Cinema

"VENUS" di Eisha Marjara vince il 32 Festival Mix di Milano, record assoluto di presenze

Serata di chiusura del 32° Festival MIX MILANO

Ha condotto la serata l’attore Angelo di Genio, che ha esordito leggendo una lettera che Sergio Escobar, il Direttore del Teatro Strehler, ha scritto per il Festival MIX, contenente tra l’altro un affettuoso saluto a Giampaolo Marzi, storico Direttore del Festival, che da quest’anno, dopo tantissimi anni, ha lasciato l’incarico. Ha quindi affiancato Angelo la showgirl Melissa Greta Marchetto.
Sono poi saliti sul palco i tre Direttori Artistici del Festival Debora Guma, Andrea Ferrari e Rafael Maniglia.
Dopo i consueti ringraziamenti agli sponsor e ai partner, è stato chiamato a salire Camillo Rusconi, che ha portato il saluto del Consolato Generale degli Stati Uniti di Milano. E’ stata quindi la volta di Francesco Pinto di Milano Pride che ci ha ricordato gli appuntamenti del Pride di questa settimana fino al corteo finale di sabato prossimo.
Scortata da finte guardie del corpo è poi arrivata la seducente dottoressa Martina Dell’ombra portavoce del Governo (Federica Cacciola). Durante la serata inaugurale Andrea Ferrari aveva finto di avere appena ricevuto un messaggio che annunciava la presenza nella serata finale del Festival di un rappresentante del Governo. Dati i tempi bui dobbiamo confessare che in un primo momento non ci era sembrato del tutto improbabile che un membro dell’attuale Governo decidesse di imporre la sua presenza al nostro Festival senza essere stato invitato. Martina ha finto di leggere una esilarante lettera rivolta al pubblico gay, o meglio ai froci, da parte dell’attuale ministro omofobo della famiglia Lorenzo Fontana.
E’ poi arrivato il momento delle premiazioni.
Quest’anno è nato nuovo premio dalla collaborazione con la Civica Scuola Luchino Visconti. Era stato chiesto agli studenti di realizzare dei cortometraggi che interpretassero il messaggio lanciato quest’anno dal Festival “More Love … L’un@ non esclude l’altr@”. Il vincitore del premio (1.000,00 euro) è stato il corto “More in love” di Simone Radaelli. Titolo che gioca con il significato italiano di more, ovvero il frutto di bosco.
Un altro nuovo premio riguarda la sezione documentari in collaborazione con  LaEffe Tv (canale 135 di Sky) del gruppo Feltrinelli, assegnato al documentario che meglio rappresenta la trasformazione sociale e culturale dei nostri tempi. Ha rappresentato LaEffe Riccardo Chiattelli  Direttore Contenuti e Comunicazione, che ha così annunciato il vincitore:
”Abbiamo concentrato la nostra attenzione su due film in particolare, che hanno attratto la nostra attenzione per le storie biografiche che con motivazioni umane e personali complesse e diverse tra loro raccontano il coraggio e la passione di vivere non solo pe se stessi ma per cause più grandi, con impatti sulla società che cambiano il percepito e il futuro di intere generazioni.
Alla fine abbiamo deciso di premiare quello che riteniamo il più aspirazionale e universale, quello che racconta la forza di un essere umano nel credere e inseguire i propri sogni e di come essa possa cambiare il mondo attorno.
Il premio MIX laeffe va a The Passionate pursuits of Angela Bowen per la capacità di raccontare la complessità di una donna apparentemente semplice. Attraverso le parole di chi l’ha conosciuta, Angela Bowen, danzatrice, insegnante, madre, attivista, omosessuale, brilla per il suo grande entusiasmo, passione e tenacia, sul palcoscenico come nella lotta per i diritti propri e altrui.
Ci teniamo inoltre a citare il documentario Matangi /Maya / M.I.A., una storia controversa che fotografa con efficacia il nostro tempo e la nostra società contemporanea.”

