Concorso Lungometraggi
La Giuria del 29° Festival MIX Milano – Concorso Lungometraggi, composta da Julian Hargreaves, Riccardo Conti, Massimiliano Chiavarone, Alberto Milazzo, Luca Pacilio, assegna i premi:
Miglior Lungometraggio a:
JE SUI À TOIS di David Lambert / Belgio-Canada / 2012 / 102′
Con la seguente motivazione: La capacità narrativa di David Lambert, l’abilità di cogliere le sfumature nelle relazioni tra i personaggi, l’originalità del soggetto, trovano un felice riscontro nella bravura degli attori in particolare di Jean-Michel Balthazar per dare vita a un film che combina tematiche di stretta attualità in cui l’umanità, anche se ritratta nella sua dimensione di sofferenza e di disagio sociale, trova la sua strada.
Menzione Speciale a:
ANITA’S LAST CHA CHA CHA di Sigrid Andrea Bernardo / Filippine 2013 / 111′
Con la seguente motivazione: Per la levità, la sua capacità di trattare temi complessi attraverso un punto di vista infantile e autentico, offrendo una lettura inedita di un mondo spesso consacrato allo stereotipo, la menzione speciale va al film filippino ANITA’S LAST CHA CHA CHA di Sigrid Andrea Bernardo.
Menzione Speciale a:
PRAIA DO FUTURO di Karim Aïnouz / Brasile-Germania 2014 / 106′
Con la seguente motivazione: Per la forza della messa in scena e per la densità dell’atmosfera una menzione speciale al film brasiliano PRAIA DO FUTURO di Karim Aïnouz.
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Concorso Documentari
La Giuria del 29° Festival MIX Milano – Concorso Documentari, composta da Chiara Brambilla, Anastasia Plazzotta, Milena Cannavacciuolo, Erica Re, Elena Biagini, assegna i premi:
Miglior Documentario a
REGARDING SUSAN SONTAG di Nancy Kates / USA 2014 / 100′
Con la seguente motivazione: La Giuria ha scelto di premiare il film REGARDING SUSAN SONTAG di Nancy Kates sia per la figura stessa della protagonista (che e? stata ed e? ancora oggi fonte di ispirazione per il mondo LGBT e non solo) sia per il documentario in se’, capace di far emergere la complessità del personaggio anche in relazione alle diverse fasi storiche attraversate, mischiando materiali filmici e testimonianze in modo fluido.
Menzione speciale a:
UNA NOBILE RIVOLUZIONE di Simone Cangelosi / Italia 2015 / 83′
Con la seguente motivazione: La Giuria assegna inoltre una menzione speciale al film UNA NOBILE RIVOLUZIONE di Simone Cangelosi per l’affettuoso omaggio che il regista fa a Marcella Di Folco, importante figura del movimento LGBT italiano e della storia del nostro paese, forse ancora troppo poco conosciuta rispetto a quanto invece meriterebbe. La Giuria ha poi apprezzato lo sguardo del cineasta che si pone in una posizione di complicità con la protagonista attraverso uno sguardo che e?’ al contempo dentro e fuori la storia narrata. Si segnala infine l’uso accurato dei materiali d’archivio in un mosaico di pubblico e privato.
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Concorso Cortometraggi
La Giuria del 29° Festival MIX Milano – Concorso Cortometraggi, composta da un gruppo di giovani coordinati dal tavolo formazione del Milano Film Network, assegna i premi:
X or Y di Storm Sigal Battesti e Leo Grélet / France 2014
Con la seguente motivazione: “Per aver saputo rendere empaticamente partecipi di una condizione in cui nessuno di noi avrebbe potuto immedesimarsi, e per aver creato un cortometraggio che trafigge il pregiudizio e l’ignoranza, premiamo “X or Y” di Storm Sigal Battesti e Leo Grélet.
I registi hanno realizzato un piccolo capolavoro, per contenuto e per aspetti tecnici: il film, in bianco e nero e privo di dialoghi, può sembrare ingabbiato in un’idea di cinema di altri tempi. Ma non è affatto così, anzi: la potenza travolgente con cui è impostata la sceneggiatura acquisisce energia e valore proprio da queste scelte artistiche accurate.”
