"BAREBACK" DI PAUL VECCHIALI

Dopo l’anteprima mondiale al festival gay di Torino, è ora disponibile sul sito www.tichofilm.com, “Bareback” l’arditissimo film del grande autore gay francese Paul Vecchiali

Paul Vecchiali è senz’altro uno dei nostri registi preferiti, gay dichiarato e primo nel mondo a fare un bellissimo film, “Encore” (1988), tutto centrato sull’aids, è finalmente tornato in questi ultimi anni a girare film, dopo una lunga pausa forzata per mancanza di fondi.

In una bella intervista di Silvana Silvestri del 2005, intitolata “Il guerriero dell’amore”, a una domanda su Pasolini che aveva ammirato il suo film «Femmes Femmes», Vecchiali risponde “Quando vide il film mi disse: «Ho capito di non essere un cineasta». Mi chiese se volevo fare un film con lui, in cui avrebbe fato tutta la preparazione, trovato gli attori (era un film con gli Artisti Associati). Lui si sarebbe seduto a vedermi lavorare, nient’altro.” E su Godard, che l’intervistatrice dice oggi essere messo anche lui da parte, Vecchiali risponde: “Sì, completamente. Oggi il cinema si sta spegnendo e lui si spegne con il cinema. Noi siamo resistenti. Quando Godard ha visto “A vot’ bon coeur” era come impazzito. Diceva ai giornalisti: «Risponderò alle vostre domande, ma prima vi voglio parlare del film di Vecchiali». Per me era come un miracolo.”

Sulla targa d’onore che il Festival gay torinese ha consegnato nel 2006 al grande regista francese, c’è scritto “Encore” in omaggio alla sua lunga e prolifica carriera nel senso del titolo del film, ma anche con l’augurio di regalarci “ancora” tanti altri bei film.

Ora dobbiamo ringraziare gli amici della TichoFilmse abbiamo la possibilità di vedere o rivedere “Bareback” uno degli ultimi film di Vecchiali, inedito nel nostro Paese, e forse uno dei film più coraggiosi e innovativi di questi ultimi anni sul tema dell’aids e non solo.

Riportiamo la presentazione del film di Davide Oberto (programmatore e selezionatore dei film del Festival gay di Torino) dal sito della TichoFilm:

Paul Vecchiali (corso, classe 1930, amico di Jacques Démy e Danielle Darrieux, produttore di Jean Eustache, redattore per i Cahiers du Cinéma, scrittore e finalmente regista apprezzato da Truffaut) nonostante le difficoltà ormai endemiche con cui riesce a reperire i soldi per fare film, gira nel 2006, in soli quattro giorni e con un budget ridottissimo (molti dei nostri giovani registi italiani avrebbero di che imparare), un film semplice e densissimo allo stesso tempo. Un film sul cinema e sulla vita.

Il protagonista, Le Pomplemousse (il pompelmo), mitico “orsone” parigino, incontra per caso un noto regista (lo stesso Vecchiali) e gli racconta la sua storia chiedendogli di metterla in scena per il cinema. Da qui si dipana il film, o meglio si intrica il film. Alternando le discussioni tra i due e le immagini del film (o della realtà) narrante le vicissitudini e gli amori del protagonista. Un giorno scopre che il compagno con cui stava da anni lo sta tradendo e pian piano la loro storia giunge al termine. Decide di suicidarsi. Ma viene salvato da un uomo brasiliano. Colpo di fulmine. Rinasce l’amore. Ma il brasiliano fa solo sesso “bareback” (cioè non protetto) e un giorno confessa di aver contratto l’aids. Pomplemousse lo accoltella, lo uccide e finisce in prigione. Uscirà e scoprirà di non essere rimasto contagiato (pessimo finale, privo di pathos, gli obietta il vecchio regista).
Questa dovrebbe essere la storia che Pomplemousse propone all’anziano regista. Discutono, il regista propone cambiamenti, la storia è poco reale, il coté noir è ridicolo, i pezzi musicali patetici (Jacques Démy docet), il sesso è troppo sesso (pornografico?). Alla fine il regista rinuncia.

E’ la rinuncia del cinema a raccontare la vita? I corpi? L’amore? Il sesso? E’ la vita che deborda il cinema o è il contrario? Eppure in Bareback, grazie anche al corpo “eccessivo” di Pamplemousse (fuori standard non solo per i canoni asettici, depilati e esclusivi dell'”estetica” gay), il cinema racconta, riflette (su) se stesso e lo fa attraverso la carne, il dolore, il sesso.

Nonostante il cinismo e la distanza del vecchio regista (eppure Vecchiali si mette in scena e mette in scena il suo corpo ormai vecchio e malato) e nonostante il rifiuto a raccontare per immagini la storia troppo viva di Pomplemousse, il film scorre davanti ai nostri occhi e dentro le nostre vite e non può essere altrimenti. E’ il cinema di Vecchiali, è cinema puro che attraversa i generi, non solo cinematografici, che si fa tramite di se stesso e del mondo che vuole narrare. L’apparente semplicità del dispositivo filmico fa sì che tutto ciò che sembra restare fuori (campo) nelle obiezioni del vecchio regista entri potentemente nelle immagini.

Il cartello iniziale del film recita “Questo film vuole essere materia di riflessione sulla pratica, cruciale ai nostri giorni, dei rapporti non protetti, sia per la popolazione omosessuale (come in questo caso) sia per la popolazione etero”. Forse anche il cinema è un rapporto non protetto se ci si lascia affascinare dalle immagini che scorrono. Al cinema ne va della vita, come nel sesso e nell’amore e la potenza (non solo visiva) di questo film sta anche nel dare improvvisamente visibilità, ma anche complessità, a una malattia che continua a mietere vittime, ma di cui non si parla più.

Davide Oberto (TichoFilm)

Guarda il film sul sito della TichoFilm

Qui sotto una scena del film

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