FINALMENTE IN USCITA "RIPARO" DI MARCO SIMON PUCCIONI

Da venerdì 18, dopo un anno di ingiustificata latitanza, esce nelle nostre sale uno dei più bei film a tematica omosessuale prodotto in Italia in questi ultimi anni. Imperdibile.

Esce finalmente anche in Italia, distribuito in 16 città capoluogo dal 18 gennaio 2008, il film “Riparo” di Marco Simon Puccioni presentato con grande successo alla Berlinale del 2007. Il merito di questa attesissima distribuzione italiana va alla neonata società Movimento Film di Mario Mazzarotto che si propone di “offrire una valida alternativa per produzioni non allineate, cioè per quei film indipendenti che non fanno riferimento ad esclusive logiche commerciali”.
Il film, già più volte segnalato su queste pagine per le sue qualità artistiche e contenutistiche, gode già di un notevole successo internazionale essendo stato applaudito e premiato in più di 50 festival e acquistato da Paesi come la Francia, la Spagna, il Nord America, ecc.

“Riparo” racconta le esperienze di persone comuni che cercano amore, sicurezza, protezione e accettazione, e racconta anche la formazione di una famiglia alternativa e il suo fallimento causato dalle condizioni economiche, culturali e personali. Il gioco degli attori, premiato in diverse occasioni, si sviluppa tra le varie polarità che ne determinano l’identità: nativo contro straniero, etero contro gay, ricco contro povero. I protagonisti di questa storia sono tre: Anna, una borghese benestante di 35 anni, proprietaria con la madre e il fratello di una fabbrica del nord-est, che ha una relazione d’amore con la venticinquenne Mara, una delle sue operaie. E Anis, un ragazzo magrebino che irrompe nella loro vita.

Di ritorno da una vacanza romantica in Tunisia, Anna e Mara si rendono conto che un giovane immigrato si è infilato nella loro automobile e ne ha approfittato per superare la frontiera. Anis, attratto dall’Europa come migliaia di suoi coetanei, è in cerca di una vita migliore. Dopo Poco dopo il loro incontro casuale, aiutato dal desiderio inespresso di Anna di avere un figlio, Anis si ritrova accolto a casa delle due donne. Mara, che fa l’operaia nella fabbrica della famiglia di Anna, diffida di lui e mal sopporta la sua intrusione in casa, ma ciò nonostante i tre sembrano trovare un fragile ritmo domestico. Il mondo esterno mina la stabilità di questa famiglia per caso : Anna deve sopportare la fredda disapprovazione della madre, Mara il disprezzo del padre morente e Anis tenta di adattarsi alla sua nuova vita mentre prova a capire come sia possibile che due donne senza marito dormano nello stesso letto. La morte del padre di Mara rompe l’equilibrio precario e la dolce intraprendenza di Anis causa una catena di gelosie e sospetti che portano Anis a perdere il paradiso appena conquistato. Anna cerca di mantenere il controllo della situazione, ma alla fine anche lei diventa vittima delle situazione.

Mounir Ouadi, che interpreta Anis, è un ragazzo marocchino il cui percorso di vita ha molte assonanze con il suo personaggio. Mounir è arrivato in Francia con suo padre a quattordici anni; dopo un breve periodo è stato rimandato in Marocco per problemi di adattamento. Dopo sei mesi di umiliazioni decide di tornare in Francia da solo. Arrivato ad Arles, nel sud della Francia, inizia un percorso di devianza sociale che si conclude solo quando ha la fortuna di trovare sul suo cammino assistenti sociali che lo aiuteranno a valorizzare il suo talento e la sua intelligenza. Mounir ha una istintiva comprensione della voglia di Anis di conquistarsi il rispetto sociale e interpreta i suoi gesti e le sue parole con una verità documentaria (M.S.Puccioni)

Dichiarazioni degli autori:

Marco Simon Puccioni, regista

« E’ la storia di due donne la cui relazione sentimentale viene sbilanciata dall’arrivo di un ragazzo maghrebino che, per scappare dal suo paese, si na sconde nella loro auto mentre tornano da una vacanza. Ma non lo definirei un film sull’omosessualità o sulla condizione degli emigrati, si tratta piuttosto di un confronto di tre psicologie apparentemente accomunate dall’emarginazione che, come accade spesso anche nella realtà, anziché allearsi finiscono per entrare in conflitto tra loro. E comunque ho avuto non poche difficoltà a trovare due attrici italiane disposte a portare sullo schermo la storia d’amore tra due donne. Invece Maria de Medeiros e Antonia Liskova hanno accettato senza problemi » .

