SESTO GIORNO AL TOGAY 2008

Oppedisano presenta “Testosterone”, Alaska la regina del Glam, incantati da Julian Shaw (lavoro compreso), “Dos Miradas” un gioiello spagnolo, “Breakfast with Scot”

Proseguono con successo le presentazioni di libri alla Feltrinelli organizzate dal festival. Oggi era il turno del libro “Testosterone” del fotografo Joe Oppedisano (presente col modello Colton Ford) a cui il festival dedica un omaggio. Il direttore Minerba, nell’introduzione all’incontro, ha specificato come sia stato proprio questo titolo, giudicato troppo spinto, a costringerli ad abbandonare la sede tradizionale dell Fnac e a spostare questi incontri con gli autori alla Felrinelli, dimostratasi all’opposto molto felice di accoglierci. Il volume, prima monografia dell’autore, raccoglie le immagini più belle pubblicate nella sua carriera e in America è andato esaurito in poche settimane.

Tra le anteprime presentate oggi al festival, delle quali abbiamo purtroppo perso “Le Gout du neant” che concorre per il premio “Nuovi sguardi”, segnaliamo il documentario in concorso “Kenedi is Gettin Married” del serbo Zelimir Zilnik, che in realtà è una fiction costruita in modo semplice ma spontaneo, sulle peripezie del protagonista, un aitante serbo di etnia rom, senza lavoro e fortuna che per fare fronte ai debiti contratti per la casa, si prostituisce prima con le donne poi anche con gli uomini. Tra questi ultimi conosce un turista tedesco che per fargli ottenere un permesso di soggiorno in Germania, sarebbe disposto anche a sposarlo. L’irruenza sessuale del nostro eroe complicherà le cose. Voto 7.

Evento della giornata era la presentazione di “Alaska, La Reina del Glam”, video-collage curato da Giovanni Minerba, Paolo Rumi e Luis David Gonzales Alonso dell’artista e cantante Alaska, personaggio mito in Spagna e Sudamerica, che “ha fatto per la cultura pop spagnola quello che Almodovar ha fatto per il cinema”.

Alaska ha ringraziato il festival ed il pubblico con queste parole: “E’ un onore per me essere stata invitata a un festival tra i più importanti e longevi del mondo. La prima volta che ho visto dei film a tematica gay avevo 14 anni circa, film come Pink Flamingo in una sala di Madrid. E’ stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi. Il primo film a cui ho partecipato è stato anche il primo film di Almodovar “Pepi, Lucy, Bom e le altre ragazze del mucchio”. Oggi ci fanno vedere una serie di video musicali che ho realizzato col mio gruppo e che saranno una sorpresa anche per me. Questi video rappresentano una serie di tappe nella mia vita musicale. Vedremo tutte le persone che mi sono state professionalmente vicine in tutti questi anni: ballerini, travestiti e gli amici più cari che ammiro. Vedremo anche un pezzettino di un programma al quale ho lavorato dal 1985 al 1988 che si chiama “La bolla di cristallo”, un programma molto famoso in Spagna. Posso dire di essere la resposabile delle ultime generazioni cresciute o “malcresciute” in Spagna. Nella targhetta che il festival mi ha consegnato c’è l’occhio di Divine che io vedo come un membro della Santa Trinità, che ha per padre John Waters, per figlio Tim Barton e per Spirito Santo Divine.”

Accolto con meritato entusiasmo il documentario in concorso “Darling! The Pieter-Dirk Uys Story” del giovanissimo australiano Julian Shaw. Il film ci mostra il comico sudafricano bianco, Pietr-Dirk, figlio di intellettuali ebrei tedeschi fuggiti dal nazismo, famosissimo in patria, un tempo impegnato in prima linea nella lotta all’apartheid ed ora nella campagna di informazione sull’aids nelle scuole. Il documentario, nonostante affronti in modo rigoroso il tema dell’aids, risulta molto divertente (irresistibile è il duetto tra il comico e l’arcivescovo Desmond Tutu). Stupisce che l’autore di questo piccolo capolavoro (nostro candidato al premio come miglior documentario) sia un ragazzo di soli 22 anni e che ne aveva 15 quando propose a Pietr-Dirk il suo progetto. Voto 9.