La Giuria dei cortrometraggi ha premiato Marguerite di Marianne Farley con la seguente motivazione:
“Il corto che abbiamo deciso di premiare ci ha colpito per l’originalità del tema trattato e ci ha fatto riflettere su una realtà troppo poco presa in considerazione, ovvero il tema dell’ageing, la sessualità e L’affettività vissuta dalle persone anziane, legata al confronto generazionale tra due donne lesbiche; confronto che ha messo in evidenza i passi avanti che ha fatto la comunità LGBT+ in un lasso temporale davvero breve. Per questi motivi abbiamo deciso di premiare come miglior cortometraggio del Festival Mix 2018 Marguerite di Marianne Farley”.
La giuria ha inoltre assegnato una menzione speciale a Calamity di Severine De Streyker per la visibilità del tema nei confronti di una realtà che non è ancora adeguatamente rappresentata, cioè la transessualità.

La Giuria dei documentari, presieduta da Marina Spada con Alessandro Uccelli e Mattia Colombo ha assegnato una menzione speciale al film Bixa TRavesty dei registi brasiliani Claudia Priscilla e Kiko Goifman per aver raccontato il corpo come territorio di scontro/incontro di linguaggi e lessico, ridefinendo l’identità nella sua complessità.
Il primo premio è stato assegnato all’unanimità al film Mr Gay Syria  della regista turca Ayse Toprak per aver raccontato, con grande capacità filmica e sensibilità, la vita e le difficoltà di chi è costretto a vivere la doppia esclusione di clandestino tra clandestini, ma non smette di sperare in un domani di rispetto e uguaglianza.

La Giuria dei lungometraggi presieduta da Barbara Sorrentini, con Federico Boni, Maria Laura Ramello, Benedetta Barzini e Monica Romano ha assegnato il primo premo a Venus di Eisha Marjara con la seguente motivazione: ”Un film capace di trattare con ironia e semplicità le tematiche relative all’identità di genere, alla genitorialità e all’autodeterminazione. Che è riuscito a narrare in modo brillante realtà troppo spesso relegate al dramma, qui invece trasformate in messaggio di speranza.“
Eisha Marjara e Joe Balass, che erano presenti in sala, sono saliti sul palco per ringraziare il pubblico. Joe, che ha parlato in buon italiano, ha ricordato con affetto i molti anni in cui lui insieme a Giampaolo Marzi ha collaborato con il festival MIX.
A conclusione della cerimonia sono saliti sul parco tutti i collaboratori del Festival, così numerosi da sembrare un piccolo corteo del gay pride. Andrea Ferrari ha ricordato i suoi 15 anni come volontario al Festival prima di diventarne Direttore e di nuovo ha ringraziato Marzi. Il nome di Giampaolo è riecheggiato dunque durante tutta la serata come un’entità che c’era e non c’era. Tutti parlavano di lui, ma lui non era in sala. Salvo poi incontrarlo sul sagrato mentre sorseggiava tranquillamente un cocktail, ormai sgravato dal peso di una istituzione che grazie a lui è cresciuta di anno in anno. Ci accodiamo anche noi al coro: Grazie Giampaolo.
La serata si è quindi conclusa con il film Freak Show presentato dalla regista Trudie Styler, moglie di Sting e dal giovane attore Alex Lawther (conosciuto anche per la sua parte in The End Of The F***ing World.

“Freak Show” di Trudie Styler

VOTO: 