C’era un pubblico quasi commosso all’inaugurazione del Festival Mix, che ha tributato copiosi applausi al direttore Giampaolo Marzi quando ha raccontato che fino a poche settimane prima pensava di non riuscire ad organizzare questa 29 edizione. Il problema era solo delle disponibilità economiche. Il Festival è stato salvato dal Comune di Milano (che ha elargito 20 mila euro intervenendo anche sul Teatro Strehler perché concedesse ancora le sale) e dall’idea di una raccolta fondi sul web, sponsorizzata da nomi illustri, che ha fruttato altri 20 mila euro. In totale si era raggiunto il minimo per poter procedere, con tagli ad alcune iniziative collaterali (come le presentazioni dei libri alle quali il pubblico era molto affezionato, ed una utilizzazione limitata delle sale. Si spera di raggiungere il pareggio di bilancio grazie ad una consistente partecipazione di pubblico (finora ottenuta), che quest’anno deve accollarsi un aumento dei prezzi (10 euro per uno spettacolo, 14 per due e niente biglietto giornaliero) e la visione di importanti titoli nella piccola ‘Scatola Magica’, non predisposta per una visone ottimale dello schermo. A noi piange il cuore sapere che dopo 29 anni l’Arcigay milanese (CIG) è stata costretta a scegliere, per mancanza di fondi, tra finanziare il Pride o il Festival Mix. Ricordiamo che il Festival era nato nel 1985 come iniziativa del CIG e di altre associazioni gay milanesi per festeggiare il 28 giugno e fino al 2000 è stato praticamente il Pride di Milano. Il Festival Mix rimane l’unica iniziativa culturale LGBT aperta a tutti nella città di Milano. Vogliamo sperare che per il 30mo del 2016 le cose siano più facili e unitarie.
Resoconto della serata inaugurale (Video di A. Schiavone)
La prima a salire sul palco per l’inaugurazione di questa 29ma edizione del Festival Mix, è stata l’attrice Benedetta Cesqui, amica storica del Festival, che ha voluto raccontare al pubblico della sua festa di matrimonio con la sua compagna Francesca, matrimonio che in Italia non si è però ancora potuto fare. Insieme a lei un altro amico del Festival e di Giampaolo Marzi, di gradevolissimo aspetto, ma che purtroppo ha scordato di dire il suo nome, il quale si è occupato di mettere in moto la campagna di Crowdfunding, che attraverso la piattaforma LIMONEY, ha permesso di raccogliere circa 20.000 euro, fondamentali per la riuscita di questo Festival, che ora ha 29 anni e da dieci anni si svolge nella prestigiosa sede del Teatro Strehler .
E’ poi intervenuto Giampaolo Marzi, storico direttore del Festival, che ha cosi esordito: ‘ E’ una emozione immensa, perché questa volta ho pensato che veramente non ce l’avremmo fatta, e invece siamo qui, siamo in questo teatro, che è stato, ed è, importante, in questi ultimi dieci anni di Festival Mix, anni in cui in modo eclatante abbiamo raccontato le nostre storie…’. Marzi ha quindi invitato sul Palco l’assessore alla cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno e ha ringraziato il Comune di Milano, che ha concesso al Festival una sede così prestigiosa, e che con il suo appoggio sia economico che politico ha permesso al Festival di sopravvivere anche quest’anno.
L’ assessore Del Corno ha portato il saluto del Sindaco Pisapia ed ha ribadito il sostegno di tutta la Giunta al Festival. Del Corno ha poi parlato del suo sostegno personale al Festival, che risale a molto prima della sua esperienza di assessore. Ha quindi allargato il discorso all’appoggio dell’amministrazione comunale al Pride cittadino ed alla campagna per portare l’Italia allo stesso livello degli altri Paesi d’Europa in tema di diritti civili.
Giampaolo Marzi ha quindi voluto salutare Paolo Hutter, presente in sala, al quale va, tra le altre cose, il merito di avere, nel 1993, convinto Giampaolo a impegnarsi in quello che allora si chiamava Festival del cinema gaylesbico. Quindi Marzi ha invitato sul palco a salutare il pubblico Deborah Gumma, di Immaginaria – Visibilia – Festival del Cinema delle donne ribelli, lesbiche, eccentriche … e Cosimo Santoro, distributore con “The Open Reel“, che è venuto incontro al Festival con i noleggi, permettendo così la proiezione di diverse anteprime.