Riportiamo una sintesi del Q&A al regista Julian Shaw presente in sala:

D. E’ impressionante vedere, vista la tua giovane età e l’assenza di una formazione specifica, come tu sia riuscito a realizzare questo lavoro. Hai avuto l’aiuto di un tecnico della fotografia o un supporto alla regia?
R. Non ho avuto molto aiuto in questo progetto, semplicemente volevo farlo con tutto me stesso. Così ho negoziato con la scuola in modo da avere un po’ di tempo libero, qualche giorno alla settimana. E sono partito dall’Australia per incontrare incontrare l’artista. In realtà ho utilizzato dei soldi che mi sono stati forniti dal governo australiano per fare questo lavoro. Ho cercato di fare tutto il possibile per raggoingere il mio obiettivo. Adesso sto pensando anche ai miei studi e vorrei continuare a fare la mia vita da studente.
D. Che tipo di spettacolo portò quando venne in Australia?
R. Feci due spettacoli, il primo all’Opera House e il secondo era una versione personale di Evita, ma fu soprattutto il primo a colpirmi. Ciò che mi sorprese fu il tipo di relazione che sapeva costruire col pubblico e soprattutto coi ragazzi, ed essendo io molto giovane ne rimasi molto colpito. Ci vorrebbero oltre due ore per raccontare tutto il lavoro che Peter ha svolto come comico cabarettista e attore contro l’apartheid, ma ho preferito concentrarmi soprattutto sui lavori degli ultimi anni perchè tutti i temi trattati nei suoi spettacoli sono ancora molto attuali.
La regista Gwen Haworth (She’s a boy I Knew, in concorso) è intervenuta facendo i complimenti a Julian Shaw e chiedendo quale rapporto si fosse creato tra il regista Julian e l’artista Pietr.
R. Questa è stata per me la più grande avventura della mia vita. Semplicemente ho seguito Pietr in modo molto discreto. Ho voluto ascoltare i suoi consigli: lui sostiene che in ogni lavoro il 50% deve essere improntato alla commedia, l’altro 50% deve venire da dentro, ovvero le cose che io vedevo e di cui volevo parlare. Semplicemente sono stato ispirato dal suo personaggio, da come lui si comporta e lavora, ed ho cercato di fare così anch’io.
D. Vorrei sapere se ci sono state reazioni pubbliche al film perchè contiene delle accuse molto esplicite alle politiche sanitarie in Sudafrica.
R. Uno dei messaggi di Pietr è che non si muore del virus ma della mancanza di informazione. Questo film cerca di sollevare delle domande e quando si comincia a porsi dei dubbi si è spinti a cercare le risposte.
D. Com’è stato il rapporto con Mandela?
R. Non sono sicuro che Mandela abbia visto il film ma so che è stato visto dal vescovo Desmond Tutu che si è congratulato con me per il lavoro.

Un’altro gioiello della giornata è stato il lungometraggio in concorso “Dos Miradas” dello spagnolo Sergio Candel, un’opera intimista e minimalista, semplice e profonda nello stesso tempo, che con solo tre protagonisti sullo schermo, due ragazze e il deserto di San Pedro in Cile (meravigliosamente fotografato), ci porta all’interno di una controversia sentimentale giocata da due lesbiche (splendide e bravissime), una delle quali deve probabilmente superare una forte omofobia interiorizzata. Voto 8.

Riportiamo una sintesi del Q&A condotto da Cosimo Santoro col regista Sergio Candel