Anche questo film, che chiude l’ottima programmazione del 32mo Festival Mix, assomiglia molto ad una favola, (titolo del film d’apertura), quelle che si raccontano ai giovanissimi per aiutarli a comprendere e fronteggiare la dura realtà della vita. Qui il messaggio è semplice: devi avere fiducia in te stesso, devi sempre essere te stesso, non arrenderti mai e continuare sulla tua strada anche quando tutti vogliono farti deragliare. Il tema non è nuovo ma l’ottima sceneggiatura e regia (sebbene Trudie Styler, la moglie di Sting, abbia detto di essere stata inserita tardi sul progetto, quindi con poco tempo a disposizione), lo rendono comunque fresco e brillante, con tanti spunti interessanti. Come quello di un protagonista, Alex Lawther (“The End Of The F***ing World”, presente in sala con la regista), che non è disegnato come un eroe monocolore, ma un personaggio che, insieme alla sua determinazione, non nasconde le sue paure ed incertezze, cosa che ce lo rende oltremodo amabile e vero. Stesso discorso anche per i personaggi secondari, tutti eccellenti, come la madre (una sotto-utilizzata Bette Middler) o il padre (che da freddo banchiere si trasforma in un vero padre) o la pungente governante (una impudente Celia Weston) o il campione sportivo Filp (Ian Nelson – il giovane Derek Hale di Teen Wolf – che diventa l’inafferrabile oggetto del desiderio) fino al cameo dell’attrice trans Laverne Cox, la giornalista che intervista l’aspirante reginetta Lynette, portavoce del motto trumpiamo “rendiamo grande l’america”. Brava la regista Styler che salita sul palco ha detto chiaramente che anche questo film, una forte denuncia del bullismo, è un tassello nella lotta contro l’oscurantismo del nuovo presidente USA, che vuole farci credere che sia giusto essere razzisti, sessisti, omofobi, transfobici, xenofobi, ecc. Questo film sarà la prova del nove per quelle distribuzioni che si dicono democratiche ed aperte, aiutate anche da un cast formidabile, che non dovrebbero relegarlo solo al circuito VOD (ma finora, ahimè, sembra questo il suo destino). (MG)

“Porcupine Lake” di Ingrid Veninger (2017)

Voto:   

Ingrid Veninger, la regista, ci saluta con un video messaggio che passa prima dei titoli di testa. Dedica questo film a tutte le giovani ragazze che lavorano per essere se stesse.
Bea è una di loro. Arriva col cuscino sottobraccio. Arriva da Toronto con la madre per le vacanze estive in una località di campagna dell’Ontario, sul Porcupine Lake, dove il padre ha aperto un ristorante.
Mamma e papà hanno deciso di stare lontani per un po’ e di rivedersi durante le vacanze. La madre darà una mano al bancone in questo piccolo locale a conduzione famigliare. Sembra uno di quei bar del pittore Edward Hopper, con annessa la pompa di benzina, posto alquanto desolato, ma l’immagine non è pulita come quella suoi quadri, bensì piena di terra di una strada polverosa.
Bea è sola, non ha altri bambini con cui giocare. Sì, perché dorme ancora con l’orsacchiotto di peluche, è ancora una bambina, sta diventando proprio ora una ragazzina. Nonostante la temporanea separazione e il tentativo dei genitori di riunirsi, la famiglia di Bea è una famiglia senza troppi scossoni, in cui ci si rispetta tutti, ci si vuole bene, e, possibilmente, delle cose che accadono, si parla.

Kate invece ha una famiglia piena di rabbia. Suo fratello urla sempre come un matto, sua sorella è perennemente intenta a portare in braccio un bambino, il padre le ha lasciate, la madre non si vede in nessuna scena, tanto che lo spettatore si domanda chi sia o dove sia. Manca una cosa basilare lì dentro: il rispetto. Tutti si maltrattano, si aggrediscono, gridano e quando si vedono, possibilmente, si picchiano.
Un giorno Kate passa al bar a prendere un gelato con le amichette, anche lei è ancora una bambina, solo un po’ più sveglia e anche più curiosa di Bea di entrare nell’età che le aspetta: l’adolescenza. In un vaso vede le sue caramelle preferite, ma non può comprarle, la sua famiglia non naviga nell’oro, anzi, è povera, e poi è quella che si definirebbe una famiglia disfunzionale.

Estate. La scuola è finita, è la stagione in cui si incontra la migliore amica forse, con lei si gioca, si corre nel bosco, ci si butta giù da una discesa sassosa, si fa il bagno seminude nel lago, si torna a casa coi capelli ancora umidi, felici, o tristi e arrabbiate. Si gioca a dire il segreto a una quercia mentre l’abbracci, si fanno le “prove tecniche” dei baci, guardando i ragazzi, le ragazze, che si baciano davvero, ci si racconta di come sono le mestruazioni che ancora non arrivano. Un film dove non c’è ancora sesso, il sesso arriverà dopo. Un film dove c’è sabbia, ci son la strada, i giochi, le corse, e un’atmosfera bianca e netta, come in molte delle immagini. Le due bambine fanno tenerezza, nei loro primi piani, nei loro pianti e nell’eccitazione delle prime attese, mi vien da dire: beata innocenza.
Kate ha ben capito che la sua famiglia non funziona, vorrebbe andare a vivere a Toronto con Bea, fa persino la valigia. Bea è felice, eccitata per la prospettiva, l’infanzia freme, vuole andare avanti, bruciar le tappe… ma quale sarà davvero il loro destino?

