"Gli abbracci spezzati" non riescono a spezzare il cuore dello spettatore

Almodovar si mette in gioco con tutto il suo amore per il cinema in un film che vorrebbe esemplificarlo attraverso una folle storia d’amore, dentro, intorno e sopra il cinema.

Purtroppo anche noi dobbiamo unirci al coro di critiche poco entusiaste dell’ultimo film di Almodovar, “Gli abbracci spezzati” , dovute probabilmente anche al fatto che dopo una serie di capolavori cha vanno da “Tutto su mia madre” a “La mala educacion” e “Volver” l’aspettativa di un altro film “sconvolgente” era quasi obbligata.

A questo punto, per evitare che la suddetta delusione c’impedisca un giudizio obiettivo sul film, cerchiamo di elencare subito quello che ancora ci è piaciuto del film. Anzitutto le scelte attoriali, da una Penelope Cruz passionaria (qualcosa di più di passionale) a un misurato Lluís Homar, splendida coppia di amanti folli (ma com’è discreto il nostro Pedro che copre sempre gli amplessi con qualcosa: divani, lenzuola o che altro), a un José Luis Gómez, arzillo e infuocato settant’enne, a una dolorante e pietistica Blanca Portillo che alla fine riesce a conquistarci più di tutti.

A questi protagonisti principali che si giocano tra amore e odio la bella Penelope, dobbiamo aggiungere i due giovanissimi Tamar Novas e Rubén Ochandiano, in ruoli solo apparentemente poco significativi. Il primo, assistente del protagonista diventato cieco, ha un po’ il ruolo dello “spettatore” che segue il racconto della vicenda (il film), il secondo ha invece il ruolo emblematico del “testimone”, è cioè come l’occhio della telecamera che riprende la vicenda (il film).

Quest’ultimo è anche l’unico personaggio gay del film (se escludiamo una breve scenetta con un costumista scheccante), che in una delle prime scene ci riassume, in un torrente di parole, tutta la sua vita di gay represso da un padre ricchissimo che lo ha costretto a sposarsi per ben due volte ed ora, dopo la morte del padre, vorrebbe vendicarsi facendo un film sulla sua triste storia (ma il film non segue questo suo desiderio, che forse, sembra dirci il regista, potrebbe essere il soggetto di un suo prossimo film). Curioso che questo personaggio venga presentato da giovane come assai effeminato, timido e capelli lunghi, mentre da maturo trentenne ci appare come un barbuto super macho. Comunque la tematica gay è solo accennata e quasi gratuita, cioè senza nessuna implicazione nella trama (il personaggio avrebbe potuto benissimo essere etero senza che nulla cambiasse). Forse Almodovar, in questo film che parla soprattutto di cinema, ha voluto, con questo personaggio gay, ricordarci l’incisiva presenza degli omosessuali nel mondo dei costruttori di film.

Dobbiamo ora accennare a quello che non ci ha pienamente soddisfatto del film, che potremmo riassumere in una parola: troppo arzigogolato. Cioè poco lineare, dispersivo, con storie che si accavallano e sovrappongono senza darci il tempo di concentrarci e affezionarci ai personaggi o alla storia, dove tutti, prima o poi sembrano contraddirsi. Quello che dovrebbe tenere unito il tutto è, come ha dichiarato lo stesso regista, l’amore per il cinema, che tutti i protagonisti di questo film dovrebbero esemplificare e trasmetterci. Ma quando il cinema diventa teoria più che storia e immagini, difficilmente riesce a coinvolgere il pubblico.

Così la protagonista ad un certo punto ci palesa improvvisamente il suo desiderio di fare l’attrice e poi arriverà a sacrificarsi perché il suo film (nel film) possa arrivare a compimento. Almodovar vuole farci comprendere questa passione per il cinema sovrapponendola (e paragonandola) ad una storia d’amore folle, come quella che coinvolge i due protagonisti, ma l’operazione è un po’ troppo ambigua e alla fine ci lascia alquanto freddini su entrambi i fronti. Tutti i protagonisti del film, dai principali ai più secondari, hanno ruoli strettamente legati al mondo del cinema, e infinite sono le letture che possono farsi delle loro vicende, dai produttori che possono diventare i distruttori del film, ai registi che facilmente possono fuggire dalle loro responsabilità, agli assistenti e tecnici che nell’ombra risultano essere i veri costruttori e salvatori di un film, agli sceneggiatori e operatori che spesso arrivano a mettere in gioco se stessi per la buona riuscita di un film, ecc. ecc. Alla fine dobbiamo però dire che anche se le intenzioni erano buone, forse ottime, il risultato complessivo, pur apprezzabile e spesso godibile, non è sicuramente all’altezza degli altri capolavori del nostro amatissimo regista. Voto 7.

Qui sotto una immagine del film con Rubén Ochandiano nel ruolo del giovane gay Ray X e Penelope Cruz

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