Il regista dopo avere ringraziato il festival che gli offriva l’occasione di presentare per la prima volta in Italia la sua opera, ha voluto precisare che si tratta di una produzione molto piccola. L’intera troupe era composta da solo 5 persone, oltre alle due attrici e a lui stesso c’erano un cameramen e il tecnico del suono. E’ stato un grosso sforzo per tutti, l’atmosfera era molto intima e tutto il lavoro è stato vissuto in profondità, soprattutto dalle attrici. E’ un film molto lento che si sviluppa piano piano.
D. Volevo sapere come è nata l’idea di questo film e se già conosceva le protagoniste, te lo chiedo perchè alle due attrici è richiesta una grande intimità.
R. In primo luogo l’idea di questo film è nata innanzitutto intorno allo spazio. Alcuni amici erano stati nel deserto del Cile e mi avevano dato questa idea. Hanno lavorato con me due attrici che erano anche due mie amiche perchè non avevo più soldi. Il film racconta la storia di questa relazione omosessuale che ho voluto ambientare nel deserto in modo che le due ragazze non potessero scambiare opinioni o parlare con amici o con la madre. E’ una situazione al limite perchè le ragazze sono nel deserto e questo spazio le porta alla solitudine e alla riflessione. Io conoscevo già una delle due attrici perchè avevamo abitato insieme, ma lei non conosceva l’altra ragazza. Si sono comunque trovate subito molto bene e hanno dormito insieme. Spero di essere riuscito a trasmettere tutto questo nel film.
D. Vorrei sapere se tutti i suoni sono stati registrati in presa diretta o se è stato sonorizzato in post produzione.
R. Il suono è in presa diretta e non è stato aggiunto nessun effetto. Nel deserto non è difficile registrare questi suoni perchè lo spazio è molto ampio.
D. Vorrei sapere come lavori con gli attori e come sviluppi la storia.
R. Cominciando dall’inizio della storia abbiamo lavorato giorno per giorno. Ad esempio la sequenza della colazione è stata girata 14 volte e finisce quando Marta se ne va piangendo verso la camera. Quello che mi sono limitato a fare è stato di proporre una situazione che le attrici hanno poi sviluppato. Il finale è stato girato nel pomeriggio perchè non avevamo più tempo disponibile. Ho comunque lasciato grande spazio alla loro improvvisazione.
D. Quanto tempo hai utilizzato per girare il film?
R. Quindici giorni
D. Nei tuoi film l’immagine assume una grande importanza, più della parola. Credo che questo dipenda dalla tua formazione. Puoi dirci qualcosa in merito?
R. La prima cosa che mi ha insegnato la scuola di cinema di Madrid è che un film è una storia raccontata per immagini. Alla scuola di Madrid ho studiato i vecchi maestri italiani, Fellini, Bertolucci e Pasolini. Certo oggi è più difficile fare questo tipo di cinema. Ho studiato anche montaggio.

La giornata è terminata in sala grande con la proiezione fuori concorso di “Breakfast with Scot” di Laurie Lynd, un film che ha avuto una difficile storia produttiva per la polemica sorta in America
per il permesso di usare logo e nome che la Toronto Maple Leafs, squadra di Hockey, ha concesso ai produttori di questo film. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Michael Downing, racconta della coppia gay formata da un ex giocatore di hockey e dall’avvocato della sua squadra che adottano un bambino di 11 anni (nel libro erano invece un editore e un chiroterapeuta).
Il Los Angeles Times riporta le dichiarazioni di Brian Rushfeldt, direttore della Canadian Family Action Coalition, che dice “Questo è l’ennesimo tentativo di normalizzare il comportamento omosessuale. Si vuole promuovere l’omosessualizzazione dei giovani e dei bambini”. Risponde Bernadette Masur, vicepresidente dell’ufficio stampa della squadra, affermando che l’esecutivo della Leafs pensa che questa sia un’ottima opportunità “certe persone non riescono a comprendere il significato di questa storia, la vicenda di una famiglia americana contemporanea, come ce ne sono molte, che cerca di allevare un figlio nel miglior modo possibile”.
La commedia ha un impianto molto accattivante studiato per un pubblico composito che potrebbe renderla appetibile anche alla nostra timorosa distribuzione. Voto 7.

Davide Oberto, Martin Busker
Dennis Shinners
Matt Schuneman
Julian Shaw
Julian Shaw
Julian Shaw
Colton Ford, Giovanni Minerba
Joe Oppedisano
Giuseppe Savoca
Daniele Salaris
Davide Oberto, Daniele Salaris
G. Minerba, Alaska
G. Minerba, Alaska

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