“Per me Riparo significa dignità: casa, lavoro, affetti e amore. In una seconda accezione, riflette la rottura della relazione con la società dei tre protagonisti, che sono figli di un dio minore, accettati solo parzialmente”.

“La caratteristica principale del mio lavoro e’ uno sguardo sull’individuo, sulle sue scelte personali tra cui quelle sessuali. Io amo la fotografia e dedico sempre grande attenzione alle immagini. E’ proprio da questo amore per la fotografia che e’ scaturito il mio desiderio di fare il regista. Ma faccio film per gli attori e sono consapevole che sono loro piuttosto che le immagini a comunicare”.

“Non ho affrontato l’omosessualità da una prospettiva sociologica o ideologica, per non fare prediche allo spettatore. Piuttosto, ho cercato di far emergere questa tematica da un’attenzione pasoliniana per il proletariato e le persone ai margini”

“Non ci sono nel film riferimenti precisi e diretti a Pasolini. E’ di certo uno dei registi che mi hanno maggiormente influenzato, insieme a Tarkovski, a Fassbinder, ad Antonioni e Fellini. Forse il lato pasoliniano che alcuni notano sta nell’interesse alle problematiche della classe proletaria piu’ di quella borghese. Volevo dei personaggi che fossero umani ma che non potessero prescindere alla loro gabbia sociale.”

«Non ci sono riferimenti a Pasolini se non un approccio al reale, non intellettualistico nei confronti di un ragazzo preso dalla strada. L’ho trovato in Francia, un ragazzo con una serie di problemi nei confronti della società. Aveva una esperienza diretta e ha dato la sua forza al film e la sua leggerezza di adolescente, prende distanza dalla miseria della sua realtà quotidiana. Non ha mai potuto partecipare alle proiezioni per una serie di problemi di devianza, doveva essere qui anche oggi, mi ha promesso che sarebbe arrivato in macchina dalla Francia, ma come altre volte non ha mantenuto gli impegni. Corre ancora nel mais, come nella scena finale del film, torna ad essere invisibile, ha un difficile rapporto con la società. Eppure ha dato tanto a questo film».

«L’idea iniziale era più connotata verso il sociale, ma questo sapeva un po’ di predica, la porta d’ingresso verso il pubblico è stata invece la psicologia personale, emotiva, raccontare la vita dei protagonisti. Il titolo «Riparo» l’ho ideato io nell’accezione di ricerca della dignità, come casa, affetto, lavoro, amore che i personaggi stanno cercando. In italiano, mi faceva notare Gianni Amelio, potrebbe significare anche riparare, aggiustare qualcosa di rotto. È vero: i personaggi sembrano figli di un dio minore, sono accettati, ma in parte».

“Ho tentato una rappresentazione che fosse rispettosa dell’umanità dei personaggi e dell’ambiguità della realtà, quindi non invasiva, rinunciando ad un linguaggio più complesso, pur di mettere a proprio agio lo spettatore e farlo avvicinare il più possibile all’intimità dei protagonisti, per aiutarlo a guardare senza giudicare a priori. Forse è anche per questo che ho scelto di lasciare aperto il futuro di Anna, Mara e Anis, lasciando allo spettatore immaginare quali possano essere gli sviluppi di una situazione che non cerca la morte, ma la trasformazione.”

Maria de Medeiros, protagonista

«Questo film ha molti livelli di lettura, dice, innanzi tutto il triangolo, e poi la relazione come rapporto di classe, ma soprattutto è un film politico con interessanti aspetti pasoliniani e una lettura metaforica sull’Europa ricca che può permettersi di avere buoni sentimenti verso il sud povero. Anna rappresenta la ricchezza dell’Europa, ha un potere smisurato che non si può misurare con quello degli altri. Questo potere lei lo ha e lo usa»

«È un film politico proprio nella sua capacità di analizzare il potere pure nella relazione amorosa. E si può anche leggere come la metafora dell’Europa ricca che può permettersi di essere generosa con i più deboli, salvo poi esercitare il suo potere».