Sono poi intervenuti La Pina e Diego Passoni, storici amici del MIX. La Pina questa volta è venuta a presentarci un suo video “Il Pianeta dei calzini spaiati” realizzato col marito Emiliano Pepe, che ne ha curato la regia. Tempo fa La Pina aveva scritto una storia che parlava di amore e accettazione delle differenze, per un libro per bambini, in occasione di una raccolta fondi a favore dei bambini del Perù. In seguito è apparsa su alcuni giornali la notizia che Forza Nuova bruciava quel libro nelle piazze. Anche se la notizia si rivelò poi falsa colpì molto La Pina, che poi decise di realizzare da quella storia un cortometraggio. Il video è presente su YOUTUBE e La Pina chiede a tutti di diffonderlo e condividerlo.
Giampaolo ha chiuso la serata ringraziando le Queen Franca Valeri, Rosy del Palma, Sandra Milo, e poi Mika, Ivan Cattaneo e Cristina Bugatti, che sono apparsi in video per sostenere la campagna di Crowdfunding. (R.M.)
Dean Francis presenta DROWN (Video di A. Schiavone)
RECENSIONI
Tony Patrioli di Tiziano Sossi
Anche quest’anno il regista Tiziano Sossi porta al Festival MIX un suo documentario su di un importante esponente della cultura LGBT italiana. L’anno scorso ci aveva fatto riscoprire il compositore Sylvano Bussotti, riuscendo anche a convincerlo ad assistere alla proiezione nonostante l’età avanzata. Quest’anno ci ha invece portato, nel suo film e in carne ed ossa, uno dei migliori fotografi italiani, Tony Patrioli, un artista dallo stile inconfondibile, che forse non ha ricevuto presso il grande pubblico tutto il successo che meritava, perché ai tempi dei suoi maggiori lavori, gli anni 60-70-80, il nudo maschile era in Italia più materia che interessava la buoncostume che il fashion system.
La versione del documentario proiettata al Mix è in realtà un rimontaggio in sessanta minuti di due diversi film “Tony Patrioli (in bianco e nero)” e “Tony Patrioli (a colori)”. Anche nella carriera artistica di Patrioli abbiamo una simile suddivisione: un primo periodo, il più originale, in cui il suo stile in qualche modo riprende i soggetti mediterranei tipici di Wilhelm Von Gloeden, e un periodo successivo in cui la sua fotografia si avvicina ai nuovi modelli estetici provenienti dagli Stati Uniti.
Patrioli nel film ci racconta un po’ la sua storia, mentre ci mostra alcune delle sue bellissime foto. Pur essendo una persona piuttosto timida e riservata, nel film, messo a suo agio dal regista, egli cita anche gustosi aneddoti, su come ad esempio agganciava gli ignari ragazzotti del sud, convincendoli a denudarsi per la sua macchina da presa ; racconti che hanno più volte strappato le risate del pubblico.
Nel documentario interviene anche lo storico e giornalista Giovanni Dall’Orto, che era direttore della rivista Babilonia, quando Patrioli ne era il principale fotografo. Dall’Orto ha tra l’altro fatto notare come quei ragazzi, con quei fisici non palestrati, cosi inconsapevoli della propria bellezza, ora non esistano più.
Dalle parole di Patrioli emerge non solo la storia di un successo artistico, ma anche una importante testimonianza di storia LGBT italiana: i famosi campeggi gay degli anni ’70, la rivista DoppioSenso e il suo direttore Jo Staiano, la rivista Babilonia. Una testimonianza autentica della prima generazione di gay italiani che hanno osato alzare la testa. Il film diventa poi forse meno interessante quando, sollecitato dal regista, Patrioli racconta la sua, su temi come la religione e l’eutanasia.
Le riprese e Il montaggio del film, specialmente nella parte a colori, appaiono in qualche scena simili a riprese amatoriali di vita familiare. Come quando il regista ha lasciato che l’adorato cane di Patrioli, un bastardino di nome Tony Bau, si accomodasse proprio davanti alla telecamera, mentre Patrioli continuava a parlare. Questo è anche un po’ un marchio distintivo del regista. (R.M.)
