TOGAYS 2009 - IL GIORNO DI GREYSON e di due capolavori da Brasile e Filippine

Due potenti affreschi sociali di popoli in transizione, tra passato e presente, del regista Brillante Mendoza e dell’esordiente e stupefacente brasiliano Matheus Nachtergaele. Greyson (foto a fianco) crea la prima opera lirica cinematografica.

Col passare dei giorni ci accorgiamo sempre più della mancanza di Davide Oberto, instancabile animatore e programmatore del Festival, ancora convalescente dopo un brutto incidente stradale occorsogli alla vigilia della manifestazione (lui, da bravo ecologico, era in bicicletta). I suoi consigli e le sue “dritte” ci aiutavano moltissimo ad organizzarci nel seguire le proiezioni e gli incontri con gli autori (ci informava della presenza, dell’arrivo o del non arrivo dei personaggi più importanti come pure dei titoli che non dovevamo assolutamente perdere, ecc.). Per questo i nostri auguri per una sua completa guarigione sono oltremodo sentiti, interessati e sinceri!

The Houseboy di Spencer Lee Schilly

Questa domenica di incessante pioggia, promotrice non retribuita del Festival, ci ha regalato nel pomeriggio una divertente riflessione su quanto possa essere laboriosa la ricerca del partner giusto, soprattutto se ci affidiamo solo ai luoghi di battuage o ad internet. Il nostro eroe è un giovanotto carino (con un adorabile posteriore), entrato come giocattolo sessuale nella casa di una coppia gay, che pensano bene di utilizzarlo anche come guardiano di casa mentre loro sono in vacanza. L’invidia e la depressione per scoprirsi alla fine abbandonato e solo (e proprio nel periodo delle feste natalizie) lo portano ad una interminabile serie di incontri sessuali (che la regia ci mostra con voluttà nei minimi particolari) che alla fine risultano inefficaci se non peggiorativi dello stato d’animo del nostro, arrivato ormai ad un passo dal suicidio. Il film, un po’ ripetitivo, non abbastanza approfondito e con poco di nuovo, è comunque piacevole e invita ad essere più attenti alle nostre scelte.

A Festa da Menina Morta di Matheus Nachtergaele

Il botto a questo Festival è arrivato quasi in sordina, in un’orario non proprio esaltante (le 18.15), ma comprensibile perchè il film non è facile, praticamente non ha storia, ma è di una tale bellezza e ricchezza di contenuti che ci è sembrato un capolavoro. Il film racconta la vigilia e la giornata di una festa religiosa-commemorativa in un villaggio dell’Alto rio delle Amazzoni. E’ un grande affresco, visivamente stupefacente, che ritrae sia esteriormente che interiormente i membri della famiglia di un fortuito “santone” che da 20 anni viene venerato dopo che un cane gli riportò il vestito strappato e macchiato di sangue di una giovane vergine scomparsa. Il film vuole denunciare la credulità popolare, basata sul bisogno di simboli e riferimenti soprannaturali che possano offrire una via di scampo al dolore e alla sofferenza quotidiana della povera gente (significativa la “rivelazione” del “dolore” come parola guida suggerita dalla santa/santo). Quasi diabolica la scelta di fare del “Santo” una checca isterica e incestuosa (la scena della penetrazione è sconvolgente). La descrizione del fratello inconsolabile della giovane defunta (un bonazzo indimenticabile) è ricca di sfumature e mette a fuoco le tante contraddizioni che serpeggiano tra la gente, una popolazione ancora a metà tra un passato arcaico e un presente tecnologico in arrivo (il marketing della festa). Il film è una festa per gli occhi, e una purificazione per corpo e mente.

“Fig Trees” di John Greyson, terzo regista premiato dal festival

Non finirà mai di stupirci questo John Greyson che ci ha già regalato opere che sono entrate nella storia del cinema (non solo queer) come “Gigli”, “Zero patience” e “Proteus”. Questa volta ha addirittura inventato un nuovo genere, che potremmo chiamare “opera lirica cinematografica”, con un film, “Fig Trees”, che il Direttore Minerba non ha esitato a dichiarare come il più bello di tutto il Festival. D’accordo con lui saranno senz’altro i cinefili melomani, ma anche tutti quelli che sanno incantarsi davanti davanti ad un perfetto connubio di immagini, musica e contenuti.

