Sfido chiunque a trovare un film con protagonisti quasi tutti gay che sia stato in grado di coinvolgerci dalla prima all’ultima scena, senza la minima distrazione, come riesce a fare con grande abilità questo “Looking- il film“. Merito degli autori, dei protagonisti e anche di una serie televisiva che meritava più successo di quello ottenuto, soprattutto in patria.
Era difficile fare un film, come dice il titolo stesso, che non si presentasse come l’episodio finale di una serie, anche se di sole due brevi stagioni. Dobbiamo ammettere che l’impresa è riuscita perfettamente, e anche coloro che fossero all’oscuro della serie, possono immergersi completamente nella vicenda raccontata, grazie all’accorgimento, condotto con estrema naturalezza, di far riassumere ai protagonisti principali, in poche parole perfettamente inserite nel contesto, la loro storia passata. Indiscutibile, per coloro che hanno seguito la serie, ottenere facilmente il massimo grado di coinvolgimento.
Gli autori in verità hanno anche cercato di risolvere questo problema dando all’opera un altro taglio, più individuale, concentrandosi quasi esclusivamente sul personaggio di Patrick (l’attore gay dichiarato Jonathan Groff) e lasciando sullo sfondo gli altri due amici (insieme alla citttà di San Francisco, altro protagonista principale) che qui vengono utilizzati più come spunti di riflessione per il protagonista che per se stessi.
Il matrimonio di Augustin, quasi inatteso per un personaggio così problematico e irrisolto (bellissima la sua riflessione sul dolore che può provocare l’incapacità di realizzare i propri sogni) è solo la testimonianza che tutto può cambiare, che anzi a volte bisogna cambiare se vogliamo andare avanti. Patrick l’ha imparato a sue spese. Anzichè ‘cambiare’ aveva scelto di fuggire, di abbandonare città, amici e vita. Aveva pensato che era meglio ricominciare da capo, nella vana speranza che tutto poteva essere dimenticato, come se il passato non fosse la madre del nostro futuro, o meglio come se il nostro passato non fosse altro che noi stessi, quello che siamo e quello che vogliamo essere. Possiamo tradire chiunque, ma tradire se stessi non può mai essere una soluzione, è solo un suicidio. Patrick lo sta comprendendo ora, con l’aiuto del matrimonio di Augustin e delle sue paure di non essere all’altezza di una cosa che sente come più grande di lui, quasi a lui estranea, ma che potrebbe essere la sua ancora di salvezza (ma ha anche capito che se sarà un fallimento, il suo matrimonio, sarà sempre stata una tappa della sua vita, una crescita, perchè nulla deve essere buttato, o cancellato).
Molto attuali le riflessioni sul matrimonio, sparse lungo tutto il film, che la comunità gay americana non ha ancora del tutto assorbito, divisa tra la il rifiuto dell’omologazione, la paura della routine e il desiderio di provare nuove strade, fino a quel momento precluse agli omosessuali.
Patrick, con l’aiuto di Kevin (Russell Tovey, altro attore gay dichiarato), il suo ex capo che si era di lui innamorato, comprende anche quanto sia ingiusto seminare sofferenze, comprende che abbandonare chi si ama è un inutile dolore per entrambi, che la fuga è sempre codardia, insicurezza. Chi fugge non vuole crescere e prima o poi ricadrà negli stessi errori.
Con l’aiuto di Richie (Raùl Castillo), altra persona che si era di lui innamorato ma subito abbandonata, Patrick comprende che anche le diversità, di carattere e di esperienze, possono essere un arricchimento, possono aiutarci a capire meglio noi stessi e le nostre particolarità. Ora Richie ha trovato un’altra persona che lo ama profondamente, ma dovrà confessare di stare vivendo una storia d’amore senza essere innamorato.
Dom (Murrey Burtlett), l’amico più anziano, quello che dovrebbe aver risolto almeno il problema più importante, quello dell’amore, è invece ancora fermo al palo. Si è rifugiato nel suo lavoro (pensa già di aprire un altro ristorante), ma è anch’esso un fuggiasco, solo e intimamente insoddisfatto. Significativo quando Patrick gli rimprovera di non aver tentato con lui, molti anni prima, la strada dell’amore (siamo così simili, gli dice) e preferito quella, più facile, dell’amicizia. Vorrebbero riscrivere il passato (divertente il tentativo di baciarsi nella speranza di un miracolo), ma il passato è passato, può solo darci degli insegnamenti.
Molto accattivante (e stuzzicante) l’unica scena di sesso del film, quasi avulsa dal contesto, ma estremamente illuminante. Patrick, nelle prime scene del film, aggancia in discoteca un giovane, carino, di soli 22 anni (lui ha passato i trenta). Passano insieme una infuocata notte di sesso (coraggiosa Sky a mettere, all’ultimo minuto, il film in prima serata, purtroppo senza nessuna promozione), con facce affogate nel posteriore e sfondamenti reciproci. Al mattino seguente parlano e Patrick rimane allibito nel constatare la maturità e l’equilibrio del giovane, che aveva avuto un fidanzato a soli 16 anni. Patrick, a trenta, si ritrova ancora solo e comprende che il sesso (che pure gli è così facile ottenere, grazie al suo fascino) da solo non serve a granché.
Grande un film che in poco più di un’ora riesce a regalarci una serie infinita di riflessioni, mai avulse dalla realtà dei fatti. Un affresco quasi esaustivo sul mondo gay contemporaneo, sulle sue difficoltà in un’epoca di passaggio, tra un passato dove non sapevamo bene chi eravamo e cosa volevamo e un futuro ancora tutto da esplorare. Ci resta però nel cuore la nostalgia per tanti personaggi, anche di secondo piano, che avrebbero potuto accompagnarci e illuminarci ancora per molto tempo.