“Per me Riparo è stato un vero regalo. Quando Marco e Mario mi hanno presentato la sceneggiatura, non credevo di poter essere io l’interprete: troppo distante dal Friuli. Poi, ho lavorato molto sull’italiano e l’accento, e mi sono identificata in un personaggio che sentivo vicino. Ho amato i molteplici livelli della storia: il triangolo amoroso che mi ricorda Love Streams di Cassavetes; la relazione di potere nel rapporto amoroso, che fa di Riparo un film politico; l’aspetto pasoliniano e le letture metaforiche; la generosità e i buoni sentimenti che l’Europa può spendere nei confronti del Sud del mondo”.

«Sarebbe bello se alla fine del film il pubblico avesse l´impressione di essersi guardato allo specchio e riconoscesse le contraddizioni che abbiamo, noi della ricca Europa, con una piccola riflessione sulla possibilità di cancellare la paura di aprire le porte agli altri, a chi è “diverso” da noi».

“È anche un film nel quale credo molto per le cose che dice. Perché la vera famiglia è quella che scegliamo, non quella che la genetica sembra volerci imporre”.

Alcuni giudizi della critica:

“Un giallo dei sentimenti che tocca i nervi scoperti di una società cosmopolita.” (Giorgio Gosetti)

Opera seconda del romano Marco Simon Puccioni (44 anni, rampollo della CalArts losangelina), animatore di un collettivo che si batte per un «cinema senza confini», il film si avvale del prezioso e rapsodico lavoro alle luci, ora timbriche ora tonali e sensuali ora lisergiche, dell’italotunisino Tarek Ben Abdallah, adatto alla rapsodia transculturale e multisessuale. (Il Manifesto – Roberto Silvestri)

Molto meglio, allora, il terzo film italiano presente qui a Berlino, Riparo di Marco Simon Puccioni, nella sezione Panorama. Opera seconda che sconta qualche ingenuità produttiva (Maria de Medeiros, pur brava, non è molto credibile come friulana) il film racconta lo strano incontro, dalle parti di Udine, tra una coppia di lesbiche (la borghese de Medeiros e la proletaria Liskova) e un giovane immigrato clandestino (Mounir Ouadi). Tensioni personali, pregiudizi sociali e paure razziali si intrecciano in un convincente spaccato della provincia italiana dove il denaro è ancora potere e la rabbia esplode all’improvviso. (Corriere della sera – Paolo Mereghetti)

Uno di quei film che all’inizio sembra doversi sgranchire le gambe per poi correre su una pista che attraversa una lunga serie di marginalità, tutte prepotentemente ancorate al nostro tempo… Tra reciproche diffidenze interculturali, omosessualità mai accettate, ipocrisie di facciata e la precarietà di lavori sull’orlo del licenziamento, il racconto sfrega dignitosamente i nervi scoperti di quel piccolo-mondo, riuscendo a capovolgere le sicurezze tanto cercate in una resa dei conti capace di sbrecciare ogni legame di finto-aiuto. Là dove il senso di emarginazione diventa la crepa in cui finisce per scivolare la gente che non ha potere contrattuale nei confronti della propria vita. (L’Unità – l.b.)

Puccioni è una delle nuove voci del cinema italiano che possono a merito definirsi “impegnate” a tutto tondo: lo dimostra da qualche anno con i suoi documentari e vari progetti volti tanto a tematiche socio-umanitarie, quanto allo studio di nuovi linguaggi per una cinematografia che sappia indagare i patrimoni più intimi dell’essere umano. In Riparo la duplice vocazione al pubblico e al privato si allinea sulla trama di un film che ha, tra i vari pregi, quello di non fornire mai una rappresentazione semplicistica delle tematiche complesse che affronta. (Il Riformista – Anna Maria Pasetti)

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