GAY LIFE 2010

Le pagine del settimanale SETTE del Corriere della Sera, in edicola questa settimana, dedicate a come si presenta la vita dei gay nel 2010, con un ampio articolo di Elvira Serra e le splendide foto di Ada Masella. Parlano Cecchi Paone, Stefano Gabbana, Domenico Dolce (male), Mario Venuti, Manuela …

Il ministro difende gli omosessuali nell’esercito. Segno che l’Italia sta cambiando? Tra coming out e omofobia, le storie di chi conosce la verità (sulla propria pelle)

Le confessioni, gli amori, le paure, le lotte e quei diritti ancora da conquistare

GAY LIFE ’10

LA CAMPIONESSA-ALLENATRICE DI PALLAVOLO DIFFIDATA DAL ‘PROVARCI’ CON LE GIOCATRICI. IL MANAGER CHE AFFRONTA UN TUMORE COL COMPAGNO ACCANTO SOLO PERCHÉ I MEDICI CHIUDONO UN OCCHIO. IL DESIDERIO DEL CRITICO CINEMATOGRAFICO DI POTER TENERE PER MANO IL PARTNER. STORIE DI OMOSESSUALITA, NELL’ITALIA D’OGGI, FRA CHI SOGNA UNA LEGGE A TUTELA. IL MINISTRO LA RUSSA CHE APRE L’ESERCITO AI GAY E L’OMOFOBIA CHE NON MOLLA LA PRESA

Il primo fu Xavier. “Capelli neri, labbra carnose”. Si incontrarono sulla nave che da Brindisi portava a Patrasso. “Avevo diciott’anni. Lui era un francese di origine ebraica diretto a Tel Aviv”. Un bacio rubato. “Prima di allora non avevo mai pensato di poter essere omosessuale. Avevo già avuto parecchi rapporti completi con le ragazze. Xavier invece era consapevole della sua sessualità e la sua naturalezza mi colpì”. Impossibile trovare intimità in una nave. “Ci scambiammo gli indirizzi e per mesi ci scrivemmo lettere bellissime. Non ci siamo mai più incontrati”.
Trent’anni e 12 cd dopo (cinque con i Denovo, sette da solo), Mario Venuti ha superato il pregiudizio di sempre: “L’artista che fa coming out diventa un “artista omosessuale”, questo lo rende meno interessante”. E nell’ultimo disco, Recidivo, dedica al padre La virtù dei limoni, dove canta: “Ho dato spazio alla parte che tu meno amavi di me… Una canzone è tutto quello che io so fare, per ringraziarti canto, e non mi vergogno più di tutto l’amore che mi sono tenuto dentro…”. Una dichiarazione d’amore, anzitutto per se stesso.
Venuti è raro. Di artisti, uomini e donne, famosi, famosissimi o poco affermati, si sa, ma non si dice. Non vale solo per la musica, naturalmente. I gay sono nello sport, nella politica, nell’economia, nella comunicazione, nel giornalismo, nel cinema, nella moda. Occupano posizioni di prestigio. Non avrebbero nulla da perdere. O si?
“Non ne ho mai voluto parlare prima di oggi, non è facile nel mio ambiente. Manuela Benelli a Ravenna è una celebrira del volley. Con lei la Teodora ha vinto 11 campionati di fila: 1980-1992. Trecento presenze in nazionale, tre mondiali, otto europei. L’ultima partita da giocatrice nel 2000. Poi nuova vita da allenatrice. Con una umiliazione: “Una società voleva scrivere nel contratto che se avessi fatto avances a una sola giocatrice sarei stata cacciata. Il mio procuratore era favorevole”. A un uomo nessuno lo chiederebbe.