Bea, Kate, ha detto bene la regista, sono alle origini del lesbismo. È capitato anche a me. In prima elementare mi sono innamorata della mia compagna di banco, una bambina dai capelli biondo pannocchia e gli occhi azzurri, Anna. Mi sorrideva, la guardavo come Bea guardava Kate, trasognata, curiosa, ma ancora immota nel corpo, non avevo le mestruazioni, non c’erano baci o prove d’amore allora, non scalpitava ancora dentro me l’adolescenza. Ero lì, anch’io alle origini, di qualcosa che invero siede nel ventre di tua madre, qualcosa di cui non potrai mai fare a meno, qualcosa che sei già tu, la tua identità: un po’ natura, un po’ cultura, e un po’ mistero,

(Roberta Bellora)

“My days of mercy”   di Tali Shalom Ezer (2017)

Voto: 

Lucy e Martha sono due sorelle che, con il fratellino, partecipano assiduamente alle manifestazioni per l’abolizione della pena di morte. Sono quelle espressioni del popolo americano che vediamo anche in televisione, seguono le esecuzioni capitali di fronte a diverse prigioni statunitensi, con cartelli e slogan di protesta.
Dall’altra parte della barricata, fuori dagli stessi penitenziari, ci sono gruppi di sostenitori della pena di morte, proprio di fronte ai primi, anche loro portano cartelli a caratteri cubitali e gridano slogan di protesta.
Un giorno Lucy ha trovato sua madre in casa assassinata in un bagno di sangue, da diverse coltellate. Suo padre viene accusato dell’omicidio della moglie, sconta la pena in uno di quei penitenziari, ma nel braccio della morte. Attende i due mesi che lo separano dall’esecuzione. Non ci sono prove certe della sua colpevolezza, ma tanto meno della sua innocenza.
Ellen Page (l’attrice che impersona Lucy) è proprio bella, nel film è una ragazza, una giovane donna, col viso pulito, il seno appena accennato, il fisico asciutto, e quegli occhi sottili…
È ad uno di quei raduni che Lucy incontra Mercy. La biondina.
Mercy è pro pena di morte. Perché un uomo ha assassinato l’amico di suo padre.
Non vede l’ora di assistere all’esecuzione.
Il sistema americano della pena di morte. Crea e ricrea altro dolore. In chi assiste all’esecuzione perché perde la persona amata, in chi assiste perché invece cerca una vendetta, una riparazione che forse mai ci sarà.
Come per dividerne gli spezzoni, nel film viene regolarmente mostrato il piatto tipico di un pranzo alla prigione, è come un intervallo: hamburger e patatine – piselli, purè e bacon – broccoli, salsa e cipolle. Ogni volta una prigione diversa, ogni volta un carcerato diverso, appaiono il suo nome e la sua colpa. L’ultimo pasto.
È lì, tra una roulotte e l’altra, nella carovana che segue le esecuzioni, che Lucy e Mercy si avvicinano, e, a dispetto delle loro idee opposte, è lì che si innamorano. Fanno l’amore, si cercano e si incontrano su Skype, una vive in uno Stato diverso dall’altra. Poi si trovano, Lucy, dopo un lungo viaggio in camper, va a casa di Mercy, vuole di più da lei, e lì scopre di più.
Forse è qualcosa che sarebbe stato meglio non scoprire, forse è qualcosa per il quale invece ne è valsa la pena…
Un film sulla tanto discussa legge sulla pena di morte, l’iniezione letale. Il liquido che scorre nelle vene, per l’ultima volta, di chi hai amato, o di chi hai odiato. A seconda della parte della barricata in cui stai.
Un film doloroso, che ti porta alle lacrime, ma anche alla riflessione sul grande equivoco che è la vita e su chi ha il diritto di togliertela.

