Il sudafricano "Beauty" candidato agli Oscar, "Tomboy" e "La pelle che abito" sui nostri schermi

Nostre recensioni


Un’immagine dal film “Beauty”

Iniziamo col sottolinerae la bella notizia che un film del nostro database, il sudafricano “Beauty” (Skoonheid) del 28enne regista di Cape Town, Oliver Hermanus, è stato scelto per rappresentare il Sud Africa nella corsa all’Oscar come Miglior Film Straniero. Il film arriverà in Italia direttamente in DVD, grazie alla benemerita Queerframe.tv, che lo distribuirà nel mese di febbraio 2012. Se però avesse una brillante carriera con gli Oscar (la selezione ufficiale dei 5 candidati avverrà il 25 gennaio 2012) potrebbe arrivare anche sugli schermi. Ricordiamo brevemente la trama del film: François, afrikaner di mezza eta’ dalla vita apparentemente tranquilla e molto borghese, incontra dopo molto tempo il figlio di un 23enne di un suo vecchio amico, Christian. Questi è la perfetta incarnazione della bellezza al suo massimo splendore. François prova immediatamente una forte attrazione che si trasformera’ a breve in una passione al limite dell’ossessione… Un dramma per raccontare con crudo realismo il tema dell’omosessualità velata in un Paese gia’ molto avanzato per i diritti Lgbt, dove i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono legali dal 2006.

“LA PELLE CHE ABITO” voto 8/10


Sono presenti sui nostri schermi due film di altissima qualità e assolutamente imperdibili. Il primo è l’ultimo lavoro del regista gay Pedro Almodovar, “La pelle che abito”. Il film ha diviso fortemente la critica già al suo esordio alla Mostra veneziana. Chi lo ritiene assolutamente un film minore, quasi di genere (tipo horror o thriller) e chi invece lo valuta positivamente come una nuova modalità espressiva del regista che è riuscito ancora una volta a rinnovarsi. Noi, anche senza gridare al capolavoro, siamo rimasti entusiasti sia per lo stile, quasi algido, che per la storia, ricca di spunti riflessivi. La prima mezz’ora del film raggiunge un altissimo livello di suspence, quasi Hitchcockiana, con scene e immagini che si rincorrono in un puzzle enigmatico di scienza e Frankenstein. Il mistero s’infittisce quando iniziano i flasback e i due protagonisti, il giovane uomo e la donna prigioniera s’avviano a diventare la stessa persona. Quella che poteva essere la storia di una burla ci viene invece presentata come una profonda riflessione sull’identità di genere. Quanto contano le apparenze, l’esteriorità del corpo, e quanto invece l’anima e l’identità interiore? Il protagonista Banderas s’innamora di un corpo che gliene ricorda un’altro. Eppure è un corpo che ha un’anima differente, completamente diversa dalla persona che amava. La donna che interiormente è un uomo non può accettare di tradire la sua anima, la sua essenza, che è maschile. Per questi motivi, sembra suggerire la storia, una persona che si sente donna ma si ritrova in un corpo maschile, non potrà mai adattarsi a questa realtà per lei deformante, e avrà il diritto dovere di cambiare il suo corpo, altrimenti vivrà come in una prigione, come la donna del film.
Bravissimi gli attori, da un compassato e misterioso Banderas (che nei primi film con Almodovar si abbandonava a gambe aperte a focosi amplessi omo, diventando subito un’icona gay) a un torturato Jan Cornet che però ha dovuto limitare al massimo le sue emozioni, allo stesso modo della bravissima Elena Anaya. Cornet ha raccontato alla stampa che Almodovar spiegava agli interpreti ogni minimo gesto, “per me è stato come eseguire una danza, con Almodovar come coreografo. In certe scene avrei voluto piangere, urlare, disperarmi, ma Pedro voleva che riducessi al minimo le mie emozioni“. Eppure le emozioni, proprio perchè più sottili e misteriose, emergono in continuazione dallo schermo, anche quelle erotiche, come la scena della lavatura di Cornet con il getto d’acqua o i pittorici nudi della Anaya o gli sguardi pieni di desiderio di Banderas. Sempre generoso con gli spettatori omo Almodovar, che, oltre ad una storia centrata sul tema del gender, ci regala anche un piccolo ma significativo personaggio lesbo.

“TOMBOY” voto 9/10

Il nostro titolo forte di questo inizio stagione cinematografica è senz’altro “Tomboy” distribuito dall’encomiabile Teodora del direttore artistico Vieri Razzini, da venerdì 7 ottobre nelle nostre sale, speriamo numerose, vista l’ottima accoglienza della critica e dei vari media (vedi pagina dedicata sul Corriere della Sera di oggi).

Tomboy” è in assoluto il film “gay” dell’anno più interessante ed originale. Non solo perchè ha raccolto ovunque premi di pubblico e critica (al festival gay di Torino ha trionfato con entrambi i premi), ma soprattutto perchè affronta un tema a noi particolarmente caro, quello dell’identità sessuale, in un modo assolutamente nuovo e assolutamente realistico. Abbiamo già avuto ottimi film su questo argomento, basti citare il belga “Ma vie en rose”, o l’americano “Boys don’t Cry” (che fa vincere il primo Oscar Hilary Swank) o l’argentino “XXY”, ma “Tomboy” ci appare come qualcosa di mai visto al cinema, una storia che ci fa subito entrare nel gioco della protagonista, un gioco che moltissimi di noi hanno sicuramente sperimentato in prima o terza persona nella propria infanzia. Quando nei primi giochi di cortile ci si divideva rigorosamente in maschi e femmine, mentre qualcuno spesso guardava con invidia o stupore o immedesimazione i componenti dell’altro gruppo. Le regole di comportamento sociale, anche se non sono scritte, sono spesso più rigide dei comandamenti divini. Il grande pregio del film di Céline Sciamma, qui solo alla sua seconda opera dopo il bellismo film lesbico “Naissance des pieuvres” (che potete scaricare da queerframe.tv), è quello di farci riflettere su questa problematica senza nessun corollario sociologico o psicologico, lontanissimi da qualsiasi approccio didattico. Il film risulta sconvolgente non perchè voglia scandalizzarci, anzi, proprio per l’opposto, per la sua semplicità e naturalezza. Qualcuno (è accaduto a Torino nell’incontro con la regista dopo la proiezione) faceva notare che il film, soprattutto nel finale, sembra non prendere nessuna posizione ideologica, anzi sembra quasi sconfessare tutta la storia, ridimensionandola, come se si fosse trattato di un banale e innocente ‘disguido’ infantile. La regista Sciamma faceva notare che questa era stata una precisa scelta di sceneggiatura e regia, proprio per stare fino in fondo dentro la realtà. Come dire che i problemi ci sono ma non possiamo risolverli o drammatizzarli astrattamente. Grande idea di cinema!

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