VOTO:
Elephant Song di Charles Binamé
Film derivato da un’opera teatrale, l’autore della quale ha provveduto anche alla sceneggiatura del film. Temevamo fortemente di trovarci davanti ad un film del genere claustrofobico, con due soli personaggi che duellano rinchiusi in una stanza. Invece grazie ad un abile montaggio e ad una sceneggiatura che cerca, appena può, di allargare gli spazi (e i temi), il pericolo di un teatro filmato ci è sembrato ottimamente superato. In ogni caso i bravissimi protagonisti (anche il giovane regista Dolan qui protagonista) ci offrono uno spettacolo superbo, capaci ognuno di riempire lo schermo in un sottile gioco di gatto e topo. Uno spettatore smaliziato potrebbe rimproverare agli autori di averci presentato un direttore psicologo (un bravissimo Bruce Greenwood) non all’altezza del suo incarico, beffato troppo facilmente dal giovane omosessuale internato. Comunque la trama regge, e la suspence pure, quest’ultima iniziata con le accuse di omosessualità al medico improvvisamente scomparso (ricordiamo che siamo nel 1966).
VOTO:
Appropriate Behavior di Desiree Akhavan
Sicuramente il film che abbiamo amato di più. La regista, anche protagonista, è bravissima a presentarci una personaggio originale, fuori dagli schemi abituali, incerto su tutto ma deciso ad andare fino in fondo su ogni cosa. Ama i genitori, i parenti , gli amici, e soprattutto l’amante, una donna molto più sicura e regolata. Odia le contraddizioni ma sembra caderci in continuazione, a partire dalla sua bisessualità, che forse è solo omosessualità, dal coming out famigliare che non riesce a fare, dal suo lavoro coi bambini che certo non è la sua vocazione. Eppure è un personaggio sincero, o che almeno cerca di esserlo, vorrebbe esserlo. Come succede spesso nella vita. Il film ci regala una serie infinita di gustosissime scenette, quasi volesse invitarci a non prendere troppo sul serio quanto sta accadendo, come la prova del reggiseno, la scena della separazione dove salva solo il fallo di gomma, il sesso a tre, i vari incontri coi genitori, il sesso con il bel ragazzo che sembra non offrirgli nulla di quello che vorrebbe, l’amica etero che non riesce a capirla, ecc.
VOTO:
Estrella Solitarias di Fernando Urdapilleta
Film di travestiti, anche se nel film si definiscono sempre ‘froci’ (e in realtà lo sono), composto da un gruppo di drag, viste nei momenti del loro lavoro, mentre si preparano o si esibiscono, mentre si accapigliano per avere i primi ruoli, mentre cercano di difendersi dall’omofobia imperante e magari vendicarsi dei torti subiti. Una divertente commedia nera, con qualche caduta di tono (soprattutto nel rocambolesco finale), che sfiora spesso la caricatura, volutamente, come nella rappresentazione dell’amabile adolescente cicciottello che chiede solo di essere accettato, o nell’isteria della trans protagonista, una figura incerta tra il bene ed il male ma sicuramente più umana di tanti altri. Opera prima di un regista messicano, Fernando Urdapilleta, che si dimostra abile nel districarsi tra ironia e denuncia, parodia e riflessione.
VOTO:
Born to Fly di Catherine Gund
Accattivante doc sull’esperienza lavorativa e di vita di Elizabeth Streb, creatrice del ballo acrobatico, dove si sfidano forza di gravità, equilibrio, amore del rischio, in un gioco di corpi volteggianti, potenti, allenati a qualsiasi tipo di caduta, incuranti del pericolo. Una commistione di acrobazie da circo e studiatissimi movimenti del corpo, praticamente libero nell’aria. Il film ci mostra una sequenza ininterrotta di esercizi ed allenamenti, dove si possono ammirare splendidi corpi maschili e femminili, guidati dall’ingegno e dalla ricerca creativa della Streb, un’artista che ha portato i suoi spettacoli nei più grandi teatri del mondo. Conosciamo la sua compagna, la scrittrice Laura Flanders, e una serie di personalità che frequentano la sua casa. Un ambiente artistico dove l’omosessualità è perfettamente integrata, totalmente fuori discussione. Un film che è un piacere per gli occhi, una sfida per il corpo umano.
