All’inaugurazione del 23° Festival Mix di Milano di Cinema Gaylesbico e Queer Culture ieri sera si respirava un’aria di serenità e contentezza che negli ultimi anni, causa problemi di sopravvivenza (leggi finanziamenti), sponsorizzazioni promesse poi negate (leggi Comune di Milano), era un po’ mancata. Come ha sottolineato il Direttore Giampaolo Marzi salendo sul palco, la maggiore soddisfazione è però sempre venuta dal fedelissimo pubblico milanese, che ogni anno accorre numeroso alla festa (che quest’anno, aggiungiamo noi, rimpiazza un po’ anche il Pride cittadino, soppresso per garantire la massima affluenza al Pride nazionale di Genova). Felicissimo era anche il regista Joe Balass, fidanzato da sempre di Giampaolo, reduce dal grande successo di critica ottenuto all’ultimo Film Festival di Torino con il suo documenatrio autobiografico “Baghdad Twist”, che quest’anno ha contribuito largamente all’organizzazione del Festival Mix ed è ora impegnato a girare un documentario a tematica del quale ci parla in una breve intervista che pubblicheremo in questi giorni.
Il direttore Marzi, che dirige il Festival da 17 anni, ha iniziato la presentazione di questa edizione annunciando che sono in arrivo grandi novità e miglioramenti per le prossime edizioni del Festival (ha addirittura parlato di una sede migliore di quella attuale!?), ricordando che da tre anni il Festival ha cambiato nome gemellandosi coi Festival Mix di San Paolo e di New York che hanno allargato il loro campo di interessi “perché siamo tridimensionali, il nostro genere e la nostra identità sono importanti ma non sono tutto”. Il pubblico resta silenzioso, forse non comprendendo bene dove si vuole arrivare, al che Marzi dice “se non avete capito qualcosa ditemelo, perché quest’anno mi sono imposto di dire tutte quelle cose che non sono mai riuscito a dire negli anni precedenti per capire che ad un certo punto la motivazione per fare questo deve essere quella di comunicare, d’immaginare, di stare insieme”.
Un altro momento quasi imbarazzante l’abbiamo quando Marzi dal palco chiede al pubblico chi abbia letto la sua introduzione a questa edizione del Festival (pubblicata col titolo “Lasciati immaginare” sia sul programma cartaceo che sul sito) e pochissime mani si alzano. Un vero peccato (ma sappiamo che i milanesi sono sempre molto indaffarati e saranno andati subito a leggere i titoli in programma) perché a noi è sembrato un piccolo gioiello di poesia e di sintesi, capace di cogliere in pochissime righe l’essenziale del programma e dei messaggi che vuole mandare (l’abbiamo pubblicato integrale nella nostra scheda del Festival).
Marzi ha continuato, leggermente deluso, dicendo “bè, leggetela quando volete, e lasciatemi immaginare perché lì dentro c’è quella stella di Deneb del cosmo pasoliniano, che esiste veramente e che nel gioco del ribaltamento delle cose, che a volte a testa in giù si vedono dritte, Deneb significa bene, e da questo bene vogliamo ripartire, bene collettivo, bene della comunità, quel bene che 40 anni fa ha creato un movimento per cui la liberazione sessuale in Italia, che è trasversale per tutti, oggi ci permette di essere qui, noi un pochino impari rispetto agli eterosessuali, però tutto sommato bene”.
Marzi ha poi chiamato sul palco l’assessore Daniela Benelli “assessore passato, presente e futuro della Provincia di Milano”, invitando il pubblico ad andare al voto, che “più che un diritto è un dovere”.
Benelli ha detto “è il quinto anno consecutivo che vengo all’inaugurazione del Festival, e tutte le volte ho una sensazione piacevolissima, come di una città aperta solidale tollerante europea… e allora vi do un messaggio, assolutamente istituzionale: la Provincia di Milano è ORGOGLIOSA di dare il patrocinio e di sostenere questo festival”. Grandi applausi.