John Greyson, ricevendo dal Presidente Minerba il premio Speciale a lui dedicato ha detto: “E’ la terza volta che sono presente a questo Festival, la prima è stata con “Zero Patience” (1993) un musical riguardante l’AIDS, mentre il film di oggi, arrivato diversi anni dopo, è una specie di opera lirica sull’AIDS, ed è eccitante e mi rende teso il presentare quest’opera lirica in Italia. Questo Festival ha il merito di aver dato visibilità a registi ed a film non di cassetta, che avevano importanti messaggi da diffondere, come “Westler” che parla del muro di Berlino, ed anche oggi ci sono dei muri da abbattere, non solo fisici ma anche politici e sociali. Fig Trees è un’opera che parla di due attivisti che hanno lottato per l’accesso ai farmaci dei malati di AIDS, il canadese Tim McCaskell e il sudafricano Zackie Achmat, due divertenti amici e colleghi che avevano in comune l’odio verso l’opera lirica. “ John ha voluto dedicare questo film a Wouter Barendrecht, grande amico di Greyson e anche del Festival, deceduto pochi giorni fa a soli 43 anni, fondatore nel 1991 della casa di Produzione Fortissimo Films che aveva distribuito tra gli altri anche il suo “Zero Patience”.

“A Village Romance: Lesbian Love” di Kriszta Bòdis

Un fenomeno molto particolare sta alla base di questo film: pare che molte lesbiche, non sentendosi accettate a Budapest, si trasferiscano in un villaggio ungherese, che quindi è diventato il centro di una comunità lesbica.
La butch Mari Bàn e Mari Kalànyos sono le protagoniste di questo docu-film. Quando le due si incontrano scocca la scintilla, malgrado Mari Kalànyos stia insieme ad un uomo, Buchval, da cui ha avuto tre figli. Mari Kalànyos dunque resta molto sorpresa dall’attrazione che prova nei confronti dell’altra Mari, fatica a comprendere e ad accettare. Le due Mari riescono infine a dichiararsi il loro amore, che è un sentimento puro, vero, quasi adolescenziale; ma sacrifici e difficoltà sono alle porte.
Intanto Buchval ovviamente rifiuta di separarsi dalla moglie, che subisce continue minacce e violenze. Inoltre gli abitanti del villaggio, se già avevano maltollerato l’arrivo della prima coppia lesbica da cui è nata la comunità, reagiscono molto male quando si sparge la voce che una “loro” donna sia stata “convertita”. Eppure pare che ci sia un pregiudizio ancora più forte: Mari Kalànyos è una zingara e in quanto tale non può sperare nemmeno nell’aiuto delle forze dell’ordine.
Le premesse per la coppia non sono buone, ma hanno il loro amore. Riusciranno a superare tutto e restare unite?
“Lesbian Love” è presentato come documentario, e in effetti è girato come tale, tuttavia non tratta della vita nella comunità lesbica ungherese ma del travagliato rapporto fra due donne in particolare. Ci lascia dunque a chiederci come sia la vita di questo villaggio, quali siano i rapporti sia all’interno che all’esterno della comunità.
Inoltre l’atteggiamento dell’Ungheria nei confronti dell’omosessualità è poco indagato e questo film non aiuta, anzi lascia perplessi, stupiti: sembra che i pregiudizi siano più forti nei confronti dei rom piuttosto che degli omosessuali. Comunque l’idea di partenza è bella, anche se poi poco approfondita. (G.B.)

“Serbis” di Brillante Mendoza

Altro splendido film filippino presente in questa edizione del Festival, l’unico con un regista etero, che è però molto attento alle nostre problematiche. In questo film, presentato con successo a Cannes, l’omosessualità rimane sullo sfondo, ma completa efficacemente la non semplice rappresentazione del chiassoso ambiente di un cinema porno a gestione famigliare. Il cinema è usato come luogo d’incontri e di prestazioni sessuali soprattutto gay (i “servizi” del titolo), ma al regista interessano soprattutto le dinamiche e i personaggi che compongono la suddetta famiglia, dove la matriarca ha una causa in corso contro il marito fedifrago e bigamo, un figlio difende il padre anzichè la madre, la figlia sposata tradisce il marito, una nipote sembra interessata a prostituirsi, un’altra rimane in cinta da un ragazzino a cui avevano dato lavoro, ecc. ecc. Ma più delle singole storie al regista interessa trasmetterci l’atmosfera e la vivacità (curiosa la scenetta della capra che entra nel cinema) di un ambiente della piccola borghesia filippina in forte crisi di valori tra passato e futuro.

Video della premiazione di John Greyson
Margien Rogaar presenta il corto "Zucht"

 

Alcune immagini dal Festival
La premiazione di John Greyson
John Greyson
Il bacio di Santoro e Greyson
Alessandro Golinelli in veste di spettatore
Minerba introduce l’omaggio a Dorothy Porter alla libreria Feltrinelli (a destra Elena Varvello)

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