(Roberta Bellora)

 

TUTTI I PREMI DEL 32MO FESTIVAL MIX

Si è conclusa domenica 24 giugno al Teatro Strehler di Milano la 32a edizione di Festival MIX Milano di Cinema Gaylesbico e Queer Culture con le ultime proiezioni seguite dalla cerimonia di premiazione durante la quale la Direzione artistica e le giurie hanno annunciato i vincitori delle tre sezioni competitive: Lungometraggi, Documentari e Cortometraggi.

Concorso Lungometraggi

La Giuria del 32° Festival MIX Milano – Concorso Lungometraggi, composta da Barbara Sorrentini, Federico Boni, Maria Laura Ramello, Benedetta Barzini e Monica Romano, assegna il premio:

Miglior Lungometraggio a:

VENUS di Eisha Marjara / Canada 2017 / 95′   

Con la seguente motivazione: Un film capace di trattare con ironia e semplicità le tematiche relative all’identità di genere, alla genitorialità e all’autodeterminazione. Che è riuscito a narrare in modo brillante realtà troppo spesso relegate al dramma, qui invece trasformate in messaggio di speranza.

Concorso Documentari

La Giuria del 32° Festival MIX Milano – Concorso Documentari, composta da Marina Spada, Alessandro Uccelli e Mattia Colombo assegna i premi:

Miglior Documentario a:

MR GAY SYRIA di Ayşe Toprak / Turchia, Francia, Germania 2017 / 84′

Con la seguente motivazione: Per aver raccontato, con grande capacità filmica e sensibilità, la vita e le difficoltà di chi è costretto a vivere la doppia esclusione di clandestino fra i clandestini, ma non smette di sperare in un domani di rispetto e uguaglianza.

 Menzione speciale a:

BIXA TRAVESTY di Claudia Priscilla & Kiko Goifman / Brasile 2018 / 75′

Con la seguente motivazione: Per aver raccontato il corpo come territorio di scontro/incontro di linguaggi e lessico, ridefinendo l’identità nella sua complessità.

Concorso Cortometraggi

La Giuria del 32° Festival MIX Milano – Concorso Cortometraggi, composta da un gruppo di giovani coordinati dal tavolo formazione del Milano Film Network, assegna i premi:

Miglior Cortometraggio a:

MARGUERITE di Marianne  Farley / Canada  2017 / 19’

Con la seguente motivazione: Per l’originalità del tema trattato che ci ha fatto riflettere su una realtà troppo poco presa in considerazione, ovvero il tema dell’ageing, la sessualità e l’affettività vissuta dalle persone anziane, legata al confronto generazionale tra due donne lesbiche; confronto che ha messo in evidenza i passi avanti che ha fatto la comunità LGBT+ in un lasso temporale davvero breve.

Menzione speciale a:

CALAMITY di Séverine De Streyker & Maxime Feyers / Canada 2016 / 22’

Con la seguente motivazione: Per la visibilità del tema nei confronti di una realtà che non è ancora adeguatamente rappresentata nella nostra società: la transessualità.

Premio MIX LaF al Miglior Documentario a:

THE PASSIONATE PURSUIT OF ANGELA BOWEN di Jennifer Abod, USA 2016, 73′

Con la seguente motivazione: Per la capacità di raccontare la complessità di una donna apparentemente semplice. Attraverso le parole di chi l’ha conosciuta, Angela Bowen, danzatrice, insegnante, madre, attivista omosessuale, brilla per il suo grande entusiasmo, passione e tenacia, sul palcoscenico come nella lotta per i diritti propri e altrui.

Menzione Cultweek al Miglior Lungometraggio a:

MARILYN di Martín Rodríguez Redondo, Argentina/Cile 2018, 80′

Premio del pubblico al Miglior Lungometraggio a:

JUST FRIENDS di Ellen Smit / Paesi Bassi 2018 / 78′

 

(a cura di Antonio Schiavone e Roberto Mariella)

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MIX Milano

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