IL MITO RAZZISTA DELLA PEDOFILIA

Cambierebbe qualcosa se anche l’Italia avesse una legge contro l’omofobia? Sarebbe diverso se non avessimo soltanto una parlamentare lesbica dichiarata, mentre in Islanda la premier Johanna Sigurdardottir è omosessuale (cosa alla quale tutta la stampa internazionale diede grande enfasi al momento dell’insediamento, a parte quella islandese: per loro non costituiva una notizia), come pure il sindaco di Berlino Klaus Wowereit e il vice-cancelliere tedesco Guido Westerwelle, il ministro della Cultura francese Frédéric Mitterrand e il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe?
“La risposta, banale, è che da noi c’è il Vaticano. Ma questo è un dato di fatto. Com’è che in quarant’anni di lotte non siamo riusciti a cambiare niente? Non sarà che dobbiamo cambiare noi?” sbotta nel salotto della sua casa romana Imma Battaglia, dirigente d’azienda e leader di Dì Gay Project: Il problema è che per il movimento omosessuale il Muro di Berlino non è mai crollato: pensano ancora che i gay siano di sinistra e gli omofobi di destra. Mi viene in mente un pediatra che ho incontrato a cena qualche giorno fa. Mi ha detto: “Sai perché non faccio coming out? Immediatamente penserebbero che sono un pedofilo”. È questo il mito razzista più odioso: l’equazione omosessualità uguale pedofilia. “Un’affermazione che grida allo scandalo. Come è scandaloso che un dirigente Rai si sia opposto alla messa in onda di una intervista in radio agli autori del libro Identità sessuale a scuola, educare alla diversità e prevenire l’omofobia.
Un libro che dovrebbe stare nelle biblioteche di tutti gli istituti.”, aggiunge Francesco Gnerre, docente di Studi gay all’università Tor Vergata di Roma.

LE MINISTRE GAY-FRIENDLY

Si sono impegnati di più ministri di destra o quelli di sinistra per tutelare i gay? “Lultima sorpresa è arrivata con il ministro della Difesa La Russa che ha aperto ai militari gay. Ma sono state soprattutto due donne a spendersi contro l’omofobia: Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo. Alla prima dobbiamo la campagna di comunicazione, costata 2 milioni di euro, su radio, tv e carta stampata, dal messaggio semplicissimo: “Nella vita certe differenze non possono contare, Rifiuta l’ofobia” spiega Angelo Pezzana, memoria storica, fondatore quasi quarant’anni fa di Fuori!, il primo movimento di liberazione omosessuale. “La Prestigiacomo, ai tempi ministro per le Pari opportunità, assunse Dario Mattiello, silurato da Domenico Fisichella dopo la pubblicazione di una sua foto a una festa del Gay Village”. Pezzana, seduto in un bar accanto alla sua libreria torinese Luxemburg, di cose da raccontare ne ha tante. Da quando Lotta continua, Potere operaio e Avanguardia operaia etichettavano quelli come lui “sovrastrutture borghesi”; a quando nel ’72 contestò a Sanremo il primo Congresso internazionale di sessuologia perché gli psichiatri etichettavano l’omosessualità come una malattia. “Luciano Curino, inviato della Stampa, scrisse per la prima volta la parola impronunciabile: omosessuale. Fino a quel momento noi eravamo gli “invertiti”, i “pederasti”. La malinconia non riguarda le cose vissute. “Ho fatto la suffragetta perché l’ho scelto. Ma ho permesso alla società di condizionare la mia capacità di ragionare in modo normale sulla possibilità di avere una famiglia”. Per Angelo Pezzata oggi alla legge che non c’è basterebbe un unico articolo: “I diritti degli omosessuali sono identici a quelli degli eterosessuali”.

TESTIMONIARE È IMPORTANTE

Alessandro Cecchi Paone ha fatto coming out nel 2004. Da allora è diventato un testimonial. Il 30% delle interviste che gli vengono proposte riguarda la sfera gay, non la sua attività di divulgatore scientifico. “Non parliamo di potere gay: in Italia non esiste. Siamo l’unico Paese del mondo libero, civile, democratico, in cui i gay hanno ancora problemi di visibilità”. Dietro alla scrivania del suo studio vicino a piazza Cadorna a Milano fa alcuni esempi. “Alfonso Signorini è un direttore potentissimo: ma come mai si occupa solo di gossip, perché ancora non dirige Panorama? Il problema in Italia sono le generazioni viventi che si sono formate durante il fascismo e negli oratori. Ne faccio un discorso anagrafico. Propongo coming out di solidarietà: chiedo agli eterosessuali di dichiararsi omosessuali come nel film In & Out, per svegliare le coscienze di tutti”.
La testimonianza, quella vera, sarebbe uno strumento simbolico importante per l’accettazione sociale. Ne è convinta Anna Paola Concia, parlamentare Pd. “Il nostro è diventato un Paese se possibile più omofobo negli ultimi anni. I gay temono ancora di poter essere discriminati. Purtroppo c’è un tasso impressionanle di omofobia interiorizzata. Eppure è talmente semplice dirlo: questo è il mio fidanzato, questa è la mia fidanzata, si chiama così. Non è necessario essere militanti. La mia battaglia sul piano culturale è quella per la normalità degli omosessuali: viviamo, ci emozioniamo, abbiamo delle relazioni sentimentali esattamente come tutti.

“NORMALITÀ? NO, NATURALITÀ”

A Fulvio Zendrini, consulente comunicazione delle più importanti aziende italiane, la parola normalità non piace. “Preferisco parlare di naturalità. Guai a essere uguali, io mi sento diverso da tutti, come gli altri sono diversi da me”, A lui non piace nemmeno il termine gay. “I gay non esistono. Esistono solo uomini e donne che seguono percorsi personali”, Quindici anni fa, quando si insediò come direttore comunicazione di Tim spiazzò i suoi collaboratori presentandosi così: “Mi chiamo Fulvio Zendrini, sono nato a Trieste, i miei genitori vivono a Verona, ho una sorella che si chiama Carla e sono sposato: mio marito si chiama Mario. Sì, avete sentito bene”. Il suo Mario lo ha conosciuto 18 anni fa dopo aver amato due donne, Alessandra e Titta. Ma I’amore della sua vita è lui, quel ragazzo conosciuto dopo un cinema, mangiando una pizza, nell’unica notte che (da allora) non hanno condiviso. “Se vorrei sposarlo? Non è il matrimonio in sé. Vorrei che lo Stato tutelasse i nostri diritti, visto che siamo cittadini italiani. Che senso ha andare in Spagna? La colpa però è anche nostra. Tanti pensano di non potersi dichiarare. Io credo che per loro non cambierebbe niente. Anzi è necessario lavorare insieme con le persone intelligenti per mettere fine a uno sconcio legislativo. Lo scorso anno ho avuto un tumore alla prostata, che ho sconfitto. Vicino a me c’era Mario. Ma mi è stato accanto in ospedale grazie al fatto che medici e infermieri chiudevano un occhio. È giusto?”.
Di nuovo la naturalità, i piccoli gesti. L’affettuosità negata. “Mi accorgo di vivere la mia vita al 70%, è una condanna generazionale. Al ristorante vorrei poter sfiorare la mano di Holger, mio compagno da 25 anni. Ma come puoi lasciarti andare se ancora adesso rischi di essere bastonato da uno Svastichella qualunque?”, si sfoga Fabio Bo, critico cinematografico, coordinatore artistico del Festival del cinema gay di Torino in programma il prossimo aprile. “La legge contro l’omofobia è indispensabile. Pensiamo solo al delitto d’onore, che fino a quarant’anni fa era ammesso. Il clima è demoralizzante. La tivù spaccia un’omosessualità spettacolarizzata, con conduttori come Barbara d’Urso che strizzano l’occhio ai gay suoi amici, cosi sensibili… Non ne posso più di questi luoghi comuni. Penso che sia tutta colpa nostra, neanche del Vaticano, che in fondo fa il suo dovere, C’è una sorta di comodità. Legalizzare le unioni civili ci darebbe una grande responsabilizzazíone”. E forse anche una dignità civile che oggi appare più una concessione. Spiega Alessandro Calascibetta, responsabile moda uomo di Rcs Periodici: “La cosa assurda è che oggi l’omosessualità viene “tollerata”, non accettata. Un’amica una volta mi disse: “Di te va bene perché non si vede…”. Eravamo a una sfilata. A un certo punto uscì in passerella un modello bellissimo e lei mi diede una gonitata: “Pensa, è eterosessuale!”. Io le risposi: “Strano, non si vede”. Credo che abbia capito”. Al luogo comune che chi lavora nella moda è gay lui replica così: “Semplicemente è un mondo frequentato da gente che viaggia tanto, si confronta con il mondo, si apre alle culture, è più disposto ad accettare le sfumature”.

LETTERA DI UN PADRE

In ltalia secondo le stime detl’Omns ci sarebbero 5 milioni di omosessuali. I figli di genitori gay, secondo la ricerca Modi.di condotta da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto superiore di sanità, sarebbero centomila. Marzio Barbagli, il sociologo che con Asher Colombo ha scritto Omosessuali moderni per II Mulino, giudica inattendibili questi numeri. Conunque sia, le coppie di uomini e di donne con figli rientrano ormai nella policroma fenomenologia della famiglia italiana. Daniele Scalise è stato un pioniere. Sua figlia Chiara, oggi 34enne, da quando sgambettava sa che suo padre è gay. A lei Scalise ha dedicato il libro Lettera di un padre omosessuale alla figlia, in cui racconta il suo percorso umano sullo sfondo dei cambiamenti del Paese. “Tra noi c’è sempre stato un rapporto di amore tra padre e figlia pulito, cristallino. Non solo le voglio bene, ma la stimo, vedo in lei qualità essenziaii, come il senso della dignità, la capacità di indignarsi. Da quando aveva 11 anni ha fatto le vacanze con me e con Franco, il mio compagno: insiene siamo andati in Grecia, in Corsica, in America. Prima di cominciare a scrivere il libro le ho chiesto se era d’accordo. Lei mi ha spiazzato: “È un’idea geniale e tu sei l’unico che lo può scrivere. Sei stato talmente un buon padre che mi dispiace essere rimasta figlia unica”

Elvira Serra

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Stefano Gabbana e Domenico Dolce

LA RIVOLUZIONE NON SI FA NEI PICCOLI MONDI

MAI STATI A GAY PRIDE, GAY VILLAGE E RASSEGNE DEDICATE. I DUE STILISTI RACCONTANO PERCHE’ NON SI RICONOSCONO NELLA CULTURA OMOSESSUALE. E, INTANTO, STEFANO SOGNA UN FIGLIO

Che antichità, ancora a parlare dello stesso argomento… Stefano Gabbana sospira seduto sul divano al primo piano del quartier generale di Milano, in via San Damiano, nella sala con le pareti leopardate. Camicia scozzese, gilet, jeans e stivali, spiega con gentilezza le sue perplessità a parlare, ancora una volta, della scelta omosessuale. Accanto a lui Domenico Dolce, partner di una vita, ora solo compagno dell’impero della moda celebre in tutto il mondo. Fecero il loro coming out proprio su questo giornale, nel 1999. “Ma non fu una intervista per dire che eravamo gay. Raccontammo la nostra storia d’amore, semplicemente”.
Domenico Dolce e Stefano Gabbana non hanno mai fatto militanza, non sono mai stati a un gay pride, non sono interessati alla cultura omosessuale, non ritengono sia necessaria una legge ad hoc. Non lo fanno per snobismo. “È che davvero non ci siamo mai posti il problema di essere gay. Il problema dell’accettazione dei gay non è sociale, è personale. Il primo passo è quello di accettarsi e poi di parlarne con la famiglia. Come puoi pretendere che gli altri ti accolgano se non lo fai tu?”, dice Domenico, maglioncino grigio chiaro, pantaloni scuri. Ha fama di taciturno, ma qui non si risparmia: ci tiene ad argomentare le sue affermazioni. “Onestamente quando vedo certi talk show in tivù, quando sento parlare dei gay pride, del Gay Village, delle rassegne cinematografiche dedicate, io dawero non mi riconosco. Il cinema gay, la cultura gay, la letteratura gay: prendo atto che esistono, ma non ci credo. Le rivoluzioni si fanno andando a contaminare gli altri, non chiudendosi nel proprio piccolo mondo. Noi abbiamo amici di tutti i tipi. E se adesso l’esperienza mia e di Stefano può essere importante, lo è come esempio di una vita vissuta con amore. Oggi è troppo semplice guardare a noi come a quelli per i quali è facile. Ma noi ci siamo guadagnato tutto ciò che siamo, il rispetto anzitutto. Una vita di amore per noi stessi, per il lavoro, per gli altri. Dipende sempre da come ti poni tu nei confronti del mondo esterno. Sono venuto a Milano 30 anni fa e mai nessuno, per esempio, mi ha dato del terrone: forse perché non ho mai parcheggiato con l’auto su un marciapiede, non ho mai lasciato la spazzatura fuori dal cassonetto, non ho mai mancato di rispetto a nessuno. Non confondiamo i diritti con l’inciviltà. Il solo sentir parlare di una legge contro l’omofobia mi sembra non classificabile, è come volere una legge per tutelare gli alti o i bassi”.
Stefano però non condivide tutto il pensiero di Domenico. Gli occhi che brillano di un’energia da eterno tagazzo, ammette che la sua è una posizione privilegiata. “È stato un percorso difficile per me farmi accettare in casa da mia madre: temevo di perdere il suo amore. Quindi capisco bene chi non riesce a presentarsi agli altri così come è. Perché una forma di razzismo c’è: vogliono farti sentire diverso da quello che sei. Quello che manca è l’amore tra le persone, perché il fatto di accettarsi è un gesto di amore e la Chiesa per esempio non accetta i gay, anzi. Io sono cosi. Mi piacciono gli uomini e non le donne. Quelli che si presentano travestiti, agghindati, penso che siano delle persone sensibili che hanno sofferto molto, altrimenti non farebbero così. Poi certo riconosco che io e Domenico, essendo noti e famosi, avessimo tre gambe, andremmo bene lo stesso. Comunque il solo fatto che lei sia qua a intervistarci e che la gente ci definisca gay, questo già mi fa sentire diverso… In realtà io sono molto più semplicemente un essere umano”. Neppure Stefano vorrebbe una legge tagliata su misura per gli omosessuali, ma un suggerimento lo dà: “Perché non insegnare già alle elementari la tolleranza, il rispetto degli altri e che ogni comportamento sessuale non è fine a se stesso ma dettato dall’amore? Sicuramente nel giro di alcune generazioni il ‘problema’ non esisterebbe più”. Però a un figlio ci pensa ed è un senso di privazione: “Ci tengo a diventare padre, è importante per me. Ho in mente l’inseminazione artificiale, però, non l’adozione: non mi sento ancora abbastanza maturo per amare una creatura che non sia sangue del mio stesso sangue. Non essendo innamorato di una donna, potrebbe essere un’amica così come un utero in affitto”. Allora ci sta pensando? Riecco lo sguardo illuminato: “Per ora penso alle collezioni. Meglio non dire altro”.

Elvira Serra

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IL CINEMA CHE CAMBIA LA VITA

Compie 25 anni il Torino GLBT Film Festival. Da Sodoma a Hollywood, la rassegna cinematografica a “tematica omosessuale” cre sciuta di pari passo con la visibilità e le conquiste del mondo gay. Il programma (dal 15 al 22 aprile aTorino) Prevede diversi “omaggi” (alla filmaker newyorkese Maria Beatty, a Patricia Rozema e all’attrice, cantante, drag queen Holly Woodlawn). E tre sezioni in concorso.Tra itemi l’mofobia, il rapporto madri e figli omosessuali, la bisessualità e i problemi dei gay anziani e soli.

ll Festival, gestito e amministrato dal Museo nazionale del Cinema prevede anche una statuetta realizzata, come il manifesto, da Ugo Nespolo. Sarà attribuita per il Premio Oscar (Wilde) a un regista, attore, attrice o produttore che meglio hanno affrontato il mondo gay. Parallela ai film in concorso una retrospettiva: I venticinque film che ci hanno cambiato la vita. Da Bent, sull’amore ai temPi dell’O locausto, a A mia madre piacciono le donne. Il venticinquesimo sarà scelto dal pubblico con un sondaggio lanciato sul sito wwwtglff.com.

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Nuova icona gay a Sanremo

SIAMO UOMINI O MARINETTI?

LOOK ANNI 30-40. COME LE LORO VOCI. AL FESTIVAL, LE TRE ‘SORELLE’ TURBINA, MERCURIA E SCINTILLA SARANNO IL CORO DI ARISA. PRONTE A FARE IL BOTTO

di Lorenzo Viganò

Il fatto che siano tre uomini e si esibiscano en travesti, ovvero abbigliati da donne, non tragga in inganno. Le Sorelle Marinetti e il loro spettacolo (Non ce ne importa niente) non hanno nulla a che fare con l’universo Drag queen, con le paillettes e i boa di struzzo celebrati da film culto come Priscilla o Rocky Horror Picture Show. Loro e il loro spettacolo sono un omaggio, elegante e ironico, all’epoca d’oro della radio, alle canzoni rese celebri dalle voci di artisti come il Trio Lescano e Silvana Fioresi, Alberto Rabagliati e Natalino Otto… attraverso i microfoni dell’Eiar, la radio littoria da cui, a ventennio finito, avrebbe preso corpo la Rai. E basta guardarle sul palco, muoversi e cantare in perfetto stile anni Trenta-Quaranta, vestite con abiti che sembrano usciti dalla naftalina di un baule d’epoca (merito dell’attento lavoro dei costumisti della Scala), pettinate e truccate come le Signorine Grandi Firme disegnate da Boccasile (anche se con meno curve) per rendersene conto e fugare qualsiasi dubbio in proposito. Turbina (Nicola Olivieri, attore e corista lirico, al centro nella foto), Mercuria (Andrea Allione, attore, cantante e coreografo, a sinistra) e Scintilla (Marco Lugli, cantante e attore, a destra) che vedremo a giorni al sessantesimo Festival di Sanremo come coriste d’eccezione di Arisa nel brano Malamorenò conquistano con la loro simpatia e bravura.
Hanno studiato canto armonico sotto l’attenta regia di Christian Schmitz, fondatore e direttore dell’Orchestra Maniscalchi che spesso le accompagna, e analizzato scupolosamente i filmati delle Lescano, e oggi sono amate e venerate da chiunque vada a sentirle, anche e soprattutto, inutile nasconderlo, dal mondo gay. “A fine concerto, quando il pubblico ci viene a salutare e gli spettatori ci baciano e vogliono farsi fotografare al nostro fianco, nessuno, assolutamente nessuno, riesce a riferirsi a noi al maschile. “Brave, bravissime!”, ci dicono. “Siete fantastiche!”, confessano owiamente all’unisono le Sorelle Marinetti, il cui nome, ca va sans dire, è un omaggio al padre del Futurismo, Tommaso Marinetti. “E noi in quei panni ci sentiamo bene, a nostro agio. Siamo tre uomini che quando indossano gli abiti di scena, con sotto bustini e guépière per segnare in maniera femminile i nostri corpi, ci trasformiamo in tre bambole. Le scarpe col tacco, la vita strizzata e le acconciature rétro trasformano il nostro atteggiamento, il nostro modo di muoverci, e questo fa dimenticare in chi ci guarda che siamo uomini”. Caratterialmente diverse, più saggia e posata Turbina, la maggiore, più ingenua e sognatrice Mercuria, la mediana, e più sfacciata e monella Scintilla, la minore, le Sorelle non si aspettavano un tale successo (tutto esaurito il recente concerto al Blue Note di Milano). E senz’altro sarebbe stato diverso se chi le ha inventate e prodotte, Giorgio Bozzo, avesse preferito a loro tre (vere) donne. “Una volta a fine spettacolo un signore è venuto a salutarci con la moglie”, raccontano. “E indicando noi, ma rivolgendosi a lei, le ha detto: “Vedi cara, dovresti imparare da loro ad avere più fem minilità”.

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OMOFOBIA: LE PROPOSTE DI LEGGE

Testo bocciato dall’aula il 13 ottoble ’09 (pregiudiziale di costituzionalità) Modifica all’art.61 del codice penale, sull’introduzione della circostanza aggravante relativa a orientamento o discriminazione sessuale:<(11-quater) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale della Persona offesa>

Nuovo testo (Pd) con cui è ricominciata la discussione il 10 dicembre
ART. 1. All’articolo 61 del codice penale è aggiunto: <(ll-quater) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità indìviduale, contro la personalità indivìduale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per motivi di omofobia e transfobia, intesi come odio e discriminazione in ragione dell'orientamento sessuale di una persona verso persone del suo stesso sesso, persone del sesso opposto, persone di entrambi i sessi>.
ART.2. Entro il mese di febbraio, a decorrere dall’anno successìvo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, il ministro per le Pari opportunità presenta al Parlamento una relazione sulle azioni intraprese contro le dìscriminazioni operate per motivi di omofobia e transfobia, sugli obiettivi raggiunti, nonché sugli indìrizzi da seguire

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