VOTO:
Fear of Water di Kate Lane
Il film riporta erroneamente sul programma del festival il nome di un regista maschile, cosa che presentando il film in sala, si è detto impossibile possa succedere perché le selezionatrici del festival sono attentissime a scegliere film lesbici con registe sempre e solo donne. Opera prima e prima visione italiana di un film delicato e delizioso, su due adolescenti che vivono in classe sociali opposte e che devono preparasri ad affrontare un ‘mondo terribile’, per ciascuna di esse. La cosa curiosa è che nel presentare il film è stato detto che non si vedranno scene di sesso, e questo è vero, anche se il film è totalmente lesbico, anche questo vero, nonostante solo una delle due ragazze sia lesbica. Quest’ultima affermazione che ci ha seguito per tutta la proiezione nell’intento di scoprire quale delle due fosse lesbica, ci ha invece lasciati col punto di domanda iniziale. In compenso ha acuito la nostra attenzione nel cercare di recepire qualsiasi indicazione utile a risolvere il quiz. A parte questo curioso giochino, il film è godibile sia per la storia che racconta che per gli ambienti che descrive (gli avanzi di una classe aristocratica e il degrado del sottoproletariato) e soprattutto per il ritratto di due giovani ragazze viste come coloro che potrebbero liberare entrambe le classi sociali d’appartenenza dai limiti storici che ancora le definiscono. Il film è comunque una tenerissima storia d’amore, quelle che possono accadere solo a quell’età, prima del sesso, ma forse più potenti del sesso. Per tornare al giochino di cui sopra, noi propendiamo per credere lesbiche entrambe le ragazze, con una piccola sicurezza in più per quella che ruba il primo ed unico bacio del film.
VOTO:
Praia do Futuro di Karim Ainouz
Una storia di fratelli, una storia d’amore gay, una storia d’immigrazione, divisa tra le bellezze paesaggistiche di Fortaleza dove troviamo la spiaggia del titolo, e una moderna Berlino dove ci possiamo gustare il fantastico acquario. Il film è diviso in tre capitoli, la morte dell’amico, la vita a Berlino, l’arrivo del fratellino a Berlino. La storia è lineare, e si racconta in due parole, ma al regista interessa la definizione dei personaggi e come s’intersecano. Il dolore per la morte del compagno viene forse attutito dalla nascita di un nuovo rapporto. Il bagnino che ha seguito la vicenda dell’annegamento non vuole abbandonare l’amico turista rimasto solo, che per ringraziarlo lo scopa selvaggiamente sulla spiaggia. Ma si tratta d’amore, per entrambi. Quando il tedesco deve tornare in patria, il brasiliano lo segue, ma è una scelta troppo istintiva, e sentirà presto il peso di aver abbandonato madre e fratellino. Ma l’amore vince, e i ruoli sessuali si alternano. Possiamo solo immaginare cosa succede nei dieci anni successivi, fino all’arrivo del fratellino ora cresciuto… Anche se la trama non è il pezzo forte del film ci dispiace rivelarvi di più, e preferiamo lasciarvi il gusto di scoprire l’evoluzione dei personaggi, che ci regala una bella sorpresa finale. Peccato che il film dimostri qualche ambizione di troppo, ad esempio quando si dilunga eccessivamente nelle pur bellissime scene. Un viaggio tra paesaggi indimenticabili e personaggi in lotta contro le avversità della vita.