E’ seguito un breve “comizio” di Marzi contro la falsa liberalità di certi amministratori, che dicono a parole ma contraddicono coi fatti, esaltando invece quelli che, come la Provincia, ci sostengono da sempre e che “anche se la Provincia non avesse portafoglio, non ci importa, perché il suo patrocinio è quello di un ente pubblico importante che appartiene a tutti, come questo teatro che ci ospita… mentre questa città sembra colpita da un’orrenda patologia che è la totale morte della creatività e dell’immaginazione. … Ma noi siamo qui anche quest’anno per dire delle cose meravigliose che sono l’incredibile film di venerdì, “Flicker” con la macchina dei sogni che ti dà stati di allucinazione senza usare sostanze, la Sally Potter che con l’anteprima italiana di “Rage” dice delle cose vere su Milano, bacchetta New York ma parla di Milano, e ancora il film “Baby Formula” che finalmente polverizza il pregiudizio della Chiesa che dice teologicamente che la sessualità è procreativa ma quando ci sono tantissime mamme che vanno ad Amsterdam, fanno l’inseminazione, e tornano, non hanno nessuna tutela e nessuna garanzia. Non è una questione di natura o contronatura ma solo di amore.”
Daniela Benelli conclude dicendo che “abbiamo bisogno di una città aperta, non xenofoba, che ci faccia sentire in Europa… per questo Milano ha bisogno di voi e noi siamo qui per aiutarvi”.
Interviene Paolo Ferigo presidente di Arcigay Milano che ringrazia Marzi “per il suo impegno culturale e col Festival che è diventata la manifestazione culturale più importante di Milano, conosciuta a livello internazionale e invidiata da molti. Arcigay Milano compie quest’anno 25 anni di attività e vogliamo festeggiare con voi questo anniversario insieme a Loretta Goggi che sarà qui l’11 giugno, giovedì prossimo, per uno spettacolo e un brindisi con tutti voi.”
Sale infine sul palco il regista Brian Pera che presenta brevemente il suo film “The Way I See Things” scelto dagli organizzatori per l’inaugurazione del Festival.
Una scelta coraggiosa, aggiungiamo noi, ma quasi abituale per questo Festival, che punta più sulla qualità che sulla spettacolarità, ottenendo di soddisfare sia il pubblico dei cinefili più esigenti, che quello più popolare che si trova invitato ad esplorare nuovi orizzonti ed emozioni solo apparentemente più complicate.
Il film è un’opera prima di un giovane regista che è anche scrittore, attore, produttore ecc., e che non ha avuto paura di esplorare in profondità la condizione del dolore che può seguire alla perdita di una persona amata. Un giovane perde improvvisamente il suo amatissimo compagno col quale conviveva e si chiude completamente in se stesso (e nella loro casa) senza avere più il coraggio di affrontare il mondo esterno. Saranno gli amici e l’incontro con una comunità terapeutica che abita in un bellissimo ambiente naturale e soprattutto le sincere attenzioni amorose di un componente della comunità, a fargli riprendere interesse alla vita, a se stesso e agli altri. “Bisogna andare oltre il me stesso per scoprire e portare a galla il nostro vero io” è il messaggio di salvezza in cui crede la comunità che lo ospita, e in cui crede anche il bravo regista del film (anche se ci presenta la vita concreta della comunità con molto scetticismo ed ironia). Nel film vengono usati diversi utili stratagemmi tecnici per aiutarci nella comprensione della dinamica intellettuale ed interiore del protagonista, come fare interpretare dallo stesso attore la figura del compagno morto, quella dell’amico che vuole aiutarlo ad uscire dal suo dolore e quella del nuovo amante che incontra nella comunità: per significare che Otto, il protagonista, non riesce a liberarsi del ricordo dell’amico scomparso. Anche l’uso del colore e del bianco e nero ci aiutano a distinguere i momenti dei ricordi felici da quelli reali del dolore, e significativo che tutta la storia dentro la comune sia invece a colori. Il film, grazie anche ai bravissimi attori e ad una musica adeguata, riesce perfettamente a trasmetterci gli stati d’animo dei personaggi, stati d’animo che sono i veri protagonisti del film, lasciandoci solo un poco perplessi riguardo al montaggio finale dell’opera, forse troppo veloce o poco spiegato, che ci mostra un protagonista risolto che riprende anche fisicamente (col taglio della barba) il suo aspetto precedente alla disgrazia. Comunque un’opera con diversi momenti di poesia e di riflessione, uniti da uno sguardo registico partecipe ma nello stesso tempo distaccato e giudicante, che ci aiuta a comprendere come possa essere difficile ma necessaria l’elaborazione di un lutto.
ALCUNE IMMAGINI DELLA SERATA
Il direttore Giampaolo Marzi (a sinistra) |
La troupe di cinemagay.it |
Fullin e B. Bianchi |
Joe Balass |
Mariella e Ivan Scalfarotto (a destra), candidato gay alle europee |
L’assessore Daniela Benelli ccon Marzi |
Paolo Ferigo presidente Arcigay Milano |
Il regsita Brian Pera |