TRA CRONACA, FILM E REALTA'

Presentiamo il film “Prayers for Bobby” di Russell Mulcahy, su una storia di omofobia religiosa realmente accaduta. Aggiungiamo una drammatica lettera (quasi una preghiera laica) inviataci da un nostro collaboratore sull’omofobia dei nostri giorni.

Dopo dieci anni di gestazione è stata finalmente realizzata come film tv, ma con un cast eccezionale, la storia di Bobby Griffith, un adolescente gay suicidatosi il 28 agosto 1983 a Walnut Creek (California) e della madre Mary fervente cristiana. Il film si basa sul libro omonimo di Leroy Aarons del 1995, diventato un classico della letteratura gay.

Breve sinossi del film “Prayers for Bobby”:
Mary (Sigourney Weaver) è una devota cristiana che alleva i figli secondo gli insegnamenti della Chiesa Presbiterana. Quando il figlio Bobby (Ryan Kelley) confida al fratello maggiore di essere gay, e il segreto arriva alle orecchie della madre, l’intera famiglia entra in subbuglio. Mentre i fratelli e il padre di Bobby in breve tempo si adattano alla cosa, Mary crede invece che Dio possa guarirlo da quello che lei considera un grave peccato, e convince Bobby a pregare con insistenza e a cercare conforto nelle attività della chiesa, sicura che potranno cambiarlo. Bobby, disperato per la mancata approvazione materna, fa tutto quello che la madre gli chiede, ma l’aperta condanna dell’omosessualità da parte della chiesa e dei fedeli fanno crescere in lui una profonda depressione e un senso di isolamento ai quali si aggiunge un senso di colpa per il dolore che arreca alla madre. La sua angoscia, in piena depressione, lo porta al punto da avere ribrezzo di se stesso, dandosi tutta la colpa per non essere il figlio “perfetto”, e conducendolo al suicidio. Davanti a questa tragedia Mary inizia a porsi domande sulla fede, interrogando il pastore sul perché di questa tremenda perdita, senza ricevere risposte convincenti. Inizia così un lungo percorso che la porterà fin dentro la comunità gay, dove troverà un inaspettato aiuto.

Abbiamo voluto dare un particolare rilievo a questo film che negli USA verrà trasmesso in prima visione il prossimo 24 gennaio come evento speciale del canale Lifetime, perché ci sembra che affronti argomenti ancora purtroppo attualissimi nell’odierna società italiana. Ne dà prova la lettera che ci ha inviato un nostro giovane collaboratore che riportiamo più sotto.

Uno dei produttori del film, Daniel Sladek, ha dichiarato che “fare un film su problematiche di fede e omosessualità, su adolescenti portati fino al suicidio e sui diritti dei gay è come avere in mano una patata bollente”.
Sigourney Weaver, la protagonista del film come madre di Bobby, ha detto: “Conosco famiglie molto religiose che tuttora credono che l’omosessualità sia un abominio. Spero che questo film aiuti ad aprire gli occhi, almeno alle nuove generazioni”.
La vera Mary Griffith, che vive ancora a Walnut Creek, dice oggi che “è solo questione di ignoranza. Io credevo in quello che diceva la mia chiesa sulle persone gay. Io posso perdonarmi per questo. Ma ho molte difficoltà a perdonare la chiesa”.

Chi ha già potuto vedere il film in anteprima lo ha definito il film più bello fatto sino ad oggi su questi temi, girato in modo originale, senza lasciare spazio a melodrammi e con interpretazioni che vinceranno sicuramente degli Emmy. Niente lascia intendere che si a un film “televisivo”.

Il film avrebbe dovuto essere prodotto per il grande schermo, ma le reticenze dei finanziatori hanno convinto gli autori ad accettare l’offerta del canale tv Lifetime. Il rischio era di doverlo rimandare ancora nel tempo e, dichiara il regista, “abbiamo preferito rinunciare a grandi guadagni pur di poterlo realizzare subito e con la massima libertà”.

Il cast è di primordine con una star internazionale come Sigourney Weaver, Susan Ruttan (LA Law), Dan Butler (Frasier) che è gay dichiarato e interpreta un prete che Mary contatta in un’altra chiesa (Metropolitan Community Church), la star di MTV Scott Bailey, che intrepreta David, il ragazzo di cui Bobby è innamorato.
Russell Mulcahy, il regista, ha diretto diversi film, a iniziare dalla serie Highlander, e alcuni episodi di Queer as Folk, oltre a molti video musicali dei Duran Duran, Elton John, e George Michael.

Di seguito la suggestiva e quasi drammatica lettera inviataci da Marino Buzzi, un nostro giovane collaboratore che, senza collegarsi direttamente al film, ne ripercorre le tematiche facendo, purtroppo, riferimento alla realtà dei nostri giorni.