VOTO:
Gesu è morto per i peccati degli altri di Maria Arena
Questo bel documentario è uno dei migliori usciti recentemente in Italia, a conferma anche della recente rinascita del cinema, LGBT e non, prodotto nel Sud, in Sicilia e Puglia in particolare. Il film è stato girato nei vicoli dell’ antico e molto degradato quartiere di San Berillo, nel centro storico di Catania, sino a pochi decenni fa quartiere popoloso e ricco di artigiani e commercianti, a poco a poco costretti, dalla speculazione edilizia e dal malgoverno, ad andarsene verso i nuovi quartieri. In quei vicoli, tra sventramenti moderni e vecchie palazzine con porte e finestre sprangate, sopravvive ancora qualche casa abitata. Gli ultimi abitanti sono soprattutto transessuali che si prostituiscono. I protagonisti di questo documentario sono sei trans e una donna, alcune davvero anziane e fisicamente appesantite. La loro bravura e la loro spontaneità sono davvero sorprendenti, sia quando raccontano con franchezza la loro vita, che quando sono impegnati in scene collettive come il corso per badanti, organizzato da un politico cittadino, per spingerle a cambiare vita e soprattutto quartiere. La cosa che più colpisce in queste persone è che si tratta di una piccola comunità molto solidale e tutto sommato felice, a parte ovviamente qualche caso di violenze e rapine, comuni negli ambienti della prostituzione. Inoltre questa comunità è molto religiosa, e questo fa da collante con il resto della città. E’ facile prevedere che tra non molti anni non esisterà più né questo quartiere cosi come è stato finora, né i suoi coloriti abitanti. Questo documentario ha quindi anche il pregio di documentare uno spaccato sociale che ha già iniziato a scomparire.
Cosi Maria Arena ha introdotto il film al pubblico:” Non volevo fare un reportage, non volevo fare un film scandalistico. Il titolo così forte viene valla mia passione dalla musica di Patty Smith, infatti è la prima strofa di Gloria “Jesus died for somebody’s sins but not mine”, ma noi non abbiamo messo la fine. Alla fine delle riprese di questo film, una cosa che non mi aspettavo, è stata quella di trovare questa componente, non direi religiosa, ma spirituale. Per cui questa frase è diventata illuminante. Ci ho messo cinque anni a realizzarlo, quindi anche molta tenacia, perché all’inizio non vincemmo i bandi del Ministero, che tentammo, e siccome erano già tre anni che ci lavoravo su, tessendo relazioni col territorio, non me la sono sentita di mollare. Per fortuna la mia sceneggiatrice (Josella Porto)mi appoggiò e cominciammo in auto produzione.. Abbiamo poi trovato una produzione, dopo le riprese, che ci ha sostenuto nella post-produzione e ci ha consentito di finire il film. Questo è un film di 90 minuti e ci abbiamo messo tanto a montarlo, avevamo 70 ore di girato; anche se già avevamo una struttura: abbiamo girato in tre momenti dell’anno perché già avevamo delle intenzioni precise su questi momenti.” Adesso il film ha una distribuzione e una pagina Facebook che si chiama come il film. Il film è stato preso dalla FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai). (R. Mariella)
VOTO:
Jess and James di Santiago Giralt
Non ha entusismato tutto il pubblico, soprattutto il più esigente, il film scelto per inaugurare il Festival, “Jess and James” del regista argentino Santiago Giralt. Probabilmente per una sceneggiatura ed un montaggio troppo semplicistici, che non approfondiscono alcuni momenti (ad esempio le situazioni famigliari dei due protagonisti o il passaggio nella villa) mentre dilatano alcune scene (come l’accoppiamento iniziale). Il messaggio però è chiaro: non basta il sesso gay a riempire la nostra vita, bisogna cercare l’amore, ed è inutile avere paura di rivelarci, meglio essere audaci e sicuri di sé (nonostante i consigli dei genitori). Il triangolo amoroso, partito come una normale avventura promiscua, potrebbe offrire qualcosa di più, ma il film si limita ad un finale ottimista.
VOTO:
L’amour au temps de la guerre civile di Rodrigue Jean
Qui invece non c’è nulla di semplice, forse di già visto, ma girato con abilità e con bravissimi interpreti. Sono momenti di vita perduta, cercata, disperata, tra sesso, droga (molta, troppa), prostituzione, amore (forse) e morte (certa). Il regista dice di non voler dare giudizi, di non voler essere moralistico, nel ritrarre una gioventù che vive ai margini, giorno per giorno, senz’altra prospettiva che procurarsi la dose giornaliera, ma non si può restare indifferenti davanti a personaggi che rifiutano tutto (o vengono rifiutati da tutto), e si rinchiudono in una lotta per la sopravvivenza senza prospettive.
