fratello, l’amica Neval, le invadenti zie, l’impertinente governante (una sempre bravissima Serra Yilmaz) mentre rimane incredulo il protagonista Orhan, che si ritrova da solo a gestire questa vasta tribù (che vorrebbe inghiottire anche lui). Deniz era gay dichiarato e nel suo romanzo che doveva completare, ha descritto molto bene la sua storia d’amore con Yusuf, facendolo però morire (come racconta anche il romanzo di Ozpetek con una bellissima descrizione della cerimonia di sepoltura), e sorprendendo Orhan quando invece se lo ritrova davanti vivo e vegeto. Nel film la storia d’amore gay è solo accennata, nessun flashback, nessuna descrizione della passione amorosa, nessun bacio gay. A dire il vero anche nessun bacio etero, che però la regia ci fa spesso attendere. Ozpetek, che ha scritto un bellissimo libro sulla sua lunga storia d’amore gay (Sei la mia vita), al cinema sembra sempre timoroso di sbilanciarsi troppo verso questo lato (salvo poche eccezioni), come se avesse paura di alienarsi parte del pubblico eterosessuale, che è quello che determina gli incassi al botteghino. Cosa legittima, almeno fino a quando non rischia di compromettere la sua ispirazione più sincera e profonda. Così nel film, l’altro personaggio gay, il giovane Yusuf, viene lasciato sullo sfondo, pieno di mistero (è forse l’unico a conoscere il motivo della sparizione di Deniz), pieno di rancori (ma non sappiamo bene verso chi e cosa), mentre deve sorbirsi gli attacchi del terzo personaggio gay del film, un famoso scrittore turco che si offrirà di completare il libro di Deniz.

Forse questo non è il migliore dei film di Ozpetek, a tratti un po’ didascalico, con battute troppo letterarie, come “chi guarda troppo al passato non vede il presente”, che vorrebbe essere il tema portante del film e che quindi dovrebbe scaturire spontaneamente senza bisogno di essere suggerito, ma complessivamente ha qualcosa di accattivante, che piace, che si fa seguire con un certo interesse fino alla fine, complice il bellissimo tema musicale di Giuliano Tavani e Carmelo Travia che si amalgama coi rumori ambientali di una Istanbul in rifacimento. Anche la fotografia, che mantiene sempre dei visibili riferimenti al colore rosso, è ottima, con riprese da droni che spaziano sul canale e sulla città (ma poteva evitarci quello spot indiretto alla sigla Sky). Nulla da dire sugli interpreti, tutti famosi attori turchi, che riescono a parlare anche quando sono silenziosi.

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