Per troppa gente ancora, in questo paese ma non solo, l’omosessualità viene vista come una perversione. Alcuni la considerano un momento provvisorio della vita (in particolare nell’età adolescente) altri invece la vedono come una vera e propria malattia.
In questo contesto si è sviluppata la tragedia di Ana Dragisevic una giovane lesbica di Fiume (Croazia) che è stata rinchiusa all’età di sedici anni in una casa di cura perché considerata “pazza” dai genitori per via della propria omosessualità. I genitori di Ana, con la complicità della responsabile dell’istituo psichiatrico, sostenevano che la ragazza fosse drogata e, quindi, andava curata. Il resto è affidato alle parole di Ana che nega di aver mai fatto uso di droghe e che svela il vero motivo del ricovero legato, appunto, al suo orientamento sessuale. La ragazza ha dichiarato che per cinque anni (immaginate l’impatto devastante che questa storia può aver avuto sulla sua vita) è stata sottoposta a isolamento, costretta in camicie di forza, continuamente sedata per fare in modo che non si ribellasse.
Fortunatamente la corte distrettuale di Fiume ha permesso ad Ana di uscire dall’ospedale e ha messo sotto inchiesta la responsabile dell’istituto.
Ora mi chiedo: che razza di genitori possono arrivare a fare questo a un figlio o a una figlia?
Noto che, soprattutto negli ultimi tempi, quella di far passare l’omosessualità non solo come elemento contro natura (già, direi, ridicola come ipotesi visto che l’omosessualità è praticata in natura) ma anche come “malattia” è diventata la strategia più in voga fra gli omofobi più incalliti e in una parte della chiesa.
Ci dicono che l’omosessualità porta disordine e caos.
Ho ascoltato le sciocchezze più incredibili, qualcuno sostiene che se fossimo tutti omosessuali il mondo finirebbe a causa della mancanza di figli (come se gay e lesbiche non ne potessero avere). Facile rispondere che, ovviamente, non siamo tutti omosessuali e che a nessun omosessuale è mai venuto in mente di cercare di “minacciare” il tanto caro “ordine delle cose”. A questo punto, fesseria per fesseria, potrei anche sostenere l’ipotesi che l’omosessualità sia stata voluta dalla natura per equilibrare le cose. Pensate se ogni singola persona del mondo potesse avere dei figli. Già ora ci sono paesi in cui il sovraffollamento porta a quotidiani decessi nei minori (si pensi all’Africa per esempio dove, anche a causa della propaganda deleteria della chiesa contro il preservativo, muoiono quotidianamente decine di bambini per mancanza di cibo o per malattia) l’omosessualità, a questo punto, entra in gioco con tutte le proprie potenzialità.
Vorrei ricordare, inoltre, che l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha cancellato, l’omosessualità dal suo Manuale diagnostico delle malattie mentali nel 1993 stabilendo, al di là di ogni dubbio, che l’omosessualità è da considerarsi “una variante non patologica del comportamento sessuale” ed in sostanza, non esiste alcuno studio su rivista scientifica che supporti la “terapia riparativa” o i tentativi di “curare” l’omosessualità e quindi che l’omosessualità non è una malattia.
Insomma quella della malattia mentale è l’ultima spiaggia, visto che l’Europa sta legittimando i rapporti omosessuali anche a livello legislativo e visto che l’accettazione degli omosessuali stessi sta cominciando ad avere una propria positività a livello sociale (cosa che provoca grossi mal di pancia alla chiesa) si ricorre al metodo più vecchio del mondo.
Insinuare il dubbio, far paura a coloro che si considerano “normali”.
Vorrei, a dire il vero, che le associazioni di medici, psichiatri e psicologi facessero maggiore informazione e prendessero decisioni chiare chiedendo l’estromissione dall’ordine per le persone che praticano “cure” nei confronti dell’omosessualità.
Io continuo a non capire questo terrore nei confronti degli omosessuali. La paura del diverso ha portato, per secoli, a morte, soprusi, distruzione e violenze di ogni genere.
A questo punto se la gente non considera “normale” la mia omosessualità io chiedo di essere rinchiuso.
Altrimenti pretendo di essere trattato come tutti gli altri esseri umani.
Se c’è qualcosa che provoca danni alla società nella mia condizione allora, forse, è giusto che io venga punito.
Altrimenti pretendo gli stessi diritti di tutti.
Lo stesso rispetto.
Se la mia condizione è un pericolo per la società io lo voglio sapere.
Altrimenti smettetela di insinuare dubbi.
Ci vuole chiarezza, una volta per tutte.
Chi pensa di poter “guarire” l’omosessualità con la violenza, con la preghiera, con l’ipocrisia, con rapporti forzati con l’altro sesso forse ha qualche problema.
Chi, da presunto eterosessuale, trascorre il proprio tempo a pensare all’omosessualità e a vedere sporco ovunque o, addirittura chi, non essendo coinvolto direttamente, sente la necessità di “guarire” una normale condizione sessuale ha decisamente dei problemi perché, se l’omosessualità non è una malattia, l’omofobia lo è eccome.
Allora basta con atteggiamenti violenti e discriminatori.
Basta con le “rieducazione” forzata che rovina, non solo le vite degli/delle omosessuali ma anche di coloro che stanno loro vicini.
Che vengano presi provvedimenti seri contro coloro che pretendono di far “guarire” gli/le omosessuali.
Altrimenti rinchiudeteci tutti

Marino Buzzi

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Qui sotto alcune immagini dei veri protagonisti della vicenda narrata dal film “Prayers for Bobby”

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