VOTO:
Batguano di Tavinho Teixeira
Altro titolo che ha lasciato insoddisfatto il pubblico ma questa volta non noi. Un’opera originale, fin troppo, e con notevoli intuizioni. In fondo, come ha detto il presentatore, si tratta di una bellissima storia d’amore tra due uomini, ormai maturi, costretti adesso a vivere di ricordi e del loro amore immutato. Bellissime le scene di quando li vediamo in macchina attraversare alcuni importanti momenti del loro passato, dei loro incontri, del loro lavoro. Il film evita anche, grazie ad un ottimo montaggio, il pericolo della teatralità, in quanto il tutto avviene davanti ad un malandato camper ai margini di una foresta dove i due protagonisti si sono rifugiati per scampare ad una malattia che sta distruggendo l’umanità, in fuga dalle città per evitare il contagio. Metafora di un mondo avviato verso l’autodistruzione. Stimolo per importanti riflessioni su politica, arte, letteratura, cinema (vediamo diversi spezzoni di film), e tutto quanto il mondo rischia di perdere se non corregge la sua rotta. Ma i nostri due eroi sono salvati dal loro amore (gustose scene di sesso con falli in azione) capace di superare anche piccoli tradimenti.
VOTO:
Tiger Orange di Wade Gasque
Peccato che questo film, piaciuto moltissimo a tutti, sia stato proiettato nella piccola Scatola Magica (lasciando la sala grande al gradevolissimo “Anita’s Last Cha cha cha”). Ci racconta il difficile riavvicinamento tra due fratelli gay, diversissimi tra loro. Uno, interpretato da un ex attore porno (che ci mostra tutto quello che può), è l’emblema del gay che butta in faccia al mondo la sua omosessualità, per sentirsi libero ma anche per denunciare il modo in cui siamo stati trattati fino ad oggi. Il sesso sembra l’unico scopo della sua vita (lo farebbe anche col fratello) perché non si fida dell’amore, destinato prima o poi a finire, quindi meglio non farlo nemmeno iniziare (così si evita il dolore della fine). Tutto l’opposto il fratello maggiore, che ha tenuto sempre nascosta al padre (e al mondo) la propria omosessualità (almeno a parole), per poter vivere tranquillo nella cittadina dove gestiscono un negozio di ferramenta. Ma quando il padre muore e il fratello ritorna a casa (senza soldi e lavoro) tutto viene messo in discussione, grazie anche al riaffacciarsi sulla scena di un suo vecchio amore di scuola (vissuto solo per una notte). Praticamente il film ci serve su un piatto assai accattivante, tutte le tematiche gay contemporanee: coming out, primo amore gay, omofobia interiorizzata e no, sesso promiscuo, ecc. Forse un po’ didattico, sicuramente molte cose già viste, ma capace di coinvolgere e farci innamorare dei personaggi.
VOTO:
Regarding Susan Sontag di Nancy Kates
Difficile trovare un doc sull’intera vita di un personaggio famoso capace di catturare la nostra attenzione dall’inizio alla fine, di giocare con le immagini mentre i vari personaggi ci raccontano i loro ricordi (al posto dei soliti lunghissimi primi piani, qui ridotti al minimo indispensabile), di farci vivere la storia di una vita con la stessa apprensione con cui seguiamo un film drammatico. La regia vene naturalmente aiutata in questo dalle drammatiche vicende che hanno accompagnato la vita privata e pubblica della Sontag, un personaggio che ha sempre preferito stare dalla parte più difficile, senza compromessi, più antagonista che collaborativa, per amore della ricerca, dell’approfondimento, della verità scomoda. La sua lotta contro la malattia (tre cancri) è stata la stessa lotta che lei ha condotto a favore dei malati di AIDS quando la società era più incline a condannare e colpevolizzare che aiutare. L’unico rimprovero che possiamo farle è quello di non essere mai arrivata a rivelare pubblicamente la sua omosessualità (senza per altro mai nascondere le sue molte storie d’amore lesbo), cosa di cui era consapevole e che giustificava con il rifiuto delle categorie, spesso più limitanti che liberalizzanti. Prima della sua ultima malattia promette che se torna a casa salva, farà subito un coming out pubblico. Purtroppo il destino le ha tolto questa possibilità.
VOTO